La morte di Emilio Lussu

La morte di Emilio Lussu POLITICO, SCRITTORE, UOMO CORAGGIOSO E SOLITARIO Ebbe una parte di primo piano nel movimento giellista, nel partito d'azione e nel socialismo postbellico - "Un anno sull'altipiano", ricordi della prima guerra, e "Marcia su Roma e dintorni" sono i suoi libri più belli Forse il giudizio che più si attaglia a Emilio Lussu è quello che una volta egli stesso pronunciò su una delle figure da lui più ammirate e amate, Silvio Trentin: « Ciò che lo elevava al di sopra di tanti uomini d'ingegno e di cultura che ho conosciuto non era già la cultura o il talento, ma il suo carattere e la sua umanità ». Fu un uomo di favoloso coraggio. Nato nel 1890 ad Armungia (Cagliari), fece appena in tempo a terminare gli studi universitari prima che la grande guerra ne rivelasse, nella Brigata Sassari, le doti eccezionali. Raccolse e filtrò le sue esperienze d'allora in un libro bellissimo, Un anno sull'altipiano: una delle opere più meritamente famose di tutta la nostra letteratura di guerra. Ufficiale valorosissimo, sentì la disumanità di certe ostinazioni cadorniane in assalti sanguinosi e inutili. « Sono stanco di fare il macellaio », confidò in trincea all'amico Bellieni. Una volta, al generale che gli ordinava di ripetere, con i suoi soldati, l'inutile assalto, rispose tranquillo: Signor no. « Il generale lo guardò con gli occhi sbarrati: — Come signor no! Non intende eseguire l'ordine? — Signor no — Io la faccio fucilare immediatamente — Signor sì ». Per quel giorno l'azione fu sospesa, e il generale borbottò: « E' il più bell'ufficiale dell'esercito. Se tutti gli ufficiali avessero quel fegato, la guerra sarebbe già vinta da un pezzo ». Dopo la prima guerra, fu tra i fondatori del Partito Sardo d'Azione. Sostenne im- per raggiungerlo. Assolto^per pavido la lotta contro il fa-seismo, alla Camera e per le vie e le piazze. Aggredito nel-la sua casa di Cagliari dacentinaia di fascisti che, ne! 1926, volevano finirlo, si difese uccidendo il primo scalmanato che dal balcone stava legittima difesa, fu mandato al confino. Rimase memorabile la sua fuga da Lipari nel 1929, con Carlo Rosselli e Fausto Nitti. Semplice e an- tiretorico per natura, non menò vanto alcuno per questa impresa, mirabilmente preparata e audacemente eseguita. In una sua testimonian- re Borbone, a scappare sia-1 mo buoni tutti». Quello che contava, recupe-1 . rata la libertà e rifugiatosi in j | Francia, era riprendere su- bito la lotta. Nacque così il movimento Giustizia e Liber- tà, che doveva soprattutto | agire in Italia. Scrisse in que- ; gli anni d'esilio alcuni piccoli libri (piccolissimi di formato, | 1 za del 1960 al teatro Alfieri i di Torino, diceva arguto: «Tij rate le somme, una fuga è , ima fuga, e, per ispirarmi al per poter essere più facilmente introdotti in Italia; e chi scrive, allora giovanissimo, ricorda con quale commozione li ebbe tra le mani): La Catena, e Marcia su Roma e dintorni. Il secondo dei due è stupendo, per ironia sferzante ed efficacia scultorea di stile. E' la storia di tutte le piccole e grandi viltà, delle conversioni pavide o interessate, della violenza sistematica delle squadracce, della inerzia dei pubblici poteri. Un libro che oggi andrebbe riletto e meditato: anche allora, come purtroppo è accaduto in questi giorni a Roma, cittadini furono accoltellati per non aver voluto fare il saluto romano. Di fronte alla imbelle acquiescenza dei tanti, al cinismo dei benpensanti che trovavano comodo rifugiarsi nel solito adagio che « gli italiani hanno il governo che si meritano », o che scotevano il capo dicendo: « L'on. Lussu è un poeta, ma la politica si fa in prosa e non in versi », egli poneva in luce i rari episodi consolanti; come questo, sulla sua partenza dalla Sardegna per essere