Gli agenti dell'FBI spiavano i senatori? di Vittorio Zucconi

Gli agenti dell'FBI spiavano i senatori? Un altro scandalo negli Stati Uniti Gli agenti dell'FBI spiavano i senatori? La denuncia è partita dalla "Washington Post" - Schedate le abitudini amorose, le debolezze, i debiti, i difetti di metà Senato Fra i controllati Ted Kennedy, Jackson, McGovern, Goldwater Washington, 19 gennaio. Il club degli scandali nazionali americani, dove già stanno o sono stati la Cia, la Casa Bianca, Kissinger e i servizi tributari, si arricchisce oggi di un nuovo, prestigioso socio: il Federai Bureau of Investigation, l'Fbi, tempio della lotta contro il male e il crimine. L'Fbi avrebbe, secondo la Washington Post, controllato e schedato metà del Senato degli Stati Uniti, compresi i suoi membri più autorevoli: Ted Kennedy e Harry Jackson, Mike Mansfield e George McGovern, Abraham Ribicoff e Adlai Stevenson, Hubert Humphrey e Barry Goldwater, sono solo alcuni dei senatori ai quali l'Fbi ha dedicato una spinosa cartella nei suoi archivi. Naturalmente, tutte le schedature sono abusive visto che mai, ufficialmente, gli agenti dell'Fbi sono stati chiamati o, tanto meno, autorizzati ad indagare sui senatori. Non di meno, nelle casseforti del Federai Bureau of Investigation stanno oggi informazioni riservate sulle abitudini amorose e le debolezze libatorie, i debiti e i difetti dei più autorevoli esponenti del Parlamento americano. Da anni, secondo la Washington Post, che ha già al suo attivo la scoperta del Watergate, occhiuti agenti dell'Fbi seguono questi ed altri parlamentari riferendo diligentemente i particolari più intimi e scabrosi della loro vita privata, compresa ogni maldicenza. Dura vita dei senatori, dunque. Se dobbiamo credere alle rivelazioni di questi ultimi 24 mesi, un uomo come il senatore McGovern non può uscire di casa senza avere alle calcagna almeno sei o sette agenti: gli uomini della tributaria, i G-Men dell'Fbi, uno dei «ragazzi» della Cia e, solo fino a qualche mese fa, un paio di spie al servizio di Nixon. Ma, per quanto grottesco, il quadro che ne esce è tutt'altro che divertente: l'America pare ormai uno Stato ove i controlli di polizia vanno aumentando pericolosamente in nome della sicurezza nazionale, ai danni della «privacy» dei cittadini e delle libertà individuali. Nel caso dell'Fbi, l'accusato numero uno è l'ex diretto¬ re, il potentisssimo Edgar Hoover, il «papa nero», che con le sue cartelline segrete ha fatto tremare per 48 anni i grandi d'America. Hoover lavorava soprattutto per la Casa Bianca e i suoi rapporti erano destinati al tavolo del Presidente, ma egli operava in realtà soprattutto per se stesso. «Nei suoi cassetti — dichiara uno dei suoi ex collaboratori che ha contribuito all'articolo sensazionale della Washington Post — c'erano "bombe" sufficienti a far saltare mezzo Senato e mezzo governo». Ed egli si compiaceva di ammetterlo apertamente: forse non è un caso che sia rimasto 48 anni indisturbato alla guida dell'Fbi, servendo, senza che nessuno riuscisse mai a scalzarlo, ben otto presidenti. Ben pochi «istituti» restano ormai immuni dal virus degli scandali e delle rivelazioni: la sindrome di Watergate, figlia del puritanesimo diffidente degli americani e dell'inconscio desiderio di autopunizione generato dalla crisi degli Anni 60, è lontana dall'esaurirsi. Certo, la mancanza di inibizioni nel mettere a nudo le magagne nazionali è un tratto ammirevole di questa crisi americana, ma anche negli scandali esiste il pericolo dell'inflazione: la verità, se spesa con troppa larghezza, finisce per perdere di valore, come il denaro. E speriamo, commentava oggi un editorialista alla televisione, che almeno ci salvino la cavalleria degli Stati Uniti. Vittorio Zucconi

Luoghi citati: America, Stati Uniti