Impiccano in effigie il preside contestato di Giuliano Marchesini

Impiccano in effigie il preside contestato La rivolta di studenti a Rovereto Impiccano in effigie il preside contestato Gli alunni lo accusano di essere un reazionario e il Provveditorato lo ha sospeso - Il professore dice: "Non sono fascista, la mia concezione della scuola è un idealismo democratico" (Dal nostro inviato speciale; Trento, 5 marzo. «Tindaro Maria, ti cacceremo via». Tindaro Maria è il professor Imbesi, preside dell'istituto tecnico industriale «Marconi» di Rovereto, sospeso dal provveditorato agli studi dopo una clamorosa contestazione dei suoi allievi. Lo solgan è stato scandito, ritmato dai ragazzi che formavano un corteo lungo le vie della città. Uno scompiglio nell'ambiente scolastico di Rovereto. Gli studenti hanno innalzato un cartello sul quale il professor Imbesi era definito «reazionario» e hanno «impiccato» in pubblico un manichino con le sembianze del preside dell'istituto tecnico. Il presidente della giunta provinciale, Giorgio Grigolli e l'assessore alla pubblica istruzione, Aldo Ongari, hanno richiesto l'invio con urgenza da Roma di un ispettore del ministero, per una approfondita indagine. Tindaro Maria Imbesi aspetta, nella sua abitazione di Trento, che venga una decisione. «Ho chiesto chiarimenti — dice — per iscritto: intendo conoscere esattamente i termini di quel comunicato che mi riguarda». Il comunicato, uscito nei giorni scorsi, reca la firma del provveditore agli studi, Giovanni Simoncini che ha ricevuto una delegazione degli studenti. Questo è il testo: «Il preside Imbesi viene utilizzato, fino a nuovo ordine, presso il provveditorato agli studi per altri incarichi e sostituito con il professor Zanetti. La delegazione si impegna a denunziare e documentare al provveditorato, entro il più breve tempo possibile, casi di irregolarità commesse dal capo di istituto, nell'esercizio delle sue funzioni. Il provveditore assicura di informare direttamente gli interessati sullo svolgimento e sui risultati della pratica di cui sopra. La delegazione si impegna a sottoporre alla assemblea le presenti decisioni per una sollecita ripresa delle lezioni». Imbesi scuote il capo: «Si resta attoniti, di fronte ad una cosa del genere». Nativo di Messina, sposato con tre figli, è nel Trentino da diciotto anni: prima di entrare nella scuola di Rovereto è stato preside altre due volte, a Cavedine e Lizzana, nelle medie dell'obbligo. «Guardi, non ho avuto una grana, nessuno ha mai protestato: gli allievi mi rispettavano, i genitori erano soddisfatti della mia opera. E soprattutto a Cavedine, io di cose ne ho fatte parecchie. Per esempio, non c'era una sala dei professori, mancavano ì mobili dell'ufficio di presidenza: ho provveduto a sistemare tutto. E poi, la mensa per i ragazzi del doposcuola obbligatorio: si riduceva ad una minestra preparata dal bidello. Io ho cominciato a mandare gli allievi al ristorante, con la sovvenzione prevista per la refezione scolastica. A Lizzana sono rimasto poco, ma ho avuto il tempo di istituire il doposcuola. Insomma, quando me ne sono andato, dall'una e dall'altra parte, erano tutti dispiaciuti». Ma poi il disgraziato ingresso nell'istituto «Marconi» di Rovereto. Quali i motivi di questa tenace contestazione? «Mah, forse tutto è dovuto alla mia fama di persona scrupolosa, rigida nell'applicazione dei principi che reggono le istituzioni scolastiche. Sono un uomo poco incline ai compromessi ». C'è la faccenda dei «pendo- lari», gli studenti del «Marconi» che arrivano ogni mattina in treno dai paesi vicini. I ragazzi dicono che Imbesi, il 5 febbraio scorso, si è piazzato all'ingresso dell'istituto, l'orologio sott'occhio e, alle 8 in punto, ha intimato al custode di chiudere il cancello: per chi era rimasto fuori, arrivato in ritardo, niente da fare. «Il fatto è — replica il preside — che avevo riscontrato degli abusi ». Ma c'è dell'altro, che gli studenti contestano duramente al preside. In occasione di una manifestazione per l'anniversario della strage di piazza Fontana, il preside ha preteso dagli allievi una giustificazione scritta, chiedendo ai genitori una dichiarazione di responsabilità. «Non le sembra, professore, che fosse il caso di soprassedere in quella circostanza, dato che si trattava di ricordare con civile impegno le vittime di una strage?». «Sì, forse lei ha ragione. Non avrei nemmeno pensato di richiedere la giustificazione, per quel giorno; sono d'accordo che se ne poteva anche fare a meno. Ma è stato quando gli studenti mi hanno presentato una giustificazione collettiva, che mi sono sentito in dovere di regolarizzare la cosa, secondo la normale prassi scolastica. I genitori dovevano sapere dove erano stati i ragazzi». Parecchi studenti dicono che Tindaro Maria Imbesi è fascista. Però, nel negare una vacanza il giovedì grasso, il presidente ha definito il carnevale «espressione della società capitalistico-borghese». «Insomma, professore, lei è fascista o guarda a sinistra?». «Ma no, io non sono affatto fascista. Pensi, quando insegnavo, dicevo ai miei allievi che ero stato fortunato ad avere avutn una maestra antifascista, che fu mandata al confino. E un mio fratello è stato ucciso dai nazisti, dopo l'S settembre. Io non sono ufficialmente legato ad alcun partito, ma le mìe idee si ispirano al socialismo storico. La mìa concezione della scuola è un idealismo democratico. Io non sono un dittatore». Giuliano Marchesini

Persone citate: Aldo Ongari, Giorgio Grigolli, Giovanni Simoncini, Marconi, Tindaro Maria, Tindaro Maria Imbesi, Zanetti