Caterina col sigaro
Caterina col sigaro Caterina col sigaro I racconti migliori della Percoto, tra patetismo e violenza Caterina Percoto: «Novelle», a cura di Bruno Maier, Biblioteca dell'Ottocento italiano diretta da Gaetano Mariani, Ed. Cappelli, pagine 259, lire 4500. Caterina Percoto, fra i narratori « minori » dell'Ottocento italiano, ha incontrato costantemente approvazioni e fortuna: dai contemporanei Dall'Ongaro e Tommaseo, fino al secondo dopoguerra, quando le sue novelle furono lette in chiave neorealista e lodate da Gatto e, soprattutto, da Vittorini fra gli incunaboli del verismo italiano. In realtà, l'ottima gentildonna friulana pare proprio assommare in sé le buone ragioni per piacere a tutti: di antica famiglia comitale, ma fortemente impegnata nell'elevazione economica e morale dei contadini del suo Friuli; abbastanza anticonformista nel modo di comportarsi (e resta, nelle memorie dei contemporanei, il ritratto di lei che fuma la pipa o grossi sigari, volitiva, energica, mentre si occupa, con idee e metodi molto avanzati, della sua azienda agricola), ma ligia a un cattolicesimo sentimentale e a un patriottismo risorgimentale abbastanza di maniera: con un'idea pedagogica e moralista della letteratura, ma anche con uno scrupolo, che le deriva dal Manzoni, per l'esattezza nella descrizione dei particolari ambientali, sociali, psicologici, storici, delle sue vicende. Giustamente sull'influenza che la Percoto subisce da parte del Manzoni insiste il Maier nell'ottima introduzione a queste Novelle, che raccolgono i migliori racconti della scrittrice, riproducendo l'edizione definitiva del 1880. Ma si tratta di un Manzoni che, dal punto di vista ideologico, appare subito singolarmente deformato in direzione paternalistica. La contessa Ardemia delle novelle Il licof e II pane dei morti, personaggio largamente autobiografico, scandalizza la famiglia retriva e conformista, trattando direttamente con i contadini, andando a caccia, offrendo ai suoi dipendenti il pranzo di fine anno (il « licof », appunto, in friulano): giunge fino a sedersi a mensa con i contadini, così come non fa, nei Promessi Sposi, il marchese erede di don Rodrigo, tanto umile da servire Renzo e Lucia, ma non tanto da sedersi con loro a mangiare; tuttavia alla fine, abbandona il pranzo da lei organizzato per rientrare così nell'alveo del conformismo familiare e farsi perdonare l'eccentricità. Il paternalismo, insomma, domina i rapporti fra le classi nelle novelle della Percoto. E si avverte anche là dove la simpatia per gli « umili » è più apertamente dichiarata come nella novella Lis cidulis (cioè, le girandole dì fuoco), storia di miseria e di disgrazie, che si conclude lietamente per i due giovani innamorati, che ne sono protagonisti, per l'intervento benefico di una giovane di nobile famiglia, malata a morte, che lascia loro tutti i suoi gioielli. A differenza degli umili manzoniani, quelli della Percoto sottostanno troppo chiaramente a un programma di rappresentazione al tempo stesso pedagogica e patetica: mancano, quindi, di autonomia, e per loro non esiste altra possibilità di salvezza che quella della generosità e della bontà dei ricchi. Si legga Un episodio dell'anno della fame, dove il protagonista si vede morire di fame la vecchia madre e lui e la moglie e il figlioletto costretti a nutrirsi di radici e di erbe, fra enormi sofferenze per il freddo e per le privazioni: alla fine, interverrà un buon proprietario terriero a salvarlo, dandogli un lavoro. Nel mondo della Percoto ai poveri manca anche il risarcimento della religione, che tanta importanza ha, invece, nei Promessi Sposi, oltre che essere assente ogni impulso alla protesta e alla rivolta. Allora, le novelle a nostro parere meno gravate dal tempo sono quelle in cui tale pateticità si incontra con l'enormità dei fatti drammatici de¬ terminati dalla violenza degli uomini (e non compensabili da nessun intervento benefico). E' il caso de La donna di Osopo, cupa storia di miseria e di fame, che si conclude sull'immagine della donna uccisa da una sentinella austriaca di presidio nel piccolo paese friulano, mentre ritorna dalla ricerca di un po' di cibo per i figlioletti, e su quella dei bambini che si buttano sul cadavere della madre piangendo e invocandola; ed è il caso de II bastone, dove all'idillio (le ragazze al bagno, nella notte di luna) si sostituisce bruscamente l'orrore, quando la protagonista, Angelina, viene condannata a essere bastonata pubblicamente, in piazza, dai soldati, per aver legato con un nastro tricolore la palma offerta sull'altare della chiesa, e Beppino, innamorato di lei, fugge bestemmiando, per andarsi ad arruolare in Italia e vendicare l'oltraggio recato alla ragazza. E', questo, anche l'unico atto di ribellione contro l'avversità delle situazioni e dei casi che si incontra nelle novelle della Percoto; ed è anche la sola novella in cui i termini opposti di idillio e tragicità, che condizionano tanta parte della letteratura romantica italiana, sono visti molto modernamente come le due facce di una condizione esistenziale fragile, precaria, per opera della violenza degli uomini (e non per la casualità degli eventi naturali, come carestie, malattie, disgrazie). Più in là, la Percoto proprio non riesce ad andare. Giustamente il Maier nega un'effettiva partecipazione della scrittrice a interessi realistici (e se si accostò al Verga, fu al giovane autore della lacrimevolissima Storia di una capinera, per la quale la Percoto scrisse la prefazione): ma proprio per la decisione di attenersi a una linea moderata e media di narrazione, che è, poi, in ultima analisi, mediocrità. G. Bàrberi Squarotti
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