trasportato dal carcere a Lipari: « Mentre scendevo verso un canotto della polizia. una vela da pesca rientrava veloce, spinta dal vento. Mi passò di fronte, a pochi metri. Un giovane marinaio mi riconobbe, e capì di che si trattava. Con un salto, si portò sulla prua e, ritto, gridò: — Viva Lussu! Viva la Sardegna! — Fu questo l'ultimo saluto della mia isola ». In realtà ogni sua paginai per quanto bella, aveva un preciso scopo, voleva essere una guida e un incitamento all'azione. Ce lo dimostrano gii articoli che, a partire dal 1932, egli scrisse (sotto lo pseudonimo di Tirreno) sui « Quaderni di Giustizia e Li berta ». Irrideva i politici che affrontavano la lotta con la mentalità di tempi ormai sepolti: « Come il pastore Aligi, essi hanno dormito settecent'anni ». Confidava soprattutto nelle classi lavoratrici — operai, contadini, piccola borghesia —, negli intellettuali e nei giovani. Sentiva avvicinarsi ineluttabile, con la guerra fascista, la tempesta rivoluzionaria. Si professava socialista, e voleva impegnare sulle sue posizioni tutto il movimento GL. Uno dei suoi scritti più belli era dedicato a Errico Malatesta, alla sua ricca umanità, il suo amore della vita, il suo carattere. « Il suo esempio domina in un ambiente in cui il carattere non pare sia la virtù precipua del genio della stirpe ». Sognava un socialismo rinnovato, e vedeva in Giustizia e Libertà l'embrione del grande partito socialista del futuro, sceso tra le masse. Fu questa l'idea-cardine che egli portò anche nel Partito d'Azione, e che doveva fatalmente scontrarsi con le diverse idee di altri suoi compagni, pur attivi come lui nella Resistenza. Ricordo la lettera (molto bella) che un giorno, nell'infuriare della lotta al Nord, gli scrisse da Torino Vittorio Foa. Gli raccontava del « disperato entusiasmo » (proprio queste, ricordo, erano le parole) con cui si battevano qui da noi le prime formazioni partigiane Gielle; e invitava l'autore della Teoria dell'insurrezione (pubblicata a Parigi nel 1936) a raggiungerci. Ma Lussu rimase a Roma, attivissimo. E poi fu alla Consulta, e alla Costituente, e ministro e deputato, prima azionista e poi socialista. Era stato uno dei protagonisti del congresso del Partito d'Azione nel febbraio 1946; e il suo lunghissimo, drammatico discorso fu tra quelli che fecero precipitare la crisi, peraltro fatale, del partito. Fu spesso criticato per certi suoi atteggiamenti che erano, o sembravano, impolitici. Salvemini, che gli voleva un gran bene, nel '46 e nel '47 lo strapazzò in modo anche aspro. (Per il fuoco morale, la forza dello stile, la cristallina onestà e anche certi eccessi polemici i due si somigliavano moltissimo). Lussu non era certo un « diplomatico » (anche se uno dei suoi ultimi libri, e tra i più felici, è la raccolta di ricordi intitolata Diplomazia clandestina). Fu una figura solitaria, nel nostro paesaggio politico. Le sue boutades, i suoi discorsi sferzanti in Parlamento colpivano il segno. Diritto, magro, in apparenza fragile (e coi polmoni rovinati da carcere e confino e vita durissima), era di una forza indomita. Joyce Lussu, la sua degna compagna, una delle nostre migliori scrittrici, gli fu sempre al fianco. In questi ultimi anni Emilio Lussu si era un po' appartato: ma fino all'ultimo volle essere vicino all'antifascismo, alla Resistenza. Con lui scompare uno degli uomini di cui l'Italia avrebbe più disperatamente bisogno. A. Galante Garrone Roma, 6 marzo. Il senatore Emilio Lussu è morto ieri pomeriggio nella sua casa romana. Come l'estinto voleva, la notizia della morte è stata data solo oggi, giorno dei funerali. Alla cremazione hanno assistito la moglie Joyce e il figlio. Alla famiglia sono giunti messaggi di cordoglio da esponenti politici e culturali. La morte di Emilio Lussu Emilio Lussu