Il breve viaggio di Giulio Cattaneo

Il breve viaggio RACCONTI DELLA DOMENICA: CATTANEO Il breve viaggio Il viaggio era uno dei temi dominanti di Francesco Maria: nel suo proposito fermo di accumulare esperienze attraverso incontri, confidenze, discussioni interminabili, il viaggio rappresentava una fonte inesauribile di possibilità e di occasioni. Della sua infanzia gli era rimasto il ricordo di viaggi lunghi, fra un consolato e l'altro: Odessa, Kandahar. Il padre di Francesco Maria era stato uno scrittore e un uomo politico, amico di D'Annunzio come attestava una fotografia del poeta dall'occhio bendato e la dedica firmata « l'orbo veggente ». Aveva passato molti anni fuori dall'Italia ed era morto giovane prima di raggiungere le mete spirituali dei suoi vagabondaggi. Francesco Maria fu educato rigorosamente al culto del padre e, arrivato ai vent'anni, se ne proponeva per conto proprio una scrupolosa imitazione. Il viaggio non era soltanto un'avventura ma un tentativo di risolvere la vi ta. Ulisse sarebbe stato un personaggio secondario se fosse rimasto prigioniero nell'Iliade, senza poter appagare nell'Odissea la sua sete di conoscenza. Studente di lettere, Francesco Maria pensava a una tesi sulla « prosa di viaggio » accingendosi a esplorare i taccuini, i quaderni, le lettere viaggiatone del Novecento letterario italiano. Se il viaggio non po teva più portare ad autentiche scoperte, come ancora nel Settecento, le persone avrebbero sostituito i luoghi già intrisi di letteratura per arricchire una coscienza da sottoporre a esami continui. Francesco Maria nutriva per la generazione precedente la propria un rispetto profondo e intendeva studia re gli scrittori prematuramente morti fra la guerra del '15 e il primo dopoguerra. Si trattava di partire dalle loro esperienze e nessuno era in grado di farlo meglio di lui che poteva prendere l'avvio dalla strada imboccata dal padre. Francesco Maria componeva certe prose dove sotto forma di allegoria o in travestimenti mitici raccontava le predilette esperienze: era sempre disposto a leggerle e ad ascoltare quelle degli altri. Anche questo era un modo di confessione fra i molti praticati che, nei casi più ricercati e concupiti, spiegavano le ragioni dei trapassi dal fascismo al comunismo e dal cattolicesimo all'ateismo o all'eresia. Francesco Maria, parlando, si concentrava al massimo dipanando un discorso faticoso ma denso di pensiero in formazione: il viso si chiudeva e irrigidiva nello sforzo di un eloquio esatto e convincente, le pause frequenti e drammatiche assecondavano la solennità della voce. Ma improvvisamente si rompeva l'involucro della gravità e della tensione facen do passare Francesco Maria dalle predilette confessioni ideologiche a un'allegria sgangherata, il viso scomposto in un delirio mobile che ne alterava ogni tratto con preoccupazione dei presenti. Cosi finiva per saltabeccare per le strade come un pellerossa impazzito sgomentando i passanti con domande strampalate. La sua stravaganza arrivò al massimo quando andò a trovare un amico ricoverato all'istituto ortopedico senza tener conto degli orari che mettevano limiti a quella apprezzata opera di misericordia che è appunto il visitare gli infermi. Passato di corsa davanti a un portiere allarmato, entrò ansimante in una corsia dove stava immobile l'amico e si sedette cupo, senza dire una parola. Arrivò intanto il portiere seguito da un medico che gli chiese con severità chi fosse e cosa volesse. Lui si alzò e rispose solennemente: « Sono Francesco Maria Baretti, bolognese di nascita ma piemontese di educazione ». 