LA COSTITUZIONE

LA COSTITUZIONE LA COSTITUZIONE Gli obbiettivi d'una riforma di Costantino Mortati Nel dibattilo su min riforma della Costituzione italiana, aporlo dal prof. Gino Giugni su « La Slampa » di domenica 2 febbraio, sono intervenuti Franco Simoneini, il sen. Umberto Terracini, il prof. Giovanni Parravicini e A. C. lemolo. Se si tiene presente che il rinnovamento delle istituzioni non è fine a se stesso, rivolto come deve essere a rendere più rapida ed efficiente l'opera ad esse affidata di profonda modifica del sistema dei rapporti sociali nel senso imposto dalla Costituzione, appare come esso, anche se formalmente realizzato, rimarrebbe scarsamento efficiente di fronte agli ostacoli opposti dai ceti che beneficiano e traggono forza dalle situazioni di privilegio. Solo quindi a patto di raggiungere una vasta mobilitazione di forze politiche poggianti sul consenso di grandi masse popolari più direttamente interessate a tale trasformazione si potrebbe dare un senso concreto e aprire una prospettiva di successo ai propositi, altrimenti velleitari, di modifiche costituzionali. Modifiche che dovrebbero, a mio avviso, rivolgersi verso quattro obiettivi principali. Il primo riguarda il rapporto rappresentativo, da considerare sotto il duplice riguardo della selezione delle capacità dei rappresentanti e della instaurazione di una maggiore correlazione fra costoro e i rappresentati. E' sorprendente che solo di recente vada assumendosi la consapevolezza dell'importanza del primo dei detti problemi (sollevato, ma senza successo, già nella fase preparatoria dei lavori dell'Assemblea costituente). Infatti da più parti si va patrocinando l'abolizione di quell'istituto ignominioso costituito dal voto di preferenza, cui esattamente è stato rimproverato di essere fomite di corruzione, di vincoli clientelari. Si impone altresì una revisione del regime elettorale proporzionalista, superando l'assolutezza con cui è ora adottato. E' confortante constatare come, anche sotto questo riguardo, vada emergendo la convinzione della necessità di adattamenti, come è attestato da una recente proposta avanzata dal prof. Ferrara, di parte socialista, degna della maggiore attenzione rivolta ad attuare un sistema di «voto trasferibile», cui sono, a buona ragione, affidate le finalità di «potenziare gli aspetti programmatici della lotta politica, di rafforzare le garanzie di fedeltà ad essi da parte dei singoli candidati resi da esso meglio responsabili di fronte agli elettori ». L'altro aspetto del problema rappresentativo, attinente all'obiettivo del massimo avvicinamento della società allo Stato, mette di fronte alla scelta fra l'unicità o la dualità dell'assemblea elettiva. Non credo di potere convenire né sulla tesi del sen. Terracini della Camera unica, né su quella del prof. Giugni della riduzione del Consiglio dell'economia a mero organo consultivo dell'amministrazione. Mi pare che esse contrastino con la tendenza, sotto gli occhi di tutti, alla estensione dello spirito associativo, alla moltiplicazione dei mezzi di espressione dei più vati interessi sociali (dall'economia e il lavoro fino alla tutela del paesaggio) che tendono a influenzare e influenzano effettivamente gli organi di direzione politica (a volte surrogandone le carenze), ma in modo disorganico e con risultati aleatori, sicché pare legittimo chiedersi se a questa realtà sociale non si possa offrire un luogo di incontro, di dibattito dialettico, di coordinamento. Di primaria importanza appare poi l'organizzazione del lavoro parlamentare, rispetto a cui la riforma dovrebbe tendere in via principale all'eliminazione di due istituti, i quali operano dannosamente perché o concorrono a ottundere il senso di responsabilità dei parlamentari e il dovere di fedeltà ai programmi alla cui realizzazione sono impegnati (com'è quello del voto segreto), oppure alimentano il fiorire delle leggine, mai sufficientemente deprecate, in quanto fonti di disordine legislativo, di settorialismo, nonché di attentato più o meno occulto all'integrità del bilancio (come deve