Film del sequestro giorno per giorno

Film del sequestro giorno per giorno L'impresario lo ricostruisce insieme con gli inquirenti Film del sequestro giorno per giorno Il rapimento: "Erano in tre, mi hanno stordito con un manganello e narcotizzato" -1 lunghi giorni di prigionia, sempre incatenato, con un cappuccio, occhi incerottati e orecchie tappate - "Le lettere le ho scritte sotto dettatura, con una luce violenta che penetrava oltre il tessuto dei cerotti" - Il rilascio: "Ho impiegato quasi un'ora per liberarmi dei legami" Una notte di sonno profondo, ristoratore. Poi, per Renato Lavagna, il risveglio nel proprio letto, nella propria casa dopo nove giorni di prigionia. Un graduale ritorno alla normalità per quest'uomo sfibrato che l'altra sera, appena liberato, non trovava neppure più la forza di trascinarsi per poche decine di metri verso l'unica luce di via Biglieri. E' ancora sotto choc: le minacce dei banditi che Io hanno sequestrato il 5 marzo hanno lasciato il segno. Al momento del rilascio il costruttore, dopo aver chiesto al direttore del cinema Nizza di telefonare alla sorella ed alla madre, ha aggiunto con le labbra tremanti: «Ma, per carità, non avverta la polizia. Quelli mi rapirebbe • ro un'altra volta ». Che cosa è successo in questi nove giorni? Con quali mezzi i rapitori sono riusciti a lare della loro vittima un uomo terrorizzato? Dice Lavagna: « Dopo tanta prigionia non hai più il coraggio ài reagire e tutto ti spaventa ». Guarda la moglie, le due figlie, la sorella che ha condotto sin dal primo momento le trattative assieme con Antonino Multar!. Gli occhi si inteneriscono. Sono occhi che ieri mattina, per la prima volta dopo quasi trecento ore di buio, hanno rivisto la luce del giorno. « Subito dopo avermi rapito — ricorda Renato Lavagna — i banditi mi hanno applicato due cerotti sulle palpebre e li ho dovuti tenere per tutto questo tempo ». Gli investigatori gli hanno chiesto: « Come ha )atto, allora, a scrivere i messaggi ad Antonino Militari se aveva gli occhi chiusi? ». Risposta del costruttore: « Mi levavano il cappuccio nero, ma non i cerotti dagli occhi. Perché potessi vedere ugualmente abbassavano 'sul mio capo una luce tortissima: riuscivo così a distinguere il foglio di carta e le parole che vergavo ». In mattinata e nel pomeriggio è stato interrogato a lungo dal magistrato che dirige le indagini, dott. Pochettino, dai funzionari della questura Montesano, Fersini e Baranello e dai carabinieri del nucleo investigativo. Con loro ha ricostruito l'allucinante film della cattura e della prigionia. Questo il suo racconto. Il sequestro. « 7/ 5 marzo, quel mercoledì in cui mi rapirono, i banditi dovevano essere tre. Mi sono sentito prendere per le spalle proprio mentre salivo sulla mia "Mercedes". Poi, un colpo violento al capo ». Una manganellata, l'uomo si affloscia fra le braccia degli assalitori, viene trascinato su un'auto. « Mi sono svegliato ed ero al coperto. La bocca impastata come se fossi stato narcotizzato, un cappuccio sulla testa, cerotti agli occhi, mani e piedi legati con due catenelle ». La prigionia. Lavagna ha una violenta emicrania, non riesce a raccapezzarsi. Si trova disteso a terra, i tappi di cera nelle orecchie gli impediscono di udire. Si piega su un fianco, geme. « In quel momento mi sono trovato fra le dita un filo di paglia: forse ero in una stalla o in un solaio ». La prigionia in questo locale dura poche ore. Subito dopo — doveva essere notte fonda visto che l'impresario è stato rapito alle 21 — Lavagna sente tre uomini che lo sollevano: « O, almeno, credo che fossero tre. E' difficile rendersi conto delle cose senza poter vedere o udire nulla. Mi hanno gettato su un'auto che è partita subito. Mille scossoni, forse una strada di campagna. Siamo arrivati in un'altra prigione ». Una sistemazione più confortevole. L'impresario è adagiato su un letto {«L'ho sentito morbido sotto di me »), rimane immobile per parecchio tempo sempre ridotto all'impotenza da catenelle e bende. « Così per tutti questi giorni. Quando non potevo più resistere ai morsi della fame gridavo. Arrivava qualcuno che, in silenzio, mi sollevava i! cappuccio e mi infilava in bocca un formaggino o un pezzo di frutta. Poche ore prima di rilasciarmi mi hanno fatto bere un bicchiere di vino ». Renato Lavagna vive in un mondo popolato di paure. Non si rende conto delle persone che gli girano attorno, non sa se sia giorno o notte: i rapitori rispettano solo la sua fame e le necessità fisiche riempiendogli la bocca di cibo o abbassandogli i calzoni. I giorni passano sempre uguali per quest'uomo ormai ridotto allo stremo dalla violenza d'una prigionia senza dolore fisico ma ugualmente terrorizzante. Un giorno i banditi gli dicono (ed è una