11 medico rimase interdetto ma presto si riprese spiegandogli banalmente che esistevano orari precisi per le visite e invitandolo a uscire con un gesto che parve all'altro troppo brusco. Francesco Maria reagì immediatamente con un pugno senza abbattere l'avversario che lo aggredì a sua volta fra i letti di terrorizzati degenti, braccia e gambe ingessa te, che si vedevano pericolosamente addosso i due furiosi. Francesco Maria non rinunciava comunque, nonostante qualche episodio anomalo di impronta personale, al proposito di modellare la sua vita su quella del padre. Uno dei racconti familiari più ascoltati era quello del padre studente di lettere che proprio all'Università aveva conosciuto la ragazza che avrebbe poi sposato raggiungendola in un luogo di villeggiatura e dichiarandole il suo amore in piena estate. Si era trattato quindi di un viaggio dal valore decisivo. Francesco Maria era deciso a ripetere l'esperienza per suo conto. Ai corsi di letteratura italiana e di filologia romanza aveva notato una bruna molto graziosa con gli occhi chiari che socchiudeva beata ogni volta che incontrava un conoscente. Francesco Maria si era limitato a chiederle rapide informazioni su corsi e esami senza intenzione di conoscerla meglio e arrivare a un appuntamento. Già era dominato dall'idea del viaggio ora che si avvicinava l'estate: si trattava in tutto di sapere dove lei avrebbe passato le vacanze. A quei tempi i rapporti con le ragazze erano più difficili che ai giorni nostri e il corteggiamento poteva essere lungo, contrastato dalla scarsa libertà delle giovani. Maria Luisa aveva, come se non bastasse, un padre siciliano che accorreva a perdifiato ad ogni squillo di telefono e non ammetteva voci maschili se non quella del figlio di un colonnello e di una insegnante collega della moglie. La madre di Maria Luisa, in antitesi alla cupezza del marito, era generosa di sorrisi e di parole gentilissime nelle quali versava un entusiasmo del tutto sproporzionato alle occasioni. Camminava con un passo di danza guardandosi sempre attorno perché non le sfuggisse un conoscente da sommergere con la sua affannata cortesia. Ma Francesco Maria non si curava di questi retroscena perché affidava soltanto al viaggio le sue fortune future. Maria Luisa lo aveva gratificato del suo sorriso a occhi socchiusi, secondo il modulo materno, e questo per il momento poteva bastare in vista della progettata iniziativa che si basava sull'espediente infallibile della sorpresa. Maria Luisa ignorava quindi tutto di quel biondo, alto e distinto, salvo forse la voce della sua disavventura all'istituto ortopedico. Non conosceva le sue prose, né le sue meditazioni sul rapporto nuovo da instaurare dopo il viaggio né tanto meno l'audace disegno in cui sarebbe stata coinvolta. Francesco Maria, oggetto di una severa educazione piemontese, subiva assai più dei suoi compagni gli impacci di un moralistico codice vittoriano imposto da una famiglia integerrima. Condizionato da una letteratura romantica che faceva anche di una ragazza sana, robusta e di buon appetito una creatura eterea difficilmente abbordabile, Francesco Maria praticava nei con fronti delle coetanee un rigoroso stilnovismo sullo sfondo del cortile universitario e dei giardini pubblici. Ogni pensiero e impulso che si riferiva alla poco esplorata sfera del sesso era rigidamente scisso dal mondo delle compagne di scuola e poteva essere argomento di discorso fra maschi mentre alle femmine era ancora riservato un corretto linguaggio vittoriano. Maria Luisa era solita villeggiare sulla spiaggia marchigiana di Pedaso ma, grazie a una informazione truffaldina, Francesco Maria credette per un po' di tempo che si trattasse di Castel Raimondo in montagna. Castel Raimondo gli piacque e il nome sembrò di buon augurio risvegliando vaghi ricordi dei conti di Tolosa fra la prima crociata e gli albigesi. Il viaggio si presentava avventuroso in tempi grami per le ferrovie dello Stato, in una regione dove gli spostamenti erano stati sempre malagevoli. Ma Francesco Maria non si fidò dei suoi informatori e riuscì a sapere di Pedaso. Non fu costretto nemmeno a cambiare l'itinerario studiato con molto scrupolo perché Castel Raimondo e Pedaso erano relativamente vicini. L'equipaggiamento non avrebbe subito variazioni, a parte un costume da bagno, dato che fra monte e mare nelle Marche, in piena estate, era prevedibile lo stesso clima, più