Aragoste e uva

Aragoste e uva DISCORSI DI WOLA Aragoste e uva Vedo una torre merlata, candida, non so se è di burro, di paraffina, o di gesso; le fortificazioni che scendono ai lati improvvisamente si impennano in due teste di cavallo, giganti, della stessa materia; ma davanti si stende un paesaggio morbidissimo, campicelli a strisce cremisi e viola, che sono, guardando bene, cornetti di prosciutto ripieni dì paté de foie gras; laghetti ovali, che sono petti di pollo coperti di una salsa perlacea, e via dicendo. Proseguo: questo è un tempio indiano dalle volute deliranti? No, sono aragoste, in verticale, cerchio; le antenne si diramano intorno capricciosamente, il tutto è sormontato da una grande cupola, che è fatta, guardando bene, di scampi, coperti da una patina lucente; alla base, invece, un cerchio bianco e giallo di uova sode affettate, e pozzetti che sono mezzi pompelmi riempiti con una salsa color ocra. Sto apprezzando la mostra, in attesa del gran gala, che l'antica e celebrata unione dei cuochi piemontesi presenta al Castello di San Giorgio, al Valentino, con i ventotto piatti (ma che dico, piatti? monumenti) in gara per il suo concorso annuale. Per ora si guarda, ecco un altro pezzo incredibile; sembra il turbante del sultano, invece sono petti di fagiano, messi a cupola, come spicchi di un copricapo, e in cima due penne svettanti; alla base invece un «tamburo» tutto decorato di diamanti (sbaglio: sono chicchi d'uva fresca); ai lati due pigne, una sembra un'enorme fragola ed è fatta con una mousse di salmone, l'altra, perlacea, è fatta con una mousse di storione. Continuo a guardare, apprezzo la vista, in attesa di cimentare, la gola; e vorrei citare tutti i piatti schierati su due chilometrici banchi, ma come si fa? D'altra parte, non si può nemmeno puntare sul vincitore del concorso, al quale sarà attribuito, tradizionalmente, il «berretto d'oro», non sapremo stasera il suo nome, la giuria ha già votato, nel senso che ogni giurato ha espresso il suo voto in busta chiusa, sigillata, consegnata al presidente onorario dell'Unione, il commendator Giuseppe Mairino, ma le buste saranno aperte tra qualche giorno, la proclamazione sarà fatta in un'altra festa: intanto si potrà concludere questo gala senza delusioni, per nessu¬ no, senza i mugugni ch'erano diventati un problema ricorrente. Certo, non esiste una specie umana più estrosa, agitata, fiera (e qualche volta un po' nevrotica) degli «chef»; corrono leggende sui grandi che hanno fatto la storia della cucina, cominciando dal grandissimo Vatel, il quale per il mancato arrivo di un cesto di pesce (ma aveva il re, a tavola!) si trafisse il cuore. Meglio dunque rimandare l'elezione del «berretto d'oro 1975». Ma come saranno, dentro, questi piatti; queste sontuose opere d'arte? Parlo con Marco Zannini. presidente dell'unione. Mi dice che i piatti in gara sono stati più di quaranta, intanto; ma una parte non è arrivata in tempo, oppure non rispondeva alle prescrizioni del concorso. Che si rivolge soprattutto ai giovani, ma vede all'opera, regolarmente, anche i maestri, ciascuno sotto le bandiere del proprio ristorante, questa è sempre, per tutti, una grossa occasione. Chi sono, a proposito, gli autori di quei tre «monumenti» che mi hanno colpito di più? Eccoli, ma son tenuto a precisare che si tratta di una mia curiosità personale, e soltanto, esclusivamente, sul piano della presentazione (lo so, lo so, più tardi vedremo il resto): il castello è di Angelo Anselmo (ristorante San Giorgio, gioca in casa); il tempio di aragoste è della gastronomia Castagno, il turbante è di Alme (Villa Sassi, «noblesse oblige»). Arriviamo finalmente agli assaggi, sono a tavola tra due colossi dell'arte: Pino Capogne past-president della federazione italiana dei cuochi, e Paolo Cascino, arrivato apposta dalla sua Palermo, nomi famosi anche sul piano internazione. Sfilano nel mio piatto molte «mousses», eccellenti; polpe delicate, salse dai riflessi brillanti e suggestivi. Spio i miei due illustti commensali, vedo una luce accendersi seglì occhi di Capogna per una salsa «chaud-froid» che sa di Via Lattea, colgo uno sguardo mesto di Cascino quando, aprendo una coscia di pollo, scavata da una montagnetta di ammennicoli che l'accompagnano, scopre ancora qualche venatura sanguigna. Vincenzo Buonassisi

Persone citate: Angelo Anselmo, Capogna, Cascino, Castagno, Giuseppe Mairino, Marco Zannini, Paolo Cascino, Pino Capogne, Vatel, Vincenzo Buonassisi

Luoghi citati: Palermo