La via delle spezie di Carlo Casalegno

La via delle spezie Fino alla Cina per Nerone La via delle spezie In Roma, dall'età di Nerone a quella di Caracalla e anche più lardi, fino alle conquiste barbariche, gli empori delle spezie occupavano quasi certamente il primo posto — escluse le botteghe di alimentari che fornivano cibo a milioni d'abitanti — nella vita commerciale della città. Alcune delle spezie erano generi di lusso, unguenti preziosi, cosmetici delicati, aromi rari: economisti e moralisti ne deploravano il largo consumo, dannoso alla bilancia commerciale e ai buoni costumi. Ma altre, le più numerose, erano — o apparivano — generi di prima necessità, d'uso corrente nella vita quotidiana, e materie prime indispensabili a una fiorente industria di trasformazione. Qualche storico ha definito le spezie « il frigorifero dei vecchi tempi »: servivano a rendere commestibili, o appetibili, dei cibi che non si potevano conservare con il freddo. Per necessità o per gusto, la maggior quantità di spezie umili e preziose, casalinghe ed esotiche, era certo riservata alla cucina. Con esse i romani condivano i cibi c aromatizzavano il vino; sulle quasi cinquecento ricette romane che ci sono rimaste, almeno i due terzi prevedono l'impiego di spezie, dall'alloro allo zenzero e al cinnamomo. Ma le spezie erano indispensabili anche in medicina, per preparare farmaci, veleni, antidoti, pozioni anestetiche. Servivano a produrre unguenti, profumi, cosmetici. Erano usate per imbalsamare i cadaveri e combinare filtri magici. Erano indispensabili al culto, degli dei o degli imperatori. Trovavano impiego nell'industria dei tessuti, dei vetri e anche delle miscele profumate che Roma esportava in Oriente. Nelle botteghe della capitale, secondo attendibili congetture, si vendeva più d'un centinaio di spezie. Un'ottantina giungevano dall'interno dell'Impero, e alcune dalla slessa Italia: la menta, il finocchio, il ginepro, il cerfoglio, il naido, il timo, la senape d'Egitto, il balsamo di Giudea, l'ammoniaca della Libia, l'assenzio del Mar Nero. Ma altre giungevano da paesi stranieri e remoti, dopo viaggi di migliaia di chilometri: il balsamo, l'incenso, la mirra dall'Arabia e dall'Africa orientale: l'assafetida dalla Persia; il pepe, il sesamo, lo spigonardo, lo zenzero, il legno di sandalo dall'India o dalla Malesia; la canfora, la cassia, il cinnamomo, i chiodi di garofano dall'Indonesia, dal Tonchinò o dalla lontanissima Cina. Era un commercio intenso, regolare e del valore di molti miliardi; metà delle merci importale dall'Oriente e dall'Africa, secondo i registri delle dogane, erano spezie. L'aspetto più sorprendente di questo traffico internazionale, continuo e perfettamente organizzato, c offerto dagli itinerari che le droghe percorrevano dalle terre di produzione alle botteghe di Roma. La « via delle spezie » come la « via della seta » sono realtà ben documentate che sfidano la più accesa fantasia romanzesca, e infrangono molti luoghi comuni della nostra coltura scolastica. Esse saldano, in un metodico movimento commerciale, gli itinerari di Alessandro Magno, delle Mille e una notte, di Marco Polo, degli esplorato- I ri portoghesi (o se si vuole di Salgari e di Michele StrogofI), anticipandoli di migliaia d'anni. Le « vie della seta », su cui viaggiavano anche alcune droghe dell'Estremo Oriente, partivano all'incirca da Pechino ed attraverso il Sinkiang, il Turkestan, l'Afganistan giungevano ai mercati di Babilonia o Damasco; una variante, più tarda, attraverso le impervie montagne del Tibet scendeva in Birmania; un'altra via ancora passando nelle terre degli sciti, e facendo tappa nell'attuale Stalingrado, arrivava sul Mar Nero. I mercanti sceglievano l'una o l'altra strada secondo le guerre, le stagioni, le richieste del mercato; ma le lente carovane di cammelli, di cavalli, di buoi, di muli, di portatori (in Birmania) viaggiavano regolarmente attraverso le terre dei « barbari », nel quadro d'un sistema d'accordi che offriva sicurezza, posti di tappa, un regime non arbitrario di pedaggi. Dicono alcuni documenti che le belve, orsi o tigri, erano nella Scizia un rischio più grave dei predoni. Più straordinarie ancora le vie delle spezie. Esse percorrevano con regolarità itinerari ancor oggi difficili, in terre che ci appaiono decadute dallo lPd(la laRmonstvndZptgNtcmldugSmlzFcrrzspdszcarirsrps1auz splendore antico. L'incenso e la mirra salivano verso il Mediterraneo attraverso il deserto d'Arabia; il pepe passava per l'Oceano Indiano e il Golfo Persico; e la più rara tra le droghe, il favoloso cinnamomo (la cannella), per secoli arrivò a Roma dai ricchi empori della Somalia, risalendo il Mar Rosso o il Nilo. Ma il cinnamomo non nasceva in Africa orientale: proveniva dalla Cina, dal Vietnam, dall'Indonesia. Mercanti malesi, sulle zattere a bilanciere, lo trasportavano attraverso l'Oceano Indiano nel Madagascar, sulle coste del Kenya e della Somalia, a Zanzibar; la preziosa droga, prima di giungere al consumatore, percorreva un terzo del globo e toccava tre continenti. Non meraviglia che l'acquirente Io pagasse quanto la seta, cioè il suo peso in oro. Roma non era soltanto il maggior mercato per le spezie, le stoffe preziose, le gemme dell'Oriente; era il centro di un'attività commerciale che legava il Baltico all'Etiopia e la Spagna alla Cina. La pax romana assicurava scambi regolari nell'immensa area d'influenza dell'Impero. I capitalisti ro¬ mani finanziavano il movimento delle carovane e le flotte di mercantili in viaggio tra l'Arabia e l'India. Le monete romane sostenevano l'interscambio euro-asiatico, come la sterlina nell'800. Il prestigio e la fama di probità dei romani favorivano gli accordi internazionali: antichi cronisti cinesi li elogiano per la capacità di rispettare i patti e « non praticare doppi prezzi ». Questa storia vera e favolosa è l'argomento di Roma e la via delle spezie; un libro d'alto valore scientifico, puntiglioso fino alla minuzia, e più affascinante d'un romanzo d'avventure. L'autore e uno strano personaggio: professore di Oxford, conobbe gli itinerari delle spezie in una lunga carriera di funzionario coloniale in Mesopotamia e in Malesia. Appassionato cultore dei classici greco-romani, ha utilizzato per la sua storia tutti i documenti indiani e cinesi finora editi, e le più aggiornate risorse dell'archeologia e della filologia. Alla fine d'una lettura attenta e paziente il lettore non si è soltanto divertito: ha scoperto un mondo pressoché ignoto. Carlo Casalegno .1. Inncs Miller: « Roma e la via delle spezie », Ed. Einaudi, 311 pagine, 6000 lire. I R dll'à di N

Persone citate: Alessandro Magno, Arabia, Einaudi, Fino, Mercanti, Miller, Nerone, Salgari