o meno. Alla fine partì, imbottito di nozioni artistiche per visitare chiese e palazzi, abbazie e castelli. Quella che era stata una pura costruzione mentale si rivelava in crescendo una fonte di emozioni. A Pedaso, Francesco Maria ritrovò calma e freddezza trasformandosi in un investigatore privato attento c perspicace col risultato di scoprire la casa e il tratto di spiaggia dove Maria Luisa si esibiva in un costume a due pezzi fra le zie e i cugini. Nessuna diva del momento, compresa Rita Hayworth, le avrebbe dato scacco, nemmeno in technicolor, perché la giovane, sfoderata dai mortificanti gusci cittadini, sfoggiava una bellezza mozzafiato, eccessiva per quel lido frequentato da qualche famiglia paesana. Francesco Maria da lontano non sembrava notare niente, soffocato lo stilnovismo originario dal dramma dell'incertezza e dell'attesa. Non osò avvicinarsi e lei non ebbe l'aria di accorgersene limitandosi a guardare indifferente di tanto in tanto con gli occhi socchiusi. Lui non potè resistere a lungo e se ne andò con lentezza dignitosa rimuginando piani di approccio che continuamente disfaceva. Passò il resto del giorno nella composizione di una lettera abbandonandosi alla esigenza e alla vena congeniale della confessione. Raccontava la sua vita e i suoi sogni, la passione nata nelle aule universitarie e mescolata all'idea del viaggio nell'imitazione del padre, accennava al rapporto nuovo e chiedeva finalmente di incontrarsi per prò- ! seguire il discorso a voce. Si consumava proprio in quegli anni la lunghissima tradizione della lettera d'amore; al giorno seguiva la notte che trovava ancora Francesco Maria intento alla scrittura come l'insonne Lucien Leuwen teso a trafiggere da lontano madame de Chasteller. I prediletti romanzi dell'Ottocento gli comunicavano il piacere della lettera che sarebbe arrivata per vie segrete, a dispetto dei padri feroci e del mondo pettegolo, scivolando invisibile fra ostili zìi e cugini. Il giorno dopo Francesco Maria arrivò di buon mattino sulla spiaggia deserta e, trovata la cabina di Maria Luisa, vi lasciò dentro la lettera appostandosi a breve distanza per vigilare sugli eventi. Ma invece della donna amata apparve un cugino che si diresse senza equivoci verso il capanno. Francesco Maria sbarrò il passo all'intruso dicendo con la voce solenne dei momenti difficili: « Non puoi entrare ». L'altro non capiva e si accese un diverbio ma Francesco Maria lo troncò spiegando le sue ragioni con eloquenza appassionata. L'altro si disse allora disposto ad aiutarlo: parlarono a lungo, da amiconi. Francesco Maria si allontanò dalla cabina e restò in attesa sullo sfondo, guardando la spiaggia desolata con pochi capanni logori e il mare senza barche. Arrivò Maria Luisa e il cugino le andò incontro. Lei ascoltando sbirciava verso l'impietrito Francesco Maria, poi entrò in cabina e vi rimase un bel pezzo perché la lettera era lunga. Alla fine uscì e, accompagnata dal cugino, raggiunse Francesco Maria che aspettava come un condannato a morte. Era gentile ma ferma, sia pure col sorriso insopprimibile dovuto alla educazione materna. Quel viaggio di un innamorato quasi ignoto le sembrava una follia, quell'impresa astratta violava ogni regola del codice amoroso fine Anni Quaranta che esigeva molti incontri fra amici e un protratte corteggiamento, « qualche volta sperando, qualche volta disperando », fino alla dichiarazione seguita in breve da regolare fidanzamento. Francesco Maria, secondo le immagini degli stilnovisti, era « come stallia d'ottono », « come colui eh'è fuor di vita, / che pare, a chi lo guarda, ch'omo sia / fatto di rame o di pietra o di legno ». Doveva partire subito, tale fu la risposta alla sua lettera. Dal treno che passava lungo la spiaggia vide ancora Maria Luisa in bikini fra i parenti. Gli sembrò di cogliere da lontano un mezzo saluto: per il momento non rimaneva che comporre una prosa, la prosa del congedo. Giulio Cattaneo

Luoghi citati: Italia, Kandahar, Marche, Odessa, Pedaso, Tolosa