La tortura è legge in Cile
La tortura è legge in Cile La tortura è legge in Cile Accertato oltre ogni dubbio che la giunta si regge sull'impiego metodico delle sevizie Ho preso parte, come membro della stessa, ai lavori della Commissione d'indagine sui delitti della giunta militare in Cile, che ha tenuto la sua terza sessione a Città del Messico. La Commissione venne costituita a Helsinki nel marzo del 1974; essa ha i caratteri di un corpo di giurati, in prevalenza giuristi o probiviri dei vari continenti. Simile al tribunale Russell, ha il compito di raccogliere e valutare prove in relazione alla violazione dei diritti umani sotto il regime della giunta. Nella sessione, oltre agli argomenti della responsabilità Usa (ormai suffragata da abbondante documentazione) e del « genocidio economico », ampia trattazione ha avuto il funesto tema della repressione e della tortura. E' questa ormai, una costante dei regimi autoritari di destra, in modo speciale, come ha documentato il tribunale Russell, dei regimi sudamericani. Tuttavia, se è dato fare raffronti o parlare, per tale materia, di limiti o di senso del limite, dobbiamo dire, per quanto si è ascoltato al Messico dalle stesse vittime (dalle poche fortunosamente fuoruscite), che la giunta militare ha passato ogni limite. Il senso del rispetto per le vittime stesse e per l'ammirevole compostezza con cui hanno parlato delle proprie orribili esperienze dinanzi alla tribuna suggerisce di non indulgere a descrizioni idonee di per sé a suscitare sen¬ e e n ¬ timenti di pietismo (quello, cioè, che non risale alle cause delle atrocità) o raccapriccio commisti a curiosità morbosa. Siamo in un campo in cui la ragione di Stato, o di regime, s'incontra con una esplosione di perversione, il più delle volte a sfondo sadico-sessuale, i cui protagonisti, a parte qualche specialista di questa funesta arte, sembrano essere il prodotto di una diffusa disponibilità all'odio, che evidentemente preesisteva allo stato latente in tutti i corpi armati e che è scattato al momento appropriato. Ma non è facile intendere la ragione di ciò che è avvenuto ed avviene: l'uso diffuso e sistematico della tortura che non lascia neppure alla vittima la libertà morale della scelta tra il martirio e il tradimento, ma vuole solo la sofferenza e, con questa, la totale reificazione o distruzione psichica del soggetto, vivo sì, ma resosi in totale possesso della brutalità altrui. Questa è la realtà del Cile di oggi, la nazione più « europea » dell'America Latina, dove l'avvio ai numerosi centri di tortura rapidamente disseminatisi nel Paese, può aver luogo per chiunque, e vi sono preferiti i soggetti deboli, con particolare inclinazione per le donne, per i più giovani, talvolta per i bambini. L'unica spiegazione possibile è una perversa volontà di creare attraverso la paura diffusa una base di sostegno del regime; ma resta tuttavia arI duo comprendere i meccani¬ smi grazie ai quali la politica del terrore ha trovato repentinamente una così ampia disponibilità di esecutori in tutti i corpi armati. Formuliamo un'ipotesi di interpretazione politica, che può essere anche materia di una salutare meditazione. L'esercito cileno venne allevato nel più rigoroso culto della fedeltà militare, intesa, in senso prussiano, come dedizione al coraggio, al sacrificio, alla durezza, quali valori in sé. La conclamata fedeltà alla Costituzione, altro non era che una versione laica per l'incondizionata fedeltà al monarca, o al dio dei crociati; una fede incondizionata, per l'appunto, e non razionale, capace non di critica, ma solo, al caso estremo, di tradimento. Ma un esercito, e con esso qualunque corpo separato, non può essere fedele a una Costituzione che non conosce, ed i cui valori non ha interiorizzato se non nella forma di puri simboli di legittimazione dei potere. Corpi militari incapaci di pensare liberano un materiale umano disponibile, proprio per la sua condizione strutturale di alienazione, per le forme più brutali di repressione. Una legalità democratica non è garantita se l'uso della forza è devoluto a chi della forza ha solo il culto; ma non sa, o non vuol sapere, a qual fine l'uso della forza stessa è destinato. La dittatura militare cilena, a più di un anno e mezzo dalla sua instaurazione, rive¬ la proprio questi caratteri. Essa non esprime pensiero politico né tenta di munirsi di una qualunque legittimazione ideologica; ha violato una Costituzione, non ne ha progettato alcuna nuova atta a creare una parvenza di legittimità; vieta liDri, ma non ne produce; introduce nelle scuole insegnamenti militari, ma neppure tenta di imporre ideologie sociali reazionarie. Repressione e tortura risultano essere l'unico supporto possibile di un regime in cui la violenza sul corpo degli oppositori è la naturale conseguenza della negazione del pensiero e della ragione. Siamo di fronte ad un caso storico, a cui neppure possono applicarsi le valutazioni giuridiche consolidate, per cui l'assunzione violenta del potere crea uno stato di fatto generalizzatore di una legalità nuova. La qualificazione più conseguente, che è emersa nei lavori di questa sessione, sembra allora quella di un Paese occupato, paradossalmente, dal proprio esercito, ed in cui il popolo ha perso la sovranità, ma questa, nelle forme legali, non appartiene più a nessuno. Un giorno dopo l'altro, appare sempre più frutto di una felice scelta la posizione del governo italiano, di sostanziale non riconoscimento di un regime che è mero potere, non legalità costituita, e che ha perso anche le vestigia esteriori di uno stato di diritto. Gino Giugni
Persone citate: Gino Giugni
Luoghi citati: America Latina, Cile, Città Del Messico, Helsinki, Messico
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