Quando si muore per un figlio di Edgarda Ferri

Quando si muore per un figlio Indagine sulle cause della mortalità fra le gestanti Quando si muore per un figlio In Italia il più alto tasso d'Europa - Su 150 donne morte, 77 avrebbero potuto essere salvate - Scarso livello della medicina preventiva e carenze di assistenza nel parto (Nostro servizio particolare) Milano, 1 marzo. «Non sono cifre, sono donne morte». Con questo commento, asciutto come la pietà con cui lavora, il professor Francesco D'Ambrosio ha concluso la sua relazione sulla mortalità materna in Lom bardia nel corso della riunione della Società lombarda di ostetricia e ginecologia che si è tenuta oggi alla clinica Man- giagalli. In un momento di così grave crisi dei valori umani, quando persino l'amore viene sempre più respinto o rifiutato, ci mancava di sapere che l'Italia non ama neanche la mamma. Il nostro Paese, infatti, conta il più alto tasso di mortalità materne d'Europa. La relazione del professor D'Ambrosio è andata più a fondo del problema, organizzando un gruppo di lavoro per la raccolta dei dati di tutti gli ospedali lombardi, ed elaborando le notizie desunte dalle cartelle cliniche delle donne morte durante la gravidanza o il parto dal 1966 al 1970 e dal 1971 al 1973. Il risul'ato è questo: in Lombardia si muore per un figlio appena un poco meno che in Sicilia e in Calabria, ed a Milano più ancora che a Bergamo o a Brescia. Si muo- re troppo. Negli anni dal 1966 al 1970 sono nati in Lombardia 699 mila 425 bambini e sono morte, per questi bambini, 307 donne. Ostetrico alla clinica Mangiagalli. quarant'anni, pugliese, una gran rabbia addosso, D'Ambrosio ha scandito per un giorno intero i dati scandalosi, le cifre raggelanti. Dividendo le cause di mortalità ] materna fra quelle ostetriche dirette e quelle ostetriche indirette, ha fatto sapere che si muore di più per cause ostetriche dirette, soprattutto per emorragia del terzo trimestre della gravidanza e per emorragie dopo il parto. Subito dopo, la causa di morte più frequente è la gestosi grave. Al terzo posto c'è il taglio cesareo, mentre il quarto, è occupato dall'aborto clandestino. Infine, fra le morti materne per cause associate, le cause più frequenti sono le neoplasie e le cardiopatie che messe insieme rappresentano VII per cento di tutte le morti ostetriche. Come dire che è più facile salvare la pelle mettendo al mondo un figlio pur avendo un tumore addosso o il mal di cuore. Può sembrare un paradosso, ma corre più pericolo una gestante sana, per il fatto banale che di una gestante sana non ci si preoccupa o quasi mai. Lo scandalo, infatti, salta fuori in tutta la sua clamorosità quando l'elaborazione dei dati dimostra che, su 150 donne morte, 77 avrebbero potuto benissimo salvarsi, per 27 sarebbe stato più difficile ma non impossibile, mentre per 46 il decesso sarebbe stato inevitabile. E' una fila di croci che obbliga con urgenza a riflettere sulla carenza dell'assistenza preventiva nel corso della gravidanza. Che la donna non sia seguita nel corso della gravidanza lo dimostrano anche le cifre, troppo elevate, dei ricoveri ospedalieri che non terminano per aborto o per parto. Quando una donna gravida finisce in ospedale al di fuori dì queste due inevitabili occasioni, nella maggior parte dei casi significa infatti che non è stata seguita a sufficienza e, probabilmente, anche poco o niente educata al suo stato. Va da sé che, con una diversa organizzazione sanitaria, la mortalità materna del nostro Paese potrebbe essere drasticamente ridotta. Ha ancora detto D'Ambrosio: «La elevata frequenza di morte dovuta alla eclampsia (malattia dovuta a tossici di provenienza materna o fetale) è la più chiara dimostrazione dello scarso livello di medicina preventiva che in generale caratterizza l'assistenza alla donna gravida in Italia, e nella nostra stessa regione. Le emorragie e lo choc intra e post partum denunciano, a loro volta, la carente assistenza durante il parto, e quindi l'insufficienza dell'organizzazione ospedaliera. Qui entra in discussione anche il problema dell'organizzazione del servizio di ria nimazioné e di anestesia e dei centri trasfusionali». D'Ambrosio è uomo di scarne parole. «Esaminando certe cartelle cliniche — ha raccontato — dove era segnata minuto per minuto la lotta di una donna contro la morte, più di una volta ho avuto la sensazione di vivere in un'allucinazione. Il tempo che trascorreva prima che fosse deciso di intervenire era sempre troppo lungo, lo dimostra il fatto che si concludeva con una tragedia». Meno fiori e più rispetto, sarebbe il caso di concludere, tenendo conto che, una volta che saremo riusciti a liberarci daliincubo di queste storie, avremo subito una consolazione: come sempre, nel prossimo aprile ci sarò ia festa della mamma. Edgarda Ferri

Persone citate: D'ambrosio, Francesco D'ambrosio