È caduta la città di Quang Tri Preoccupazione a Washington di Vittorio Zucconi

È caduta la città di Quang Tri Preoccupazione a Washington Situazione critica in Vietnam, forse nuovi aiuti Usa È caduta la città di Quang Tri Preoccupazione a Washington (Dal nostro corrispondente) Washington, 19 marzo. Quang Tri, la capitale provinciale perduta oggi dai sud-vietnamiti, era la maggiore base di «marines» all'epoca dell'intervento americano in Indocina, Non solo è la quinta capitale di provincia caduta in meno di tre mesi, essa è in larga misura il simbolo della inutilità di quell'intervento: richiamando ricordi così vicini e così conturbanti, Quang Tri ha scosso, come nessun'altra notizia giunta sinora dal Sud Est asiatico, l'opinione pubblica americana. Il Pentagono spiega che Van Thieu sta abbandonando, uno dopo l'altro, i suoi capisaldi periferici non per debolezza, ma per arroccarsi su linee più difendibili e su un territorio meno disperso, ma nessun comunicato può vincere il contraccolpo emozionale di sapere Quang Tri — con le sue attrezzature costate milioni di dollari — in mano ai nordvietnamiti e ai vietcong. Se fare il punto sullo svolgimento della battaglia militare in Indocina è cosa estremanente difficile, ancor più arduo è tentare un bilancio della battaglia politica in corso a Washington sul terreno degli aiuti a Cambogia e Vietnam. Dopo i rovesci a catena delle scorse settimane (voto negativo del partito democratico, «no» della Commissione esteri senatoriale) nei giorni scorsi la Casa Bianca ha lievemente migliorato le sue po sizioni. La stessa Commissio ne esteri ha approvato (ma solo in sede consultiva) un mini-aiuto alla Cambogia di 82 milioni di dollari, a condizione che nessun altro stanziamento abbia mai più luogo, dopo il 30 giugno di quest'anno (la richiesta di Ford è di 222 milioni di dollari). Il Pentagono, con un espediente quasi grottesco, ha poi scoperto di aver fatto pagare troppo ai cambogiani le armi vendute nel '74 e di dovere quindi a Lon Noi un «rimborso» di 21 milioni, che saranno naturalmente tradotti in nuove armi. «Trucchi del genere — ha commentato stamani il leader dei senatori democratici Mansfield — riducono ancor di più le probabilità di approvazione parlamentare di qualsiasi aiuto», ma la gelida dichiarazione del senatore non deve trarre in inganno: se per la Cambogia le prospettive sono effettivamente nere — lo sgombero dei cittadini americani da Phnom Penh è in corso — esiste qualche possibilità di compromesso per il Sud Vietnam, fra la Casa Bianca e il Congresso. L'idea, lanciata da Ford, è di porre fine allo stillicidio annuale degli aiuti per sostituirli con un trattato triennale con Saigon, che definisca chiaramente la portata e i limiti dell'appoggio statunitense. Il trattato dovrebbe definire in tre anni il futuro del sostegno americano, e in una cifra globale, ancora non precisata, l'ammontare di tale sostegno. L'idea è di mettere Van Thieu di fronte a prospettive chiare: egli saprebbe, se il trattato venisse approvato, di avere un certo tempo e una certa sommma entro i quali combattere e trattare. Se, allo scadere dei tre anni, la situazione fosse ancora al punto di oggi o degenerata, egli verrebbe lasciato al suo destino. La proposta del trattato (per dare un'idea dell'entità dei finanziamenti, ricordiamo che Ford ha chiesto 300 milioni in aiuti urgenti per Saigon) può sembrare un altro, più abile tentativo di prolungare l'agonia del Sud Vietnam e l'intervento indiretto americano. Ma, tra la politica attuale degli aiuti frammentari e l'accordo triennale esisterebbe un'importante differenza. Esso darebbe a tutte le parti coinvolte nel conflitto (par¬ liamo di Vietnam, che la Cambogia è una causa perduta) le coordinate delle rispettive posizioni: nord vietnamiti e vietcong saprebbero che per almeno tre anni Van Thieu può resistere, il governo di Saigon avrebbe un recinto —■ finanziario e temporale — entro il quale agire sul piano militare e, forse, negoziale. L'America avrebbe finalmente una politica nei confronti del Sud Vietnam. Uno degli aspetti più drammatici della situazione attuale è infatti la mancanza di una vera politica indocinese degli Stati Uniti. Dopo avere tentato invano di nascondersi dietro lo scudo di carta del l'accordo di Parigi (violato da tutte le parti, sia pure con diversi livelli di responsabilità) Washington ha continuato a finanziare Cambogia e Sud Vietnam, abbastanza per proseguire la guerra, non abbastanza per rovesciare un equilibrio sempre più sfavorevole. L' accordo dei tre anni può «passare»? Van Thieu ne sembra convinto e si dice che il suo ripiegamento militare, mirante a concentrare la difesa sulle città costiere e su Saigon avvenga proprio in preparazione a questo. La Casa Bianca sembra forse disposta a barattare la Cambogia con il trattato per il Vietnam e il Congresso, per quanto forte sia l'ostilità a nuovi impegni in Indocina, potrebbe convincersi che Phnom Penh e Saigon non sono nella stessa situazione e il Sud Vietnam può forse valere ancora un qualche prezzo politico e finanziario. Non è possibile comunque fare alcuna previsione: è chiaro che Washington sta cercando non più «vittorie» in Indocina, ma il modo più onorevole e meno disastroso per liberarsi degli ultimi legami con il Sud Est asiatico. A complicargli il compito interviene la totale assenza di un'indicazione da parte del Segretario di Stato, la cui «ignoranza» delle vicende indocinesi sta sollevando molte critiche negli Stati Uniti. E' comprensibile che Kissinger, architetto del disimpegno militare americano in Vietnam, non voglia riporre mano in uno scacchiere dove le possibilità di manovra sono in effetti limitatissime. In privato egli riconoscerebbe addirittura l'inutilità di nuovi sforzi in Indocina, considerandola ormai perduta. E pre- ferisce concentrarsi laddove, come in Medio Oriente, restano le migliori possibilità di successo. Ma certo è singolare la totale assenza di quest'uomo, altrimenti così «invadente», nel dibattito sull'Indocina, oggi più vivo dello stesso Medio Oriente nell'attenzione del Paese. Vittorio Zucconi