Come gli italiani hanno vinto l' America (a bridge)

Come gli italiani hanno vinto l' America (a bridge) Come gli italiani hanno vinto l' America (a bridge) Gli americani hanno fatto di tutto: hanno mobilitato la loro super organizzazione, le loro catene di giornali specializzati, sono perfino ricorsi al terrorismo psicologico. Ad ogni costo volevano diventare campioni del mondo di bridge. Decine dì milioni di appassionati, decine di migliaia di cìrcoli, un «business» di molti miliardi: «dovevano» riconquistare quel titolo che una volta era loro. Ma non ce l'hanno fatta. Alle Bermude ha vinto ancora l'Italia. Con questo sono tredici i titoli mondiali conquistati dagli azzurri, nessuno però è stato cosi sofferto. A metà dell'incontro di finale tutti li davano per spacciati, il loro svantaggio nei confronti degli americani sembrava incolmabile: 77 «match points». Il che significa, volendo fare un paragone calcìstico, disputare la finale della Coppa del mondo e trovarsi, alla fine del primo tempo, con quattro goals al passivo e nessuno all'attivo. Poi la rimonta, prima stentata, e negli ultimi dieci minuti una pioggia dì reti. Da quindici anni la squadra italiana domina la scena internazionale. Come fare a batterla? Gli americani credevano di aver trovato il modo. Una assurda campagna di sospetti, di insinuazioni, fino alla decisione di giocare questo campionato con il sipario. uno schermo opaco posto diagonalmente attraverso il tavolo in modo che i compagni di gioco non possono guardarsi negli occhi. Mister Sheinwold, capitano della squadra Usa scrìve su una rivista a grandissima tiratura: «Io ho sempre sostenuto che una qualunque discreta squadra è in grr^u dì battere gli italiani. Il sipario mi darà ragione». No7i è uiì'iiisinuazione è un'accusa Pt<re bisogna andare alle Bermude, un ritiro sarebbe interpretato come una fuga. Certo, però, i nostri giocatori hanno i nervi a pezzi, soprattutto Belladonna e Garozzo, i più grandi di tutti, pilastri del leggendario «blue team». Comunque arrivano alle Bermude e vincono in scioltezza il girone eliminatorio, battendo gli Stati Uniti per 20-0. Le altre due coppie italiane — i bolognesi Facchini-Zucchelli e Arturo FrancoPittala, milanese il primo torinese il secondo — sono veramente all'altezza della situazione. Ma scatta la secon¬ da e più grave provocazione: Facchini e Zucchetti vengono accusati di farsi segnalazioni sotto il tavolo. La giuria li assolve. Gli azzurri passano a vele spiegate anche le semifinali battendo facilmente gli indonesiani e in finale si trovano di fronte gli americani, che invece hanno stentato parecchio a superare la Francia. Mister Sheinwold tenta l'ultima caria: ci rifiutiamo di giocare — dice — se l'Italia schiera la coppia che bara. La giuria ingiunge agli americani di mettersi al tavolo, ma Sheinwold ha raggiunto il suo scopo. Gli italiani sono tal- mente esasperati che giocano male. Belladonna e Garozzo sono irriconoscibili. A metà gara gli americani sono ormai certi della vittoria e lo sono ancora a due terzi dell'incontro, quando mancano 36 smazzate. Il loro vantaggio è di 46 «match points». «Incolmabile», dicono tutti. Ma non gli azzurri. Non fa nulla che Sheinwold rida in faccia a Belladonna: i nostri campioni, come per incanto, hanno ritrovato saldezza di nervi e la convinzione di essere i più forti del mondo. Belladonna-Garozzo da una parte e Franco-Pittalà dall'altra, giocano come nessuno ha mai giocato. In sedici smazzate riprendono agli americani 22 «match points»; nelle ultime sedici li riagguantano e li superano con un grande slam a fiori dichiarato da GarozzoBelladonna. Poi continuano implacabili fino alla fine, vincono addirittura in modo abbastanza netto: 215 a 1S7. Un'impresa che non ha precedenti, p. g.

Luoghi citati: Francia, Italia, Stati Uniti, Usa