II nostro dopoguerra di Vittorio Gorresio

II nostro dopoguerra I protagonisti nel libro di Gambino II nostro dopoguerra Irreprensibile giornalista che i lettori dell'Espresso apprezzano per la sua competenza in materia d! politica internazionale (una sua analisi vi appare tutte le settimane e sono frequenti i suoi servizi di invialo speciale nei luoghi caldi del mondo), Antonio Gambino si rivela in questo libro come uno storico scrupoloso, approfondito ed autorevole conoscitore di politica interna. E' un salto di materia, ma non di qualità poiché restano identici dall'ebdomadario al volume i modi rigorosi dello stile stringato — mai una divagazione superflua, mai una sbavatura — il rispetto e la cura della realtà documentata. La sua interpretazione di storico discende pertanto piana e persuasiva, calata nelle pagine di un libro che risulta difficilmente contestabile: il 12 marzo scorso, in occasione di una tavola rotonda organizzata presso la sede romana della casa editrice Laterza, cinque dei maggiori personaggi che a vario titolo furono tra i protagonisti della storia narrata da Gambino (Giorgio Amendola, Vittorio Foa, Guido Conella, Ugo La Malfa e Riccardo Lombardi) non si mostrarono difatti tentati, non dico alla rettifica ma neppure alla polemica nei riguardi del loro autore. Discussero fra loro con tutta la vivacità che il tema del volume sollecita ed ispira, si contrastarono contraddicendosi l'un l'altro, ma l'autore Gambino per tutto il corso del dibattito protrattosi due ore ne restò immune, inconfutato; solo corretto od integrato in punti marginali. Di quel dibattito ha riferito già Lamberto Fumo (cfr. La Stampa del 15 marzo) ed esso è qui richiamato solo come spunto a conferma della riconosciuta giustezza della tesi storica di Gambino: che cioè nei tre anni del nostro vero dopoguerra — 25 aprile 1945- 18 aprile 1948 — andò perduta un'occasione rivoluzionaria e si pose mano, in nome della cosiddetta continuità dello Stato, ad una vera e propria restaurazione. Tutta la nostra storia è d'altra parte una storia di restaurazioni successive, una variata continuazione delle età precedenti, e non sarebbe stato poco sorprendente che la caduta del regime fascista — nonostante l'impegno posto dai migliori tra noi nell'impresa della Resistenza per la Liberazione — potesse fornire la scintilla detonatrice per quel radicale rinnovamento che ci era sempre mancato in tutti i secoli. E' chiaro in ogni modo, come ammette Gambino che è uno studioso di storia saldamente piantato sull'osservazione spregiudicata dei fatti, che il parlare di rivoluzione mancata sarebbe fare oltraggio alla realtà. Una situazione rivoluzionaria non esisteva, nel nostro dopoguerra: lo stesso antifascismo (tesi di Amendola) era una forza politica che era venuta a grado a grado improvvisandosi, senza fonde radici nell'atteggia¬ mento popolare. Come il Risorgimento, anche la Resistenza (tesi di Denis McSmith) fu un movimento minoritario. Alla generosa volontà, all'eroico sacrificio delle élites del Paese — tanto le intellettuali quanto le proletarie — mancò difatti di corrispondere il decisivo apporto delle masse. Che rivoluzione si può fare in condizioni come queste? Lo stesso Gambino considera il problema in un senso che a taluni è sembrato troppo pessimistico, ma che non manca di fondamento. Egli dà atto, per esempio, al pei della necessaria sua prudenza ispiratrice di una certa « strategia della moderazione»: e riconosce che difficilmente un eventuale diverso orientamento dei comunisti avrebbe potuto condurre a differenti risultati sostanziali. Una vera sinistra mancava, o per lo meno era lontana dalla maturità necessaria: si riproponeva lo stesso problema che aveva già paralizzato la sinistra italiana nel triennio 1919-1921, e difatti Gambino riconosce che anche « una sinistra sulla quale non avesse pesato negativamente la prudenza strutturale del pei, avrebbe al massimo potuto mutare aspetti non trascurabili, ma non essenziali ». Considerata da questo punto di vista, la tesi di Gambino non è pessimistica — come è stato detto — ma semplicemente obbiettiva, se è lecito usare in questa materia storica una qualificazione del genere. Il fatto è che allora (tesi di Amendola) « il partito d'azione e il partito socialista erano un bell'imbroglio, tra riformisti e massimalisti, moderati e innovatori ». La Malfa ha ricordato che in una delle prime riunioni del Comitato di Liberazione, egli inutilmente propose « che la burocrazia dello Stato fascista non fosse epurata, ma congedata e poi riassunta dal nuovo Stato antifascista ». Sarebbe stato, forse, un altro bell'imbroglio, ma in ogni modo la proposta di La Malfa cadde nel vuoto, e ci si dovette accontentare di successi parziali differenti non trascurabili ma non essenziali, come quello di una designazione del presidente del Consiglio da parte del Cln anziché da parte della Corona. Si può anche dire, secondo Amendola, che mutazioni sono avvenute, nonostante il mantenimento in piedi dell'apparato statale preesistente: in qualche modo l'Italia ha camminato e proceduto verso forme democratiche nuove. Queste possono essere non ancora soddisfacenti del tutto, ma non si può negare che mutazioni graduali ci sono state, secondo il metodo raccomandato dal pei, quello che va dalla cosiddetta svolta di Salerno per opera di Togliatti al cosiddetto compromesso storico patrocinato da Berlinguer. Gambino non si oppone a questa tesi, limitandosi da storico corretto e responsabile a darne conto ai lettori della sua opera: se l'Italia è questa, come risulta dai fatti, nessuno può farci nulla. Nel suo libro è pertanto la conferma che la mancanza di una spinta politica effettiva — nel senso di una larga partecipazione popolare e civica non limitata ai puri dati nobili della Resistenza e dell'insorgenza, in cui già tante volte fu ridotto il desiderio rivoluzionario italiano — è quella che lascia sempre il campo libero alle strutture dell'organizzazione burocratico-amministrativa, solitamente pronte ai cambi di etichetta che fanno salva in ogni modo la cosiddetta continuità dello Stato. Vittorio Gorresio Antonio Gambino: « Storia del dopoguerra dalla Liberazione al potere de », Ed. Laterza 1975, pag. 541, lire 5000.

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