Processo Marini: la ascolterà un nuovo corte teste di Filiberto Dani

Processo Marini: la ascolterà un nuovo corte teste Il dibattimento per l'uccisione del neofascista Processo Marini: la ascolterà un nuovo corte teste I difensori, mirando al rinnovamento del processo di primo grado, hanno violentemente attaccato il presidente della corte accusandolo di avere "snaturato il processo" (Dal nostro inviato speciale) Salerno. 3 aprile. L'anarchico Giovanni Marini nega di aver ucciso a coltellate Carlo Falvella, vicepresidente dell'organizzazione universitaria del msi salernitano, nel corso della rissa scoppiata la sera del 7 luglio 1972 e alla quale, oltre a lui e alla vittima, presero parte il missino Giovanni Alfinito e l'anarchico Francesco Mastrogiovanni. Nel gruppo c'era un quinto personaggio: Gennaro Scariati, che allora aveva 17 anni, anch'egli di fede anarchica, che però se l'è cavata in istruttoria perché, secondo il magistrato inquirente, non fece in tempo ad intervenire né per dare manforte ai suoi compagni né per aggredire gli avversari. Gli avvocati che difendono Giovanni Marini hanno invece sempre lasciato intendere, e senza troppe perifrasi, che Gennaro Scariati è stato ben più di una comparsa e in questo senso hanno cercato, ma invano, di tirarlo dentro il processo (oggi hanno esibito la lettera di un detenuto il quale sostiene che Gennaro Scariati gli confidò che Giovanni Marini è innocente). Adesso hanno ottenuto soddisfazione: la corte d'assise d'appello di Salerno, ordinando una parzialissima rinnovazione del dibattimento, ha deciso di sentire un testimone che proprio su questo capitolo ha qualcosa da dire. Si tratta di un appuntato di p.s., Vincenzo Pierro, che la sera del fattaccio si trovava al posto di polizia dell'ospedale salernitano. L'agente interrogò Giovanni Alfinito, che era rimasto ferito, ed ebbe questa risposta: «Io e Carlo Falvella siamo stati aggrediti in via Veglia, da due giovani. Con loro c'era Francesco Mastrogìovanni, l'unico die ho riconosciuto». E siccome c'era anche Giovanni Marini, chi era l'altro aggressore? Giovanni Alfinito non l'ha mai detto, anzi ha poi rettificato il tiro addossando l'intera responsabilità dell'accaduto a Giovanni Marini e mettendo fuori causa gli altri due. L'ammissione di questo teste rappresenta un punto a favore dell'anarchico che i suoi difensori hanno segnato oggi a conclusione di una faticosa udienza dominata dal nervosismo. Sono state sette ore filate di discussione, dalle 9,30 alle 16,30, che, dopo la relazione del giudice a latere, hanno visto in prima linea due dei patroni di Giovanni Marini, gli avvocati Marcello Torre e Francesco Piscopo. Bersaglio principale dei difensori è stata la sentenza di primo grado che ha condannato l'anarchico a dodici anni di carcere per omicidio volontario. Il primo attacco lo ha portato l'avvocato Torre, il quale, puntando sulla rinnovazione del dibattimento, ha lamentato le «tante cose che dovevano essere fatte e non sono state fatte», soprattutto il mancato sopralluogo in via Veglia per ricostruire nei dettagli le fasi del sanguinoso scontro, la citazione di testi indicati dalla difesa, una serie di confronti. Il secondo attacco, ancor più a fondo, è partito dall'avvocato Piscopo il quale, senza troppi peli sulla lingua, ha accusato il presidente della corte d'assise di Salerno, dottor Giuseppe Fiengo, estensore della sentenza di primo grado, di aver «snaturato il processo», di averlo trattato come «cosa sua» e, più chiaramente, di aver riferito i fatti con «monche ricostruzioni, errate congetture, testimonianze travisate». Il presidente, dottor Domenico Napolitano, ha ripetutamente ammonito l'avvocato Piscopo a non criticare l'estensore della sentenza, ma ormai i duri giudizi erano stati espressi, parte civile e pubblica accusa hanno voluto dire anche la loro. Il clima in aula, da caldo che era, si è fatto incandescente quando il procuratore generale, dottor Giovanni Zarra, ha avuto una impennata di vigore rabbio¬ sa: «Qui è in discussione la sentenza non l'estensore. E' ora di finirla con queste insinuazioni». Presidente — Avverto che toglierò la parola tutte le volte che si farà il nome dell'estensore. Procuratore generale — Devo compiere il mio dovere fino in fondo, costi quel che coiti. Lei, signor presidente, non può fare delle disparità. Anch'io ho il diritto... Presidente — Basta così. Ripeto per l'ultima volta che non tollero che si parli dell'estensore. Procuratore generale (gridando) — Ma lei mi ha interrotto! Presidente — Il dibattimento lo dirigo io. Il procuratore generale ha raggiunto il colmo dell'ira: «Rigetto tutte le istanze della difesa. Non ho altro da dire», ha detto sferzante, sedendosi nel suo banco. La corte si è I ritirata in camera di consiglio per deliberare, ma prima di uscire dall'aula il giudice a latere ha rivolto al dottor Zarra, che ancora bofonchiava, un amichevole «finiamola qui». Si è beccato un freddissimo commento: «Indosso la toga come te». Quasi tutte respinte le istanze della difesa, accolta soltanto quella della testimonianza dell'appuntato di p.s. Nessuna novità sul fronte dell'ordine pubblico: gli ultra di destra continuano a disertare il processo, gli anarchici ammassati davanti al palazzo di giustizia manifestano pacificamente gridando slogan. Domani, interrogatorio di Giovanni Marini. Filiberto Dani I Salerno. Marini con Sotgiu uno dei suoi avvocati (Ansa)

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