LA DIFFICILE LOTTA CONTRO LA CRIMINALITÀ di Andrea Barbato

LA DIFFICILE LOTTA CONTRO LA CRIMINALITÀ LA DIFFICILE LOTTA CONTRO LA CRIMINALITÀ Giudici: processo perpetuo Il giudice si sente intralciato, impotente: si rigira nelle mani libri ingialliti e norme astratte, mentre il delitto diventa industria "Le garanzie formali sono esasperate, quelle sostanziali non esistono" - Rimpianti per l'interrogatorio immediato del colpevole Roma, marzo. « E noi che siamo, laureati di serie B? o siamo meno bravi, magari con vent'anni di esperienza, d'un magistrato che s'è laureato ieri? I diritti della difesa sono sacrosanti, ma quello che respingiamo è il sospetto che ci abbiano voluto togliere il diritto di interrogare gli indiziati, perché avremmo commesso degli abusi ». Nel nostro viaggio attraverso i problemi della lotta alla criminalità, ascoltiamo ancora per un po' la polizia, prima d'arrivare agli amministratori della giustizia, ai magistrati. La frustrazione, il senso d'impotenza, hanno mille Iacee, anche quella di non poter chiedere nulla al malandrino colto in flagrante, magari mentre i suoi complici stanno scappando. No al "fermo" « Prima, si doveva aspettare il magistrato. E magari arrivava con qualche ora di ritardo, oppure non sapeva da che parte cominciare, nell'interrogatorio, perché ha una preparazione diversa, perché non ha mai inseguito malviventi. Il fermo di polizia? Non è importante, e poi non vogliamo tornare ad essere accusati di arbitrio, non vogliamo che scarichino su di noi la responsabilità d'un sistema che non funziona. Ma interrogare subito i colpevoli, quello sì. Anche adesso che l'obbligo della presenza del magistrato si sta superando, ci sono delinquenti che girano col biglietto da visita dell'avvocato in tasca: quando li prendiamo, la legge gli dà il diritto di non rispondere finché non arrivi il difensore. E il difensore magari è fuori città, non si trova, non ha il treno per venire subito, arriva il giorno dopo... ». Leggi troppo permissive, dunque? Eccessi di garanzie agli imputati? Nella patria del diritto e della retorica giudiziaria, si potrebbe discutere per anni. E intanto, la gente gira armata, nei cartelloni dei film si invita a « farsi giustizia dà sé », la psicosi dell'impunità criminale raduna fatti diversi, nei poligoni di tiro le iscrizioni si sono moltiplicate del mille per cento. Troppa generosità? Pene troppo miti, formalismi, troppe libertà provvisorie? Ascoltiamo i magistrati. Che la giustizia sia insufficiente dinanzi all'ondata | criminale, e dinanzi alla domanda di sicurezza, lo ammettono tutti: gli alti magistrati nelle solenni inaugurazioni, i giudici avvolti nelle toghe, i giovani che dibattono nei convegni. Che vi sia lentezza nei procedimenti, sfiducia diffusa, indugio istruttorio, tribunali intasati, non ne dubita più nessuno, è diventato uno di quei luoghi comuni che hanno la forza della fatalità invincibile. Ma è sulle cause e sui rimedi che si contrasta accanitamente. Perché tanta impunità? Perché Luciano Liggio può essere assolto a Bari? Perché ci vogliono anni per arrivare al processo Menegazzo, e ci si arriva quando è troppo tardi? Perché l'as¬ sassino Bertoli, arrestato con la bomba in mano, deve avere l'ergastolo due anni dopo la strage? E perché si rinvia il processo contro i « Ordine nuovo », e non si celebra mai il rito giudiziario contro gli omicidi di piazza Fontana? Cominciamo da lontano. La giustizia penale è sempre più ritardata, più discriminante. E ciò accade, secondo alcuni, perché la macchina penale (« il reato », dice una massima che non si trova sui libri di diritto, « è quello che manda in galera i poveri ») si fa funzionare solo quando si vuole, la « direttissima » per la colpa facile e minore, la paralisi per Catanzaro. Secondo i più critici, i più accesi, questa forma di giustizia è uno strumento di regno, un modo di governare, un'insufficienza « utile al sistema ». Ma anche senza arrivare a questo, i settemila giudici italiani, già mal distribuiti, già perseguitati dal mito d'un'autonomia che ha perso molto del suo significato, si muovono male all'interno dell'universo giudiziario. Primo esempio: per molti anni, attratti dalla facilità delle cause, s'accalcavano tutti nei processi civili. Ora che il penale « è in vetrina », c'è un riflusso anche eccessivo. In ogni caso, fare