L'Europa non andrà a fondo ma l'unità resta un bel sogno di Renato Proni

L'Europa non andrà a fondo ma l'unità resta un bel sogno NUOVO MODELLO DI SVILUPPO: PUNTA SUI FATTI L'Europa non andrà a fondo ma l'unità resta un bel sogno (Dal nostro corrispondente) Bruxelles, 19 gennaio. L'Europa supererà la crisi, ma non sarà più la stessa. L'aumento del livello di vita della popolazione sarà più lento, l'indebitamento con i Paesi produttori di petrolio sarà cronico, i trasferimenti di manodopera da un settore produttivo all'altro che si renderanno necessari accentueranno i rischi della disoccupazione strutturale. Queste sono le conclusioni del rapporto pubblicato questa settimana dalla Cec sulle prospettive economiche a medio termine dei Nove Paesi europei. Si può trarre un'altra deduzione che avrà vasti effetti politici: le nazioni della Comunità avranno aumenti di redditi personali e di espansione così differenziati che sarà impossibile proseguire attivamente sulla strada dell'integrazione europea. 11 documento della commissione europea non precisa la data dell'inversione di tendenza della congiuntura economica, ma si limita a prospettare i dati chiave dell'economia entro il 1978. Una cifra pesa sul futuro dell'Europa: circa 70 mila miliardi di lire di passivo con l'esterno a causa dei prezzi del petrolio, tra il 1974 e il 1978. L'Europa non andrà a fondo, ma per adattarsi alla nuova situazione (oltre ad utilizzare gli «sportelli petroliferi» sui quali ci si è accordati di recente a Washington per riciclare i petrodollari) le nazioni della Cee dovranno pagare questi debiti con una parte del loro reddito nazionale lordo: il 3 o il 4 per cento. Sarà questa realtà a imporre non necessariamente un nuovo modello di sviluppo, ma quanto meno una correzione di quello attuale, perché «l'imposta petrolifera» peserà per il 2 o il 2,5 per cento sui consumi e per il resto rappresenterà le spese di investimento per la riconversione industriale e per il pagamento degli interessi sui debili. La crisi, però, sarà fermata e l'intenzione politica è già evidente, oltre che-negli Stati Uni¬ ti, che hanno ridotto le imposte fiscali, in Germania che si è impegnata a ridare fiato alla sua economia. L'Italia e il Regno Unito, sono, secondo la Cee, nella situazione più vulnerabile. Nel caso italiano, possiamo soltanto riflettere su ciò che scrisse l'economista inglese I John Maynard Keyncs: durante una crisi, un governo che aumenta le tasse o che riduce la spesa pubblica non fa che produrre disoccupati senza neppure sanare il bilancio. Tenendo presente che la Cee, il Giappone e gli Stati Uniti seguono una politica economica anti crisi, i Nove Paesi comunitari tra il 1973 e il 1978 avranno un tasso annuo medio di espansione tra il 4 e il 4,5 per cento, cioè circa il doppio di quello previsto per quest'anno e di quello del 1974, ma inferiore a quello medio degli anni 1968-1973. Il tasso medio di aumento del reddito nazionale lordo per l'Italia tra il '73 e il '78 sarà del 5,3 per cento, addirittura supcriore, a prezzi stabili, di quello medio registrato tra il 1968 e il 1973 (4,2 per cento). Gli operai, quindi, torneranno nelle fabbriche a Torino, a Milano, a Genova, a Napoli. Tra il '73 e il '78, il tasso medio annuo in Italia dell'aumento della popolazione occupata sarà dello 0,3 per cento e la disoccupazione scenderà dal 3,3 per cento del 1973 al 2,5 per cento della popolazione attiva del 1978. Nella maggior parte dei Paesi della Cee, tuttavia, la percentuale dei disoccupati in rapporto alla popolazione attiva rimarrà sui livelli attuali. In Europa in questo momento vi sono quattro milioni e forse più di disoccupati. Il divario esistente tra le economie dei vari paesi (vi sono «Due Europe», quella ricca composta dai paesi del Benelux e dalla Germania e quella povera rappresentata dall'Italia e dall'Inghilterra) sarà accentuato nei prossimi anni. Questo, al di là dei proclami e delle buone intenzioni, avrà l'effetto di rendere impossibile una marcia accelerata verso l'unione eco¬ nomica e monetaria europea e ancor più verso un'Europa federale o confederata. Il modello alternativo, antiamericanismo, socialismo e nazionalismo europeo, ha avuto vita breve: Wilson, Giscard d'Estaing e Schmidt l'hanno decapitato nel giro di un anno. Si può dunque ipotