Asceti nel deserto di Sergio Quinzio

Asceti nel deserto AUTOBIOGRAFIA D'UN MONACO Asceti nel deserto Alcuni vagavano come bestie per luoghi selvaggi mangiando erbe e radici e nascondendosi nei cespugli; altri stavano chiusi in sepolcri o in buche scavate nella terra; altri si strascinavano sotto pesanti catene; altri vivevano appollaiati sugli alberi o su alte colonne. Ecco i primi monaci cristiani, i Padri del deserto che nel IV secolo, a migliaia, avevano popolato le contrade più aspre della Siria, della Palestina e dell'Egitto. Per lo più si avvolgevano nella melotc, una pelle di capra, ma non di rado erano nudi. Qualcuno con ferri roventi copriva di piaghe il suo corpo, qualche altro si faceva pungere dagli insetti fino a diventare irriconoscibile. C'è chi si lasciava cuocere dal sole e chi si fingeva pazzo per essere disprezzato. Da questi sconcertanti inizi si svolgerà la lunga storia del monachesimo. * + Ma qual è il movente di tutto questo? Che cosa veramente intendevano fare monaci, anacoreti, cremiti? Forse manca tuttora perfino un adeguato tentativo di capirlo. Si può dire che quei cristiani cercassero, finita l'« era dei martiri », un equivalente del martirio; si può dire che intendessero seguire i cosiddetti « consigli evangelici » di povertà e di rinuncia; si può dire che fuggissero la chiesa già mondanizzata e l'ambiguità di un impero cristianizzato; si può dire che con l'ascesi della verginità volessero additare l'estinzione della specie umana e la fine del mondo. Ma resta oscuro l'essenziale, il punto di convergenza profondo nel quale motivazioni come queste, e altre ancora che si potrebbero trovare, acquistano la forza di iniziare un movimento millenario. La vita monastica era spesso chiamata « vita angelica », e forse il centro di tutto è proprio l'idea di vivere una vita non più umana. L'uomo nuovo e l'uomo vecchio di cui parla san Paolo venivano evidentemente interpretati nel senso di una coesistenza nell'uomo di due principi opposti, tali che l'affermazione di uno comporta necessariamente la negazione dell'altro. L'uomo dunque doveva essere lacerato, per strappare l'angelo che è in lui dall'animale che è in lui. L'ascesi disfa l'uomo: quanto più l'animale è abbandonato, consumato, ridotto a inerte materialità, tanto più l'angelo vive. La storia lausiaca — pubblicata dalla Fondazione Valla e da Mondadori in versione italiana con testo greco a fronte — e una storia di monaci del deserto scritta da uno di loro, Palladio, adatta per verificare l'ipotesi della vita monastica come progetto di vita angelica. Vi si legge che molte volte l'asceta Isidoro, stando a tavola, era scoppiato in lacrime dicendo: « Mi vergogno di partecipare a un nutrimento materiale, mentre sono un essere spirituale ». D; altri monaci è detto che « mentre mangiano si coprono il capo con le cocolle, affinché un fratello non veda un altro fratello in atto di masticare ». Riferendosi al desiderio di cibo che indusse Esaù a cedere la primogenitura per il famoso piatto di lenticchie, si parla dell'« immonda soddisfazione delle viscere ». L'atto coniugale, essendo il più carnale e il più direttamente legato al protrarsi e al moltiplicarsi della vita nella carne, è l'« atto vergognoso » in assoluto, e nel libro di Palladio s'incontrano, come tante volte accade negli apocrifi del Nuovo Testamento, spose che con varia fortuna tentano di persuadere lo sposo alla verginità o alla perpetua continenza. Per lodare Melania, la giovane che «s'inoltrò nell'odio contro il matrimonio», ci si dimentica completamente della Lettera agli Ebrei che dice: « Le nozze siano onorate da tutti» (13,4). Vergognarsi del cibo e del sesso significa in realtà addirittura capovolgere la prospettiva biblica, sia vetero che neotestamentaria, nella quale il banchetto e le nozze, in quanto pienezza di vita umana, sono le figure della salvezza promessa da Dio. Vi sono anche monaci che si sforzano di restare svegli, e cadono nel sonno, dovunque si trovano, quando ne sono sopraffatti contro la loro volontà. L'asceta tebano Doroteo ne rivela la ragione dicendo a chi vuol persuaderlo a dormire: « Se riuscirai a persuadere gli angeli ad addormentarsi, persuaderai anche l'uomo virtuoso ». Se per il monaco è importante salmodiare, lo è perché salmodiare è ritenuto il compito degli angeli. Salendo sugli alberi e sulle colonne egli sale la scala del Paradiso allontanandosi dalla terra; caricandosi di catene è costretto a camminare curvo senza vedere le cose attorno, come non le vede stando nel buio delle tombe e delle grotte. Non è strano, perciò, che il suicidio possa risultare positivo, come nel