Il teatro italiano (senza rimpianti)
Il teatro italiano (senza rimpianti) Il teatro italiano (senza rimpianti) Gastone Geron: « Dove va il teatro italiano », Ed. Pan, pag. 244, lire 2000. Giorgio Pullini: « Teatro contemporaneo in Italia », Ed. Sansoni Scuola aperta, pag. 132, lire 1000. Insospettiti dal titolo, subito ci si domanda, non senza apprensione: ancora, al solito, la crisi del teatro? No, per fortuna « non si tratta di intonare ìin epicedio — si affretta a rassicurarci l'autore — ma piuttosto di considerare in quali direzioni si sta muovendo il teatro, e in particolare dove sta andando quello italiano ». Ma per far questo, occorre prima vedere dove è andato sinora questo nostro teatro, e quindi il saggio di Gastone Geron, giornalista e critico militante, evitando accuratamente di «rimpiagere o di deprecare » e anche « di sposare ad ogni costo il nuovo in antitesi al preesistente », finisce con l'offrire, più utilmente, un rapido panorama della scena italiana negli ultimi decenni. E' un panorama frastagliato, anche se lo appiattisce un poco l'ansia di non dimenticare nessuno, donde gli elenchi di autori, attori e registi in prudente ordine alfabetico, e di rimanere in giusto ma precario equilibrio fra i lodatori del teatro tradizionale e i sostenitori dell'avanguardia. Ed è un panorama abbastanza completo: qualche lacuna, o qualche svista, d'altronde facilmente rimediabili (E' de Bosio, non Puecher, il regista del Bertoldo a corte dursiano, è Zip il titolo, abbreviato, del testo di Giuliano Scabia, del quale però non si dice altro, come si trascura, nelle poche righe dedicate a Giancarlo Nanni, il notevole Risveglio di primavera, e non direi che Missiroli abbia « troppo scopertamente ridotta a caricatura di se stessa » la Locandiera goldoniana là dove l'ha caricata di più vasti significati), sono difetti che non diminuiscono la validità e l'interesse di un libro che fornisce precise notizie e sicure indicazioni. Geron tuttavia non arrischia previsioni e, pur ribadendo l'istanza non astratta di un teatro diverso per un pubblico diverso, si limita a osservare che, dopo i tre eventi — Brecht, Pirandello, l'assurdo — che più hanno contribuito, a suo giudizio, a gettare le basi del rinnovamento e del mutamento, il teatro va cercando nuove avventure in moltissime direzioni. E queste egli scrupolosamente registra partendo da un simbolico spartiacque segnato dalla scomparsa di due diverse e anche opposte personalità del teatro italiano: Renato Simoni nel 1952, e Silvio D'Amico nel 1955 (e si potrebbe aggiungere, come Geron stesso suggerisce, un'altra data, quella della morte di Ugo Betti, nel '53). Sono quindi gli ultimi vent'anni che l'autore esamina con sguardo svelto ma non superficiale, non dimenticando i necessari nessi e riferimenti con i decenni precedenti. Di questi presenta un sintetico scorcio il volumetto che Giorgio Pullini, apprezzato studioso della drammaturgia italiana tra le due guerre, ha steso per la sansoniana n Scuola aperta » corredando il suo consuntivo, fitto di nomi, date e concetti, con tredici esempi tratti da drammi e commedie di mezzo secolo, dal 1916 al 1966, con una scelta sulla quale si potrebbe discutere all'infinito ma che risponde in modo abbastanza soddisfacente all'as sunto di una prima e tuttavia non sommaria informazione. Alberto Blandi
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