un processo lungo, importante e difficile, rimane vn compito ingrato. « Ancht se dura anni, e se porta il nome e la foto in prima pagina, il risultato rimane una sentenza. Una sola. E i giudici sono valutati a numero di sen¬ tenze: per i trasferimenti, le promozioni, le valutazioni, si guarda al numero dei provvedimenti fatti, più che alla qualità ». Condannare un ladro, o sciogliere un delicato caso di omicidio o di terrorismo, insomma, vale sempre uno, tanto più che ogni sentenza dev'essere un trattato di diritto, deve dar fondo alla sapienza giurìdica, dev'essere una sentenzafiume per poter reggere il confronto con l'istruttoriafiume. I reati minori II giudice lamenta di trovarsi nelle mani uno strumento inadeguato. Il sistema processuale, si sente ripetere, è fatto per un solo imputato per una sola imputazione. Un vecchio tronco, che però aveva una sua logica interna, è stato rinnovato con aggiunte e modifiche che gli hanno tolto coerenza e armonia, fino a farne un rito stonato, inadoperabile. « Le garanzie formali sono esasperate, quelle sostanziali non esistono », dice un magistrato. Il primo rimedio che una parte dei giudici chiede a gran voce è la «depenalizzazione» di certi reati. Sembra strano, in un momento in cui c'è domanda di giustizia, e il cittadino scippato o derubato si sente parte offesa di un sistema che non marcia più, si sente aggredito dalla criminalità, non protetto a sufficienza. Eppure, sembra una via d'uscita. I tribunali sono intasati da processi per reati minori: gli oltraggi, gli assegni a vuoto, i vilipendi, i piccoli furti, la litigiosità generica. Con il risultato che il giudice ha un calendario insostenibile, e spesso — per pigrizia, per insensibilità — sceglierà proprio più volentieri il processo facile, senza valore terapeutico, lasciando pendenti ì processi più gravi, le « patate bollenti ». Oppure, se incalzato dagli scrupoli, sceglierà il sistema cronologico, metterà i processi in fila indiana, e ancora una volta sarà l'immensa quantità dei processi minori ad affollare le sue udienze. Altrove, all'estero, \ una sentenza rapida, una multa salata, e giustizia è fatta. Che il codice sia fascista, che le leggi siano invecchiate, non lo ripete invano ogni anno solo il procuratore generale della Cassazione. « Si vede », dicono i magistrati, « anche dalla filosofia che quel codice contiene. Tutela certi beni e non altri, indica un indirizzo politico. Lascia indenni nuovi e gravi reati, come l'abusivismo edilizio, l'inquinamento, gli scempi urbanistici, l'esportazione di capitali. Non accade quasi mai che la polizia irrompa in un cantiere per indagare sulla mancanza di regole di sicurezza. E invece, anche questa è malavita, nuova criminalità ». Sì, ma quel che colpisce è altro, purtroppo: è la banca assaltata, l'omicidio per rapina, la banda che scorrazza impunita, il sequestro. « La criminalità maggiore », dicono i giudici, « ha trovato impreparate polizia e magistratura. Tecnicamente e numericamente. La polizia è tenuta nelle caserme, gravata di compiti non suoi. 138 enti possono chiedere informazioni e servizi di polizia. L'impreparazione tecnica è evidente. L'interrogatorio immediato era un mezzo brutale, ma spesso efficace. Si è tolto, si è rimesso, ma nel frattempo è crollato tutto ». Anche per i giudici, dunque, la lotta alla criminalità è prima di tutto « un fatto di polizia »; poi, certo, « una macchina giudiziaria efficiente dovrebbe seguire ». Ma così non è. La giustizia è abituata a passi lenti, e così quando si è inserito il principio — in sé giusto — della scadenza dei termini della custodia preventiva, si rischia ogni minuto di veder uscire banditi palesemente colpevoli, criminali colti sul fatto, delinquenti certi. Troppa libertà provvisoria? I giudici si difendono. « Non è vero. Ci arrivano denunce incomplete, senza elementi di prova, fatte per placare l'opinione pubblica. Il magistrato non ha scelta ». Per altri, la causa è tecnica. « Ci arriva un imputato di cui non sappiamo nulla. Solo quello che c'è scritto sul certificato penale, vecchio di anni. Quell'uomo seduto sul bancone ci è ignoto, non sappiamo se ha denunce, processi pendenti. Il giudice americano legge sul terminale di un computer tutta la carriera criminale aggiornata del suo antagonista. Ma noi abbiamo solo un centro elettronico per le