Emigranti della poesia di Lorenzo Mondo
Emigranti della poesia Gli amici di Corazzini a New York Emigranti della poesia I Singolare libro, il Si sbarca a New York di Fausto Maria Martini, contestato come romanzo e come testimonianza di generazione, per l'insufficiente libertà fantastica e per l'imprecisione del ricordo. Eppure conserva, nonostante tutte le approssimazioni, una vaghezza ingenua che lo renderà accetto anche a chi non cerchi di ricomporre, attraverso le sue pagine, i tratti del poeta Sergio Corazzini. E va data lode a Giuseppe Farinelli, attento esploratore degli archivi del Crepuscolarismo, se ci restituisce, da un ormai remoto 1930, questo libro introvabile. Si sbarca a New York è appunto la storia, narrata da un protagonista, del sodalizio poetico che, nella Roma dei primi anni del secolo, strinse un gruppo di giovani intorno alla figura intensa, febbrilmente accesa, di Sergio Corazzini. Nel poeta poco più che ragazzo, incalzato dalla tisi a pronunciare parole sempre più spoglie e scavate, i compagni vedono non soltanto un caposcuola, ma « un angelo in esilio o un semidio ». La povertà, l'oscuro lavoro alla compagnia di assicurazione, la malattia, non riescono ad offuscare la luce che lo staglia. Sergio che ordina il terzo pernod al cameriere giocando al poeta maledetto, Sergio che guida gli amici a scoperte notturne rabbrividendo alla vista delle arcate spettrali di San Saba, Sergio che abbatte le mura dell'ospedale calcandosi in capo un colorato berretto da fantino, Sergio che pronuncia con religioso fervore, con straziante dolcezza, i versi di un amico. Ci sono i luoghi topici della poesia crepuscolare, c'è la fede trepidante in un alto destino che la presenza di Corazzini autorizza e insieme irride. Già nelle prime pagine cogliamo il poeta adolescente al caffè, « in riva a quella specchiera che occupava l'intera parete e dove si vedeva tumultuare una folla di teste, riflesse dalle specchiere dirimpetto, in un gelido sconfinamento di spazi moltiplicati. Ogni volta che Sergio vi si guardava per avvolgersi intorno al collo l'immancabile sciarpa di seta, quello specchio gli dava l'illusione di "affacciarsi sul mondo dei morti" ». E fermato in uno specchio apparirà per l'ultima volta agli amici, da una porta socchiusa, nel suo letto di moribondo. Con la fine di Corazzini il gruppo si dissolve, per Qualcuno è la fuga. C'è l'orrore per una città « che ha lasciato morire Sergio nella più squallida delle sue case ed ha lasciato noi vivi per le sue strade senza di lui »; c'è forse il desiderio inconscio di ricominciare da capo, di rifiutare la maturità troppo precoce del disinganno, di troncare un processo di morbida autodistruzione. Fausto Maria Martini, Gino Calza Bini e Alberto Tarchiani (che sarà poi ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti) partono per l'America. A New York, i tre sbarcheranno il lunario trasformando le loro stanze in dormitorio per emigrati italiani, faranno i lustrascarpe in un negozio di barbiere, conservando il culto dell'amico perduto. Fu davvero magnetica la personalità esan¬ gue di Corazzini se, al dì là del superstizioso angelismo, potè protrarsi così a lungo tra gli amici il cameratesco fervore, il maschile esclusivismo dell'adolescenza. Davanti a una rissa di ubriachi. Calza Bini recita una poesia di Sergio per ammansirli. Ed è il pensiero di Sergio che aiuta Fausto a districarsi da una torbida scena di seduzione, a respingere una donna come se appartenesse a razza nemica. La purezza necessaria alla poesia viene esemplificata, con involontaria ironia, dai casi di un altro italiano, qua-1 si segregato nella stia villa in riva all'Hudson mentre la moglie, che lo tradisce, fa prosperare una banca. E' una figura di qualche interesse anche documentario, dal momento che è stata identificata recentemente con quella dell'eccentrico poeta simbolista Agostino J. Sinadinò. La « religione » di Corazzini, dopo fedeltà e tradimenti, sembra rianimarsi e spegnersi con il ritorno di Fausto a Roma, quando vengono riesumate al Verano le ossa di Sergio; ma il suo ultimo guizzo sarà affidato a questo libro, per Martini l'opera del congedo. Dei due sostanziali capitoli che lo compongono, quello americano è più scritto e fuso: evidentemente Martini, nella prima parte, pur dichiarando di voler fare romanzo, si sente soverchiato dalla presenza di Corazzini, gli atti, le parole, le lettere. L'abbandono sentimentale, la scoperta ricerca di parallelismi e analogie di valore simbolico sembrano poi assegnare le pagine romane a un tempo diverso, sul quale non si sia fatta sentire, ancora, la tornita vigilanza (qui ha ragione il Farinelli) degli scrittori rondisti. Certo, nel momento in cui esce, questo libro guarda tutto all'indietro. Si pensi a come viene declinato il tema dell'America: le fatiche e l'abbrutimento degli emigrati oppure, nella famiglia altolocata dei protettori di Fausto, il cretinismo misticheggiante del marito, le propensioni vagamente incestuose della moglie. Siamo ancora, secondo la definizione di Lawrence, davanti a una «vast republic of escaped slaves », alle ossessioni e nevrosi mutuate da Poe. E' il 1930, l'anno in cui esce sulla Cultura il saggio di Pavese su Sinclair Lewis, in cui nasce, nella cultura italiana, il mito vitalistico di un'America che ha in grembo il futuro. \ Lorenzo Mondo Fausto Maria Martini: « Si sbarca a New York », Ed. Istituto Propaganda Libraria, a cura di Giuseppe FarintiìH, pag. 283, lire 3800.
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