Hué, città simbolo del Vietnam di Giorgio Fattori
Hué, città simbolo del Vietnam Hué, città simbolo del Vietnam Le giunche e le motozattere caricne di fuggiaschi sul Fiume dei Profumi, le strade che portano al mare gremite di profughi. I carri, i bambini, i soldati senza fucile, i bufali impazziti, le vecchie contadine rattrappite nell'agonia sulle spalle delle donne più forti. Ritornano dal Sud Vietnam immagini di panico e disperazione, le stesse da tanti anni. Gente che scappa senza meta e da sempre. Invecchiata nei campi di sfollati e nelle baracche militari, sradicata dai villaggi bruciati molte volte e da molti eserciti. Sono 35 anni che le vittime disarmate del Vietnam fuggono senza speranza il massacro di una nazione: incalzate dai rastrellamenti giapponesi, dalle mitragliatrici francesi, dal napalm americano e dalle cannonate nord-vietnamite. Ora è finita la nuova inutile fuga da Hué. E la bandiera vietcong che sventola come nel '68 sui fortini dell'antica capitale annamita segna il momento forse cruciale della guerra senza fine. Per Hanoi e per Saigon, il « cuore del passato » Hué rappresenta molto di più di un obiettivo strategico come Danang o le roccheforti degli altipiani. Nessuna città dei due Vietnam ha il suo fascino e la sua storia. Qui confluirono le grandi cultu¬ re dell'Asia orientale, le chiuse geometrie delle «città proibite » di modello cinese, la fioritura di templi buddisti sulle rive del fiume; le orgogliose muraglie della dinastia Nguyen, signori del Sud, e i palazzi quadrati della dinastia Trinh, signori del Nord, tracce di altrettanto interminabili guerre fra i due Vietnam di duecento anni fa, quando Hué divenne la prima città d'Indocina. E poi, quasi altrettanto solenni, si sono aggiunti i segni della conquista straniera: il sistema di fortificazioni disegnato da ingegneri francesi alla fine dell'800, la bianca cattedrale cattolica, le ville fastose e segrete dei governatori e dei mercanti. Dalla provincia di Hué un gesuita italiano, Cristoforo Borri, inviò il primo rapporto in Occidente sulla ricca e inesplorata Indocina. Qui si celebrarono antichi trionfi militari e un re di Cambogia sconfitto venne esposto in gabbia fra le verdi pagode e i giardini dei piaceri. Qui i francesi, 90 anni fa, combatterono l'ultima battaglia della conquista coloniale, riuscendo a prendere Hué solo con l'intervento della fiotta che risalì il fiume. I vietnamiti non hanno dimenticato che nella regione dell'antica caI pitale i francesi videro poi finire l'avventura d'Indocina. I soldati della legione straniera chiamarono « route sans joye» la strada senza allegria, la camionabile da Hué a Quang Tri, insanguinata dalle imboscate vietminh. Sulla « strada senza allegria » combatterono più tardi i rangers americani rischiando la catastrofe. Poi venne il turno dei « fiori di Saigon », i paracadutisti dell'armata di Thieu, quando l'offensiva del generale Giap si arrestò alle porte della città dei re. Le guerre del Vietnam sono sempre passate tra i fiumi e le foreste di questa vallata dove sono sepolti i signori e gli eroi dell'Annam. Le cannonate e le bombe di molti eserciti hanno sbrecciato i monumenti e devastato i giardini imperiali dove fra relitti di carri armati da anni si accampano i profughi. Quello che resta uno dei centri più straordinari della civiltà del Sud Est asiatico, è stato minacciato più volte di distruzione totale: ma, sia pure con la lenta degradazione dei lunghi assedi, si è in gran parte salvato. Per i due Vietnam Hué rappresenta un simbolo che porterebbe sciagura e ignominia distruggere. Per questo Giap nel '72 esitò a lanciare le autoblindo con- tro le antiche muraglie. For- se anche per questo Thieu ha rinunciato ora a difen- derla. I consiglieri militari americani, quando ancora davano consigli sbagliati in Sud Vietnam, faticavano a capire questo tacito patto di rispettare Hué in una guerra che non risparmiava niente altro e nessuno. Ricordavano i massacri della comunità cattolica della città durante l'offensiva del Tet. Poi le repressioni altrettanto spietate dei generali di Thieu, con centinaia di disertori e vagabondi appena sospetti fucilati nelle piazze. La vita di un uomo non vale niente a Hué da molti anni. Per gli americani era difficile accettare l'idea che si cercasse invece di risparmiare la decaduta bellezza di quei tempietti tutti eguali e le fortezze imperiali anne ! Usa scrutavano in silenzio con i binocoli la girandola di bengala e di esplosioni che all'improvviso rischiara- | vano il fiume. Non capivano , il senso della « waiting ga- j me », la partita d'attesa gio- ; cata dalle divisioni di Giap rite dagli incendi dei bom- bardamenti. I giornalisti ricordano le notti di Hué assediata dai nordisti nel '72, vissute sulla terrazza dell'unico albergo sgangherato della città, mentre le bombe dei Phantoni incendiavano i boschi delle colline. I consiglieri i nascoste sulla collina, che I in quel momento erano ab- bastanza forti da poter tentare l'assalto decisivo. «Ma cosa aspettano? — dicevano —. Questa è una guerra di pazzi ». La lunga attesa di Hué, I in vista di un attacco che [ novi cominciò mai, restò un mistero per quanti stentavano a credere che il richiamo del « cuore del passato » fosse più forte delle ragioni della guerra. Da allora sono passati tre anni. I nordvietnamiti sono entrati a Hué senza combattere, come voleva il generale Giap quando aspettava paziente sulla collina. Le immagini di paura e di morte che rivediamo adesso a documento degli ultimi eventi in Vietnam, rendono ancora diffìcile pensa- | re a un gesto definitivo di pietà per questa antica capitale dal fascino luminoso ! e triste, possibile bersaglio dell'apocalisse finale. Eppure la quasi miracolosa sai- ' vezza dei fantasmi imperiali di Hué sembra simboleggiare la fede del Vietnam per un domani diverso. Nella valle dei Ming Man, cimitero di re e di soldati di molte guerre, i due Vietnam vedono forse sopravvivere, con qualcosa del loro passato, la lontana, sottile speranza di una riconciliazione. Giorgio Fattori jII,
Persone citate: Cristoforo Borri, Quang Tri, Thieu
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