massime della Cassazione, non un casellario dei precedenti giudiziari, un archivio delle schede criminali. Se l'imputato è stato arrestato dieci volte, e dieci volte è stato messo in libertà provvisoria, a noi risulta incensurato ». E' parere quasi unanime che l'aggravamento delle pene non sia efficace, e che le nuove norme di garanzia difensiva (come la « legge Valpreda ») non siano un ostacolo alla giustizia, « se verrà data al giudice la possibilità di fare il processo subito ». Oggi le istruttorie sono interminabili, il giudice deve inseguire ogni piccola traccia, raccogliere le prove in segreto, correre dietro ad una completezza che \ spesso è paralizzante. Senza illusioni sulla sua efficacia miracolosa, si chiede con urgenza il processo di tipo « accusatorio », dove la polizia raccoglie le prove ma è il giudice a valutarle pubblicamente in aula. « Finora è accaduta solo confusione: prima era la polizia a fare il suo processo, a interrogare, a verbalizzare, a portare i atti scritti inconfutabili come vangelo. Poi, si sono mischiate le funzioni del giudice e quelle del poliziotto. Nel nuovo processo, la polizia non dovrebbe verbalizzare nulla, deve indicare le prove al giudice, deve portare l'imputato in tribunale subito ». Trucchi sicuri Il magistrato si sente le mani legate, la sua frustrazione non è minore di quella che abbiamo registrato giorni fa all'interno della polizia. Si diffonde un senso di impunità, di criminalità baldanzosa e trionfante. «Ma non perché siamo troppo indulgenti. La lentezza della giustizia può invogliare il delinquente minore, che spera di uscire presto. Ma il grande criminale punta su altre carte. Le pene per lui ci sono, ma ci sono anche altri trucchi. Far scadere i termini, non presentarsi in dibattimento, certificati medici, testimoni introvabili ». Abbiamo circondato i processi di tali garanzie formali, insomma, che la sostanza anche evidente è annebbiata. In questo oceano burocratico, il difensore ha buon giuoco: basta che l'ufficiale giudiziario dimentichi di avvisare il difensore, ad esempio, e il processo si deve rinviare, anche se sono tutti in aula. Il rendimento penale, la « produttività » di giustizia è in continuo e pauroso declino. Qualcuno propone che si accresca il numero dei giudici promuovendo i pretori, o immettendo giudici « laici »: ma incontra obiezioni accanite, e gelosie di casta. Troppi processi? « Bisogna scegliere una politica giudiziaria, abolire i processi minori ». Pene più gravi? « I massimi sono già altissimi, è inutile avere gli anni di galera scritti sui codici, se non si possono comminare in aula ». Confino di polizia? « Sono misure illiberali, che trapiantano la malavita altrove ». Troppe tregue con i sequestratori? « Oggi anche i primi mini stri vanno a trattare con i dirottatori, quando c'è di mezzo la vita d'una persona ». Sveltezza dei processi? « Oggi abbiamo un doppione, il processo del giudice istruttore e quello del giudice giudicante ». L'ala più inquieta della magistratura lamenta che sul giudice sia caduta una massa di responsabilità politica, mentre ancora si pretende una totale neutralità. «Sentenza e rinvìi sono spesso politici, ma non lo si vuole ammettere », dicono questi giudici. « E poi, carceri e manicomi sono scuole di delinquenza, si esita ad usare quegli strumenti di pena perché peggiorano l'individuo ». La criminalità si specializza, i reati si complicano, ma « quando un colpevole è rinviato a giudizio, non lo possiamo interrogare più ». I processi sono battaglie burocratiche, le nullità sono in agguato ad ogni passo, « per chi può permettersi certi avvocati ». Come l'agente di polizia, insomma, anche il giudice si sente intralciato, impotente, lontano dal tessuto sociale, debole dinanzi a enti od organismi onnipotenti, inerte dinanzi ai vuoti di una polizia « che è stata sempre nelle mani dell'esecutivo». Si rigira nelle mani libri ingialliti e norme astratte, mentre il crimine diventa industria: a Milano, il giro d'affari della prostituzione e dei furti d'auto è di cento miliardi all'anno; in tre anni sono stati trovati, nei nascondigli e nelle case, 143.000 fucili e otto milioni di cartucce. Ce riè per armare una quindicina di divisioni. Andrea Barbato

Persone citate: Bertoli, Luciano Liggio, Menegazzo, Valpreda

Luoghi citati: Bari, Catanzaro, Milano, Roma