Brevi incontri di Lietta Tornabuoni

Brevi incontri Brevi incontri di Lietta Tornabuoni Levando l'ultima pietra Il grande spettacolo romano della settimana scorsa è già finito? Sembra difficile che il pretore Infelisi e i suoi colleghi riescano a far eseguire gli ordini di demolizione di palazzi e ville costruiti abusivamente dalla speculazione edilizia. Peccato, non era male vedere televisione, fotografi, giornalisti, autorità capitoline, forze dell'ordine, magistrati e corpo dei vigili urbani convocati per assistere, anziché ai soliti riti pubblici per la posa della prima pietra, a una cerimonia indetta per levare l'ultima pietra d'un palazzo illegalmente quasi completato. Era curioso veder celebrare in atmosfera grave e nervosa insieme, nel clima solenne e teso degli avvenimenti del tutto eccezionali, il rispetto della legge. I piccoli spettacoli romani d'ogni giorno continuano a svolgersi implacabili. Davanti alla gioielleria Bulgari, la gente non si ferma: ormai i rapimenti vengono a noia subito, dopo neanche due giorni. «Non ci sono più regole ma soltanto eccezioni che non confermano nulla », sospira una scema: chissà dove l'ha sentito dire. Fanfani ne fa qualcuna delle sue: all'intervistatrice di Annabella canticchia volentieri la canzoncina da lui stesso composta per le prossime elezioni (« Votar, di', cos'è mai? Votare, è dir cosa vuoi », suona il ritornello, mentre la musica saltellante evoca il vecchio motivetto « Mamma non son più una capricciosa barnbolina »). Per testimoniare la propria stima verso le donne, loda molto la professoressa Sofia Vanni Rovighi, presente con lui trent'anni fa nel gruppo di Dossetli: «Aveva straordinaria la cultura, era una cuoca formidabile e, cosa da non trascurarsi, era anche una donna moderna: andava ogni domenica alle corse dei cavalli ». Riconvoca energicamente per lettera gli scrittori che già erano stati suoi ospiti a merenda, ma questa volta l'occasione è meno mondana, basta con i convenevoli e i tè, adesso bisogna impegnarsi, tocca partecipare a un dibattito globale sul destino dell'uomo, sulla sua possibile estinzione, sulla « disponibilità delle sussistenze », e non basta ancora: «Se il tempo non sarà sufficiente a chiarire i molti problemi, si profila sin d'ora l'opportunità di un'altra riunione ». La primavera piovosa inau- gura nuovi tic (le ragazze dovrebbero « tornare a portare le trecce, ma erotiche, da false bambine») e conferma quelli vecchi: nevrotizzate dalla paura di furti, sequestri e scippi, le ricche vedove della speculazione o le antiche principesse della nobilita nera decidono di lasciare la città, di emigrare. In Svizzera? Macché, a Bologna « che è un posto tanto tranquillo, non ci succede mai niente ». 11 grande spettacolo romano di questa settimana è appena cominciato: il congresso del partito comunista svuota le sedi dei partiti (salvo la de), i ministeri, le redazioni, la Rai-tv, gli uffici dei managers e gli studi degli intellettuali. Attizza la mondanità di sinistra: « Verresti domani sera a un pranzo di comunisti? », è l'invito corrente e quasi sempre ingannevole. Delude i pettegoli: il Palazzo dello Sport è diviso rigidamente in settori (delegati, stampa, ospiti stranieri, invitati), ciascun settore autosufficiente è dotalo di bar, telefoni, servizi, persino infermeria propri, e ogni incontro di corridoio, rivelazione dietro le quinte o indiscrezione davanti al cappuccino, risulta pressoché impossibile. Schizofrenici, inquieti, paradossali, i grandi e piccoli spettacoli romani vanificano i troppi romanzi di fantapolitica (la prossima settimana ne escono altri tre). Li riducono a scherzi golii, barzellette qualunquiste, invenzioni provinciali, piatte trascrizioni d'invettive esasperate quali « vadano lutti a morire am¬ mazzali ». fatue trasparenti sciarade con errore: infinitamente meno incredibili, fantasiosi e grotteschi della realtà. In prima persona « //; positivo » era una espressione troppo improbabile per non logorarsi subito. « nel tunnel » ci siamo e ci resteremo, pure « a monte » è caduta molto in basso, ma niente paura: trionfa, ultima voga verbale. « in prima persona ». Espressione sinora riservata alle grammatiche o alle opere narrative (« lei scrive in prima persona, signor Mann? », « lo? no, io no, nel caso il signor Proust »). si estende adesso ad ogni settore. Spesso usata invece dell'avverbio « direttamente » e ancora più spesso senza alcuna necessità, può sembrare, oltre che un'ulteriore prova della nostra passione per il gergo superfluo c lambiccato, un verbale esorcismo della contemporanea irresponsabilità e mancanza d'impegno individuale. Produce in molti casi effetti curiosi. Eva Express « presenta la storia di due donne che il dramma dell'aborto lo hanno vissuto in prima persona »: interessante, ma avrebbe potuto essere altrimenti? Si può abortire, per esempio, in terza persona? Magari. Sul Manifesto, una lettera esprime la convinzione che « a gestire la campagna debba essere il movimento delle donne in prima persona »: giusto, ma un movimento non è composto di solito da molte persone? Ogni persona gestisce in prima persona, oppure cosa? L'Europeo loda uno scrittore che « vive in prima persona l'esperienza del rapporto con un follo numero di lettori »: fortunato scrittore, ma potrebbe viverlo diversamente? In seconda persona, mettiamo? Attraverso la moglie o il segretario? Forse non sarebbe la stessa cosa. L'Unità attacca « chi da quasi trent'anni ha diretto in prima persona lo Stato »: critica indiscutibile, ma si può dirigere 10 Stato in prima persona essendo un partito e non Hitler, Franco, Idi Amin Dada? E proprio la democrazia cristiana, divisa com'è tra tante persone singolari? 11 telegiornale informa che « alla costruzione del proprio avvenire gli emigrami contribuiranno in prima persona ». e qui non c'è niente da dire: se gli emigranti dovessero contare per 11 futuro su seconde o terze persone, starebbero freschi.

Persone citate: Eva Express, Fanfani, Hitler, Idi Amin, Infelisi, Mann, Proust, Sofia Vanni Rovighi

Luoghi citati: Bologna, Svizzera