Destinato a essere rinviato il processo Freda -Ventura

Destinato a essere rinviato il processo Freda -Ventura Catanzaro - Si inizia oggi, 5 anni dopo la strage di Milano Destinato a essere rinviato il processo Freda -Ventura Val preda e gli altri anarchici rifiutano di sedere sul banco degli imputati con i neofascisti, come ha invece voluto la Cassazione interrompendo il precedente processo - Giannettini, chiave per risalire ai mandanti della strategia della tensione, potrebbe causare il rinvio (Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, 26 gennaio. Il «processone» per la strage di piazza Fontana comincia domani. E' la terza volta che in un'aula giudiziaria si evocano ì sedici morti del 12 dicembre 1969 alla Banca dell'Agricoltura di Milano. C'è stato il primo processo Valpreda nel febbraio del '72 a Roma, durato appena sette udienze; poi il Valpreda-bis, la primavera scorsa, qui a Catanzaro, interrotto dalla Corte di Cassazione quando ormai si era dimostrata L'inconsistenza dell'istruttoria a «binario unico» contro gli anarchici. Adesso, per volere della Corte Suprema, sì giudicano insieme il gruppo Valpreda e la cellula eversiva dei fascisti Freda e Ventura, contro cui prima il giudice Stiz di Treviso e poi i magistrati milanesi hanno raccolto gravissimi elementi di responsabilità. GH ìmpiitati sono 25: due in carcere — Freda e Ventura — e tre latitanti: Pozzan, il «terzo uomo» della cellula veneta. Biondo, accusato degli attentati sui treni dell'8 e 9 agosto '69, e Delle Chiaie, il «bombardiere nero» accusato di falsa testimonianza nel processo Valpreda. Domani, però, si rischia di vedere in aula soltanto Claudio Orsi, nipote dì Italo Balbo, un imputato minore che deve rispondere di associazione sovversiva. Gli anarchici hanno fatto sapere da tempo che non vogliono sedere sullo stesso banco dei fascisti: questo non è il «loro» processo, non ci credono più. Molti dei fascisti a piede libero, adducendo motivi diversi, hanno già comunicato alla Corte che non verranno. Rimangono Freda e Ventura, che da dieci giorni sono rinchiusi nel carcere «di parcheggio» del centro di rieducazione minorile. Ma forse non si presenteranno neppure loro. Decideranno domattina, all'ultimo minuto. Oltre cento avvocati, un centinaio di giornalisti e nessun imputato, o quasi. In una palestra adattata ad aula di Corte d'Assise. In una città a 1300 chilometri da Milano, dove scoppiò la bomba della strage. Cinque anni e due mesi dopo. Sono i simboli di una giustizia incapace di assolvere i suoi compiti. O peggio, simboli di un processo che non si vuole fare e che probabilmente non si farà mai. L'impressione, e più ancora la convinzione, è che il terzo tentativo di far luce sulla strage di piazza Fontana subirà la stessa sorte di quelli che l'hanno preceduto. Anche questo processo non riuscirà a superare la fase preliminare; come accadde a Roma, o tuttalpiù, come lo scorso anno, verrà bloccato a metà strada. La primavera scorsa il Valpreda-bis venne bloccato dal pretesto dell'unificazione. Il motivo che probabilmente farà saltare il «processone» è molto meno artificioso. Su di esso, infatti, sovrasta l'ombra di Giannettini, il personaggiochiave di questa tragica vicenda. Rinviando a giudizio Freda e Ventura, il giudice istruttore di Milano D'Ambrosio e i sostituti procuratori Fiasconaro e Alessandrini non conclusero la loro fatica. Gli elementi raccolti (dalle rivelazioni di Lorenzon alla scoperta del deposito di armi e di esplosivi di Castelfranco Veneto, dalla confessione di Ventura per quanto riguarda gli ordigni alla Fiera di Mila no e sui treni, fino alla prova dei timers acquistati da Freda e utilizzati per le bombe del 12 dicembre) erano più che sufficienti per mettere in stato di accusa i presunti esecutori. Ma Freda e Ventura — avvertivano Fiasconaro e Alessandrini nella loro requisito ria — non erano «fanatici o mitomani sulle cui persone chiudere il cerchio delle responsabilità»; erano piuttosto «gli ingranaggi, pur qualificati di un meccanismo nazionale che quegli attentati ha concepito con freddo raziocinio...». Il mezzo «...per chi doveva essere in grado di dare una dimensione politica allo smarrimento della pubblica opinione di fronte agli attentati». E la base «da cui partire per verificare eventuali collegamenti, che certamente ci dovevano essere tra il gruppo Freda e Ventura e altri a livello superiore, che potessero dare agli attentati uno sbocco politico» era proprio Guido Giannettini, giornalista d'estrema destra, legato all'nln ternazionale nera», amico di Freda, agente del Sid, in rapporti di stretta collaborazione con Ventura. Ma all'epoca del