Un'Europa sicura? di Aldo Rizzo

Un'Europa sicura? Dopo la proposta di Breznev sulla Csce Un'Europa sicura? Lconid Breznev mente proposto ha effettivaGiscard, Schmid!, Wilson e Moro, cioè ai «leaders» dei quattro maggiori Paesi dell'Europa Occidentale, la data del 30 giugno per la cerimonia di chiusura, a Helsinki, della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione europea. La notizia, data non ufficialmente a Ginevra, dove si svolge da un anno e mezzo la Csce. è stata confermata. E lo stesso Breznev ne ha ribadito la sostanza a Budapest, al congresso del partito comunista ungherese: «Conclusione dei negoziati nei prossimi mesi e al massimo livello politico». La lettera del «leader» sovietico, ora si sa, è precedente al «vertice» di Dublino dei nove Paesi della Cee: c questo spiega un atteggiamento europeo che lì per lì, nella capitale irlandese, parve sorprendente. L'accettazione in linea di massima di una conclusione rapida e «al più alto livello» della Conferenza sulla sicurezza, che sembrava contraddire la tradizionale linea di un negozialo paziente e concreto, senza scadenze di tempo, era in realtà una risposta collettiva a Breznev: anche allo scopo — questo fu detto, ufficiosamente — di dare modo allo statista so- viclieo, le cui condizioni di salute sarebbero solo provvisoriamente migliorate, di concludere con la grande cerimonia di Helsinki il suo ciclo politico. Tuttavia, almeno formalmente, non fu un «sì» incondizionato: l'Urss, dissero i Nove e hanno risposto i quattro destinatari della lettera, deve rendere possibili concreti progressi nella stretta finale del negoziato ginevrino. Ora il problema è se questi progressi, che non si sono realizzati in diciolto mesi di defatiganti trattative, siano possibili nei due o tre mesi che, a questo punto, resterebbero a disposizione e che. in buona misura, sono occupali da adempimenti tecnici. In teoria, gli occidentali potrebbero sfruttare l'impellente desiderio sovietico di una conclusione solenne in estate, per ottenere certe concessioni; ma è almeno altrettanto legittima l'ipotesi opposta, che cioè i sovietici non deflettano dalle loro posizioni e che gli occidentali restino intrappolati nella loro acccttazione di massima dei tempi e dei modi proposti da Mosca. Perché prevalga la prima ipotesi, è necessaria una fortissima volontà politica dei Nove, non solo, ma anche degli Stati Uniti: ciò che appare tutt'altro che scontato. I nodi insoluti della Csce sono ancora numerosi. C'è quello dei rapporti culturali ed umani tra le «due Europe»: favorire il disgelo di questi rapporti e quindi, indirettamente, una relativa liberalizzazione dei regimi comunisti, era il massimo obiettivo di partenza degli occidentali; la risposta sovietica è stata sostanzialmente negativa, si dimostra difficile persino un compromesso spostato verso le tesi di Mosca. C'è il nodo della liceità di cambiamenti pacifici delle frontiere (che interessa i tedeschi, per il principio, pur se teorico, della riunificazione, e le prospettive d'integrazione politica dell'Europa occidentale): i sovietici sono per un'interpretazione la più restrittiva possibile. E ancora: c'è il problema delle misure per rafforzare la fiducia reciproca («Confidence — building measures»), come l'obbligo di preannuncio delle manovre militari; l'Urss aveva preso un impegno di massima, ora è restia a rispettarlo. C'è la pretesa sovietica, incautamente favorita dalla Francia, che siano riconosciute alle maggiori potenze «speciali responsabilità»: in questo caso non solo gli occidentali, ma i neutrali e anche Paesi comunisti come la Jugoslavia e la Romania temono una codificazione indiretta e indolore della dottrina della «sovranità limitata». In sostanza, se si realizzasse integralmente l'ipotesi peggiore, cioè l'ipotesi di un successo finale delle tesi sovietiche, la Csce partorirebbe un sistema paneuropeo egemonizzato di fatto da Mosca: un sistema di blocchi chiusi, anziché di rapporti più aperti ed elastici, con l'Urss padrona del proprio blocco, ma anche dotata di mezzi d'intervento, o almeno di pressione, sul blocco occidentale. Sarebbe ovviamente assurdo che gli europei dell'Ovest e l'America rendessero possibile un simile «scenario», per qual si voglia ragione: bisogna dunque aspettarsi, o augurarsi, in questa fase finale della Csce, un serrato confronto diplomatico. Tanto più esso appare necessario in quanto il blocco europeo della Nato dà, per suo conto, segni preoccupanti di sfaldamento, sul fianco Sud: le inquietudini sui possibili sbocchi del «nuovo corso» portoghese si sommano con gli effetti grecoturchi della crisi di Cipro, tuttora aperta, in una situazione che fa dell'Italia la base ultima, o quasi, di un equilibrio sempre più precario. Questo è, per l'appunto, il «quadro internazionale» che La Malfa esorta a tener presente, nei molti discorsi sul «compromesso storico». Aldo Rizzo

Persone citate: Breznev, La Malfa, Moro, Schmid