L'antico fascino del saggio Epicuro

L'antico fascino del saggio Epicuro L'antico fascino del saggio Epicuro Epicuro ha sempre avuto più nemici che amici, o amici solo interessati. E' diven tato un'astrazione espressiva, si è fatto insultare dal rigido Plutarco e dal mite Ronsard. E' uno dei più tipici esempi di un luogo comune sbagliato, di un'antonomasia di comodo, di una vittima della propaganda avversaria. Tutte le volte che si riprendono in mano a mente sgombra le sue pagine striminzite e frammentarie, giunte a noi delle molte che sorisse, si ricade invece in un'ammirazione genuina per la libertà e freschezza del suo spirito. Si subisce un fascino penetrante, delizioso. Questa volta l'occasione viene dalla raccolta di tutti gli scritti superstiti e di tutte le testimonianze biografiche o dottrinali sul maestro, nei classici della filosofia della Utet. Curatrice, Margherita Isnardi Parente, studiosa di gran polso: in questi mesi, con due nuovi volumi su Platone, essa ha pure ripreso presso la Nuova Italia la pubblicazione aggiornata dell'immensa Filosofia dei Greci di Eduard Zeller. Lasciamo ai tecnici le pagine scientifiche, pur così interessanti per le concezioni atomistiche, e imprescindibili premesse di tutto il sistema. Nell'assenza, se non per negazione, di una metafisica tradizionale — su cui invece si diffonde un recente e vivo saggio di Domenico Pesce, — sono le pagine etiche ad attrarci maggiormente per la loro soavità e insieme per la loro fermezza. Sono i tratti che ci meravigliano di più e ci fanno riflettere anche sul nostro tempo, vicino per molti versi a quello di Epicuro. Come oggi, nel rapido dilatarsi del mondo conosciuto oltre le frontiere orientali, nella creazione di grandi Stati e nell'affiorare di una coscienza sociale, nel turbinio delle fortune e nel progredire della scienza, all'uomo pensoso e smarrito sembrava non proporsi di meglio che il chiudersi a coltivare il giardino della saggezza entro una ristretta cerchia di amici. Sennonché, all'agguato dell'elitarismo, o dell'egoismo, Epicuro risponde con un affinamento di spirito e di affetti che è un contributo sostanziale al progresso umano. Il continuo macerarsi e oscillare di Seneca nell'epistolario a Lucilio è sì, come dice Luca Canali nella pungente prefazione alla ristampa dell'opera nella nuova Bur, « una grande opera di poesia ». Ma «stacdntinptEdtepsutassvlivlsetndssfè fallisce allo scopo in cui rie sce Epicuro, sollecitando le passioni anziché selezionarle promuovendo la superstizione anziché l'intelligenza. Ne è la prova lampante il predicatore stesso di quel verbo stoico che contendeva all'epicureismo la guida dei tempi nuovi. Avvolto nella «pelliccia stoica», Seneca passa attraverso il mondo da ti tano maledetto, « politico decaduto, dovizioso predicatore di povertà, censore di tiranni dopo la loro scomparsa, tragediografo che distillava in eroi truculenti la sua repressa carica di violenza » (cito ancora l'impietoso Canali). E' una condanna della sua dottrina per tanti versi arretrata e valida solo per saisons en enfer. Non c'è, nelle cinquecento pagine di queste lettere, pur sottili e varie e acute e calde, un solo passo paragonabile al testamento di Epicuro, di chi al culmine della propria esperienza umana scrisse al discepolo Idomeneo: « Ti scrivo mentre sto vivendo il felice ultimo giorno della mia vita. Mi sono sopravvenuti dolori tali alla vescica e alle viscere che non ce ne possono essere di maggiori: ma a tratti resiste e contrasta la serenità dell'anima, nel ricordo dei nostri ragionamenti filosofici di un tempo ». Il contrasto fra i due libri, nello scaffale delie letture quaresimali, è davvero istruttivo. Carlo Carena Epicuro: « Opere », Ed. TJtet, pag. 629, lire 14.000. D. Pesce: « Saggio su Epicuro », Ed. Laterza, pag. 110, lire 1800. Seneca: « Lettere a Lucilio », Ed. Rizzoli, pag. 516, lire 2800.

Persone citate: Carlo Carena, Domenico Pesce, Eduard Zeller, Greci, Luca Canali, Margherita Isnardi Parente, Platone, Seneca