rinvio a giudizio di Freda e Ventura, il ruolo di questo importantissimo personaggio non era ancora ben chiaro. Quindi, i magistrati milanesi decisero di continuare l'istruttoria sia nei suoi confronti sia nei confronti degli imputati (il missino Rauti e il petroliere Monti, fra gli altri) le cui posizioni erano più strettamente collegate alla sua. Da allora è passato un anno e nel frattempo molti veli sono caduti. Giannettini, fuggito all'estero prima che fosse colpito da mandato di cattura (gennaio '73) si è costituito nell'agosto scorso. Giannettini ha negato per qualche tempo, poi ha cominciato a parlare. Si è scoperto che non solo era agente del Sid, ma che il servizio informazioni della Difesa continuò a pagarlo anche quando, accusato di strage, sì era rifugiato all'estero. E probabilmente — a quanto si dice — stava per dire cose ancora più gravi quando, VII dicembre, la Cassazione stabilì che dell'istruttoria-stralcio doveva occuparsi la magistratura di Catanzaro. Le ultime vicende sono cronaca dei giorni scorsi. D'Ambrosio, ribellandosi di fatto alla Cassazione, ha ritenuto che la decisione della Corte Suprema riguardasse soltanto lo stralcio relativo a Biondo (per il quale era stato sollevato il conflitto) e ha ribadito la propria competenza a continuare l'istruttoria su Giannettini e sui finanziatori della strage. A Milano si parla di prossimi interrogatori di personaggi di primo piano del Sid; nei giorni scorsi qualcuno dava già per scontate le convocazioni dell'ammiraglio Henke e dei generali Viola e Gasca Quierazza. Tutto, dunque, ruota attorno a Giannettini. Nella requisitoria con cui ha chiesto il suo rinvio a giudizio per concorso in strage, il pubblico ministero Alessandrini ha scritto tra l'altro: «...poiché Freda e Ventura hanno fatto gli attentati essendo in stretto contatto con un agente del Sid (Giannettini, ndr) legato allo stato maggiore (Aloja, ndr), avranno quanto meno ritenuto di agire con la copertura di detti organi, essendo inimmaginabile che essi corressero il rischio di compiere attentati per conto di un gruppo clandestino all'insaputa di Giannettini». Che cosa significa? Che il Sid sapeva? E' evidente che questo è il più tragico e inquietante tra i molti interrogativi che l'inchiesta sulla strage di piazza Fontana ha fatto nascere. E solo Giannettini può rispondere. Ma c'è l'altra faccia della medaglia: aspettare Giannettini, cioè chiudere subito il processo che sta per iniziare, nell'attesa che la spia del Sid venga rinviata a giudizio (da D'Ambrosio oppure dal giudice istruttore di Catanzaro), significa aprire le porte ad altri rinvìi. Dopo Giannettini infatti potrebbe essere il turno del deputato missino Rauti (per il quale il Parlamento ha già accordato l'autorizzazione a procedere), poi del petroliere Monti, poi di altri ancora che potrebbero essere agganciati a questa vicenda. Sta di fatto che per motivi diversi tutti vogliono Giannettini. Un patrono di parte civile, Azzariti-Bova, ha già presentato in proposito un'istanza in Cassazione. «Aspettiamo — dice l'avvocato Ascari —, ma si faccia in fretta a concludere tutte le istruttorie ancora aperte ». I difensori di Ventura sostengono che anche il loro assistito, come Giannettini, era un agente del Sid, vittima di un «gioco» più grande di lui, e quindi vogliono il giornalista-spia in aula sperando in un appoggio alla loro tesi. I difensori di Valpreda si sono riuniti in serata per concordare una linea di azione. Giannettini sul banco degli imputati (e non lui soltanto, ma anche tutti gli altri che potranno essere incriminati) rappresenta comunque per loro la speranza che si giunga a fare piena luce. Lo staff difensivo degli anarchici potrebbe anche chiedere uno «stralcio» del processo Valpreda in modo che questo si faccia subito, senza i fascisti, che verrebbero poi giudicati tutti insieme. Teoricamente e giuridicamente la richiesta sta in piedi, ma non ha possibilità di essere accolta. Quasi certamente, inoltre, proporranno una istanza perché il processo venga restituito alla sua sede naturale, cioè Milano: se la «legittima suspicione» era pretestuosa due anni fa — quando fu accolta dalla Cassazione — adesso è addirittura assurda. Ce ne saranno altre di istanze. Il difensore di Ventura, Ghìdoni, chiederà addirittura che il processo venga trasferito a Trieste, dove il fascista Freda attende da anni di essere giudicato per vilipendio alla magistratura, come autore del «libretto rosso» («La Giustizia è come il timone: dove la si gira va»). La discussione sulle istanze riempirà questa prima settimana di processo, ma ci sono poche possibilità di andare oltre. Piero Gasco