dirsi delle commissioni parlamentari deliberanti). L'eliminazione dell'immunità parlamentare (salvo che per reati spiccatamente politici) verrebbe a soddisfare al principio di eguaglianza — essendo venuti meno tutti i motivi che in passato la giustificavano — e contribuirebbe a quell'esigenza di moralizzazione della vita pubblica da lutti avvertita. Sul problema, che sovrasta sugli altri, dei rapporti fra Parlamento e governo, e sull'altro a esso collegato della struttura dell'interno di quest'ultimo non è il caso di spendere troppe parole per dimostrare la scarsa capacità di assemblee numerose a conferire al lavoro legislativo quei caratteri di organicità e di tecnicismo richiesti dall'indole che essa assume per la sempre più estesa penetrazione della legge in tutti i campi della vita associata, e sulla correlativa necessità di dare più largo spazio ad una legislazione di princìpi, con ampie deleghe al governo per il loro svolgimento. Il rendimento di tale ripartizione di compiti rhmne naturalmente affidato, per una parte, alla saldezza del rapporto fiduciario fra i due organi, e per l'altra all'attuazione del principio della preminenza del primo ministro in seno all'apparato di governo, che era stata affermata dalla Costituzione, ma mai realizzata. Risultati questi difficili a conseguire fino a quando perduri la situazione di governi di coalizione, privi di ogni salda e chiara base programmatica, quale potrebbe provenire da scelte consapevoli dell'elettorato, e l'altra, pur essa penosa situazione, della gara all'interno dei partiti per la conquista della leadership. A questo punto si impone il rilievo che tutte le prospettive di rinnovamento delineate si rivelerebbero vane se non si procedesse al restauro di quella mesta rovina che è la pubblica amministrazione; poiché come l'esperienza dimostra anche la legge meglio redatta rimarrebbe inoperante o darebbe risultati distorti per effetto di un'esecuzione tardigrada o disorganica. Tutti i tentativi da molti lustri compiuti per giungere ad una riforma sono rimasti sterili. Bisogna acquistare una chiara consapevolezza dei fattori di tale insuccesso, e nello stesso intendere l'esigenza di una visione globale dell'organizzazione amministrativa, non ristretta pertanto all'apparato centralizzato dello Stato, ma estesa a tutta l'enorme congerie degli enti di ogni natura che sorgono e si consolidano all'infuori di ogni disegno costruttivo e dell'accertamento della corrispondenza dei mezzi impiegati ai risultati conseguiti. Estraneo al tema proposto, ma tuttavia attinente a quello dell'organizzazione delle forze sociali, il cui nesso con le istituzioni politiche si è rilevato, è quello dell'ordinamento sindacale: tema al quale l'intervento del professor Giugni ha fatto riferimento, quando ha richiamato il pensiero di un sindacalista, della Confederazione generale del lavoro, propenso ad un mutamento dell'applicazione finora data all'articolo 39 Cost. relativo al riconoscimento dei sindacati. Quest'opinione può essere apprezzata come indice confortante della maturazione che va verificandosi della necessità di mettere un qualche ordine in questa materia. Ordine che potrebbe anche aprire la via a quel minimo di disciplina del diritto di sciopero voluto dall'articolo 40, nel senso non già di limitarne l'impiego sotto l'aspetto sostanziale, ma nell'altro di affidare la titolarità della proclamazione e gestione del medesimo alle grandi organizzazioni dei lavoratori (a quelle che, secondo una terminologia accolta dalla recente legislazione, sono qualificate come «associazioni maggiormente rappresentative»). Lo sciopero, per corrispondere alle finalità cui la Costituzione lo ha indirizzato, deve essere espressione di una politica sindacale, possibile solo a quegli enti associativi cui è aperta una visione generale dei problemi del lavoro; risolvendosi altrimenti in anarchica gara di rivendicazioni settoriali e fattore di disgregazione sociale.

Persone citate: Costantino Mortati, Franco Simoneini, Gino Giugni, Giovanni Parravicini, Giugni, Terracini, Umberto Terracini