Il partito unico dello Scià di Sandro Viola

Il partito unico dello Scià Riunite le due formazioni politiche in Iran Il partito unico dello Scià Sino a ieri, il sistema politico iraniano poggiava sii mia finzione formale. L'esistenza di due grandi formazioni politiche — il «Nuovo Iran» e il «Partito del Popolo» — consentiva infatti allo Scià e ai suoi agiografi di parlare d'un sistema bipartitico «all'americana», all'interno del quale era sempre possibile, seppure soltanto in teoria, un'alternativa di potere. Beninteso, tutto questo serviva soltanto alla facciata. Nella sostanza il partito che stava all'opposizione (il «Mar- dom» o Partito del Popolo) era ligio alle direttive di pa- lazzo né più né meno del par- '.tito al governo, il «Nuovo Iran» capeggiato dal primo ministro Hoveida. Facciamo\un esempio. Un anno fa, l'ailora leader del «Mardom» aveva pronunciato un discorso che non era piaciuto a Reza Pahlavi. Bene, poche ore dopo era stato dimesso d'autorità e oggi risulta scomparso dalla vita politica iraniana. Ecco perché i pochi che a Teheran osino criticare il regime davano dei due partiti questa definizione: il «Nuovo Iran» del premier Hoveida era il partito del «sì», e il «Mardom» (che avrebbe dovuto rappresentare l'opposizione) il partito del «naturalmente». Anche questa finzione è ormai caduta. Lo Scià ha deciso di sciogliere le due formazioni politiche esistenti, e di raccoglierne gli iscritti in un partito unico che si chiamerà «Resurrezione dell'Iran». Non vi sarà più, insomma, una parvenza d'opposizione (il «Mardom» aveva alla Camera Bassa 31 seggi contro i 235 del partito della corona), ma soltanto una macchina di consensi per lo Scià, l'amplifica tore propagandistico di qual siasi gesto o parola che venga da palazzo. Contemporanea mente. Reza Pahlavi ha deciso di rinviare le elezioni generali promesse da tempo e che avrebbero dovuto svolgersi quest'estate. I prossimi due anni saranno cos'i dedicati al rafforzamento del nuovo partito, cui toccherà in futuro di preparare le elezioni. A cosa possa servire, in Iran, l'abolizione dei partiti, è difficile da capire. Reza Pahlavi è un monarca assoluto: nelle forme (i ministri gli baciano la mano, i contadini baciano l'impronta delle sue scarpe), e nei fatti, perché non c'è una decisione d'una qualche importanza che venga presa in sua assenza. A Teheran ci sono, è vero, cinque o sei persone die contano: il governatore della Banca Centrale Mohammed Yaganeh, il primo ministro Hoveida, il ministro della Corte Amin Assadullah Alani, il ministro delle Finanze Ansary, il ministro dell'Interno Amuzegar, il generale Nassiri che comanda la polizia politica (Savak). Ma il potere d'iniziativa, le scelte finali, sono dello Scià. Lo scioglimento dei partiti non poteva quindi servire a rinsaldare il ruolo dell'imperatore, che è già amplissimo e decisivo. Più probabile, quindi, che lo Scià abbia voluto cancellare dal Paese l'immagine stessa (dunque il concetto, sia pure labilissimo com'era stato in questi anni) di opposizione. Non a caso l'annuncio della costituzione del partito unico è stato accompagnato dall'invito «ai comunisti e agli altri oppositori» — invito rivolto dallo Scià in persona nel corso d'una conferenza stampa — a lasciare il Paese. L'Iran del «miracolo», il Paese che tra non molto avrà un'aviazione più possente di quella di qualsiasi Paese della Nato esclusi gli Stati Uniti (ma che per ora vede u~< gruppo di cortigiani ricchissimi emergere da un mare di povertà e di ingiustizie sociali) non ha più posto, quindi, per chiunque la pensi in modo diverso dal suo monarca. O essere d'accordo, o andarsene, o finire negli incartamenti che proprio in questi giorni sono apparsi su un prestigioso giornale europeo, e dai quali si ricava che la tortura viene regolarmente usata dalle varie polizie dello Scià contro gli oppositori politici. Sandro Viola

Persone citate: Nassiri, Reza Pahlavi

Luoghi citati: Iran, Stati Uniti, Teheran