racconto del giovane bellissimo che ha « un ardente amore della morte », o nel caso dell'asceta settantenne Pacone, che piuttosto di « cadere nella vergogna a causa della passione carnale » decide di morire accostando ai genitali una serpe velenosa. L'asceta è, secondo il significato della parola, colui che compie esercizi per conseguire la liberazione dalle passioni, l'indifferenza cioè per qualunque bisogno, gioia o dolore umani. Alla fine della sua strada c'è questa assoluta apalheìa: quando perviene a tanto, il monaco « ha raggiunto la perfezione », « la suprema beatitudine ». Allora, come succedeva per Adolio di Tarso, chi vedeva l'asceta dubitava che « non fosse un uomo, ma una apparizione ». Ci si può chiedere se i monaci del deserto abbiano davvero conseguito ciò che con i loro terribili sforzi volevano conseguire. Non credo che si possa rispondere affermativamente. E non soltanto per le frequenti ricadute dall'ascesi nelle passioni, di cui lo stesso Palladio non fa mistero. C'è infatti un fallimento più sottile e profondo. Ne è un indizio, intanto, il modo in cui questi uomini non più terrestri guardano alle cose mondane. Palladio scrive la sua storia per Lauso, altissimo funzionario alla corte di Teodosio II. Di Teodosio I dice: « Il grande imperatore che ora si trova con gli angeli », e parla dei « piissimi imperatori », della « veneratissima stanza imperiale », degli « uomini invincibili per nobiltà di sangue », mettendo in rilievo le nobili origini di numerosi monaci. + -¥■ Ma come si fa, poi, a non dubitare che la passione tutta spirituale dell'orgoglio non serpeggiasse anche tra i più puri? Non sono forse loro a raccontare le solitarie lotte combattute contro i demoni, a riferire i segreti eroismi? E non ci s'imbatte forse spesso, lungo le pagine di Palladio, in episodi ed espressioni che glorificano qualche «ascesi grandiosa », che stabiliscono primati, che alludono chiaramente a una specie di continuo confronto tra campioni d'ascesi? L'asceta è un vincitore, un trionfatore. I più celebri tra loro sono visitati e ascoltati con venerazione da insigni personaggi, sono cercati per essere fatti vescovi (anche Palladio sarà vescovo, e poi santo canonizzato), vivono tra i monaci che gli si raccolgono intorno per seguirne l'esempio « come un re delle api in mezzo al suo piccolo reame ». Comunque, la virtù dei primi monaci fu lontana dall'impedire scismi tra loro, come in occasione delle controversie circa l'ortodossia di Origene, delle quali resta traccia anche nella Storia lausiaca, là dove Palladio mostra di avversare con violenta passione san Girolamo. Presto si diffusero, del resto, il dubbio o la consapevolezza che la via angelica è destinata a fallire, e il sospetto, almeno il sospetto, che può essere più perfetto chi vive con discrezione nel mondo. Forse anche per questo la vita monastica si trasformò assumendo nel giro di pochi anni forme organizzative sempre più stabili e complesse, le quali evidentemente implicano il riconoscimento e l'accettazione della terrestre realtà umana. Alla metà del IV secolo i monaci di Pacomio avevano già la loro flotta commerciale sul Nilo. * * Se l'anima del monachesimo è il sogno di una vita angelica, quest'anima è però gravata da altri elementi, oscuri e anche contraddittori fra loro. Si sentono gli attriti, le confusioni e più spesso le elusioni nate dal grande incontro, o scontro, della cultura ellenistica con la tradizione del monoteismo ebraico. Ma in tutta questa scoraggiante complessità di elementi quel che appare veramente sacrificato è proprio l'annuncio evangelico della salvezza nel regno messianico, della resurrezione della carne. Non sorprende leggere in Palladio che l'asceta Natanaele è « entrato nel sonno eterno ». Perfino il pluralismo che oggi s'invoca anche in teologia avrebbe, penso, un arduo compito se volesse inserire in un qualche modernamente comprensibile modo di concepire la verità cristiana il cristianesimo degli antichi monaci. Non potrebbe che considerarlo come una remota tappa nel grande itinerario evolutivo dei secoli post Christian: ma una spiegazione in base all'idea di progresso della storia sarebbe precisamente la più completa negazione ed esclusione del cristianesimo come lo concepivano anacoreti ed eremiti. Piuttosto, bisognerebbe avere il semplice coraggio di dire che i Padri del deserto hanno fatto del messaggio cristiano una lettura impressionante ma tragicamente erronea, e che la storia dei secoli cristiani vede il buon giorno da questo mattino. Sergio Quinzio

Persone citate: Pacomio, Palladio

Luoghi citati: Egitto, Monaco, Palestina, San Paolo, Siria