delle pochissime volte che li sente parlare): « Scrìvi un elenco delle persone di cui ti fidi \ e che potrebbero trattare il tuo ' rilascio ». Gli mettono fra le dita una biro senza liberargli le mani dalle catene. Renato Lavagna scarabocchia il nome dell'avvocato Ledda, quello della sorella, per ultimo quello di Antonino Multar!. E i rapitori: « Va bene, ci metteremo in contatto con questo ». Ancora giorni e notti passate I con la condanna di non poter | udire o vedere nulla. « In tutto il tempo della mia prigionia — ricorda ancora il costruttore — una sola volta ho sentito qualcosa: il canto di un gallo ». Poi la liberazione dopo il pagamento dei 500 milioni. I banditi rubano la «500» rossa che dovrà servire per portare il prigioniero davanti al cinema Nizza di via Biglieri, tolgono il sedile posteriore e quello anteriore destro. Gettano sul pavimento Renato Lavagna ancora impastoiato nelle catene « Abbiamo vagato per molto tempo: due ore, forse tre. E ci siamo fermati due volte. Poi ho cominciato a sentire qualcosa no nostante i tappi nelle orecchie: rumori di motori, clacson. Oltre al guidatore sull'auto c'era un'al tra persona accucciata accanto a me ». Le diciannove qualche minuto e trenta, forse più tardi. La «500» si ferma, i banditi scendono lasciando sul pavimento il loro ormai inutile prigioniero. Il riscatto è già stato pagato, Renato Lavagna è soltanto un peso pericoloso che equivale a trent'anni di galera. Il costruttore non si rende subito conto di essere rimasto solo. Si agita prima piano poi sempre più violentemente. Nessuna mano lo blocca. Incomincia allora a tentare di sciogliersi dai nodi. Un'operazione lunga e difficile che richiede parecchio tempo: si strappa dagli occhi i cerotti e subito li chiude ferito dalla poca luce della strada. Via i tappi di cera, via le catenelle ai piedi: torna libero. Apre la portiera della «500», si lascia scivolare fuori. Cade, si rialza, barcolla. « Un passante mi ha notato ed è subito fuggito ». Cammina tenendosi ai muri. Le 20,40. Apre la porta del cinema Nizza. E' sporco, gli abiti stracciati, la barba lunga, lo sguardo da ubriaco. Nessuno sa che è terrore. Le 21. Via Barletta 138, è a casa. Ora piange di felicità attorniato dai suoi. Tutti chiedono, tutti vogliono sapere. Lui non ha neppure la forza di rispondere, si mette a letto e dice di chiamare un medico. Il dramma è finito, ora è solo più l'incubo d'un ricordo terribile. Le indagini. Il racconto di Renato Lavagna è ora al vaglio degli inquirenti. Un esame difficile di tutti i particolari, dei tempi, delle analogie. C'è fin d'ora qualche perplessità su alcuni punti della deposizione che sembrano inspiegabilmente deboli. Ma forse sono solo défaitlances nella memoria d'un uomo stremato. Il costruttore ha detto: «Mi hanno gettato sulla 500 e abbiamo vagato per due, tre ore». C'è chi obietta: «Come è possibile che i rapitori si siano trasportati il loro ostaggio per tanto tempo su un'auto senza sedili e che poteva dare nell'occhio se, come ricorda il Lavagna, parte del tragitto si è svolto nel traffico cittadino?». E ancora: la 500 è stata rubata in via Po dopo le 18,15, ora in cui la proprietaria Piera Roggero l'ha lasciata sotto casa. E qui i tempi non quadrano: i banditi avrebbero dovuto raggiungere il rifugio smontare i sedili, caricare il Lavagna, viaggiare per 2-3 ore Il costruttore assicura di avere impiegato non meno di tre quarti d'ora per liberarsi dopo essere stato lasciato in via Biglieri. Nes- suno ha notato quest'uomo lmba-1 vaeliatn p. incatenato che si divin-1 vagliato e incatenato che si divincolava in un'auto senza sedili? E perché non gridava, non tentava di attirare l'attenzione? Intanto, ancora dispute tra polizia e carabinieri per assicurarsi la 500 del rilascio. I militari hanno tolto dalla vettura il libretto di circolazione, i funzionari della questura hanno inviato, su questo episodio, un rapporto alla magistratura. Fatti incresciosi che si possono spiegare soltanto con la tensione che, in queste ultime ore frenetiche dopo il rilascio di Renato Lavagna, ha contagiato un po' tutti. Rimangono, al di là di tutto, i punti oscuri nel racconto del rapito. Forse quella da lui descritta non è la reale meccanica del sequestro? Forse il terrore non ancora svanito l'ha fatto confondere? O forse, come sostiene qualcuno, le contraddizioni nascono da gravi minacce, forse di morte, fatte dai rapitori prima del rilascio? Servizio di: Ezio Mascarino, Renato Rizzo, Massimo Boccaletti, Marco Marcilo, Arturo Rampini illllljtllllllllllllllllllltl 1III1IL 11IIIII Renato Lavagna: « Appena mi sono slegato barcollavo come un ubriaco » - Il vicequestore Montesano con il giudice Pochettino - La sorella del rapito

Luoghi citati: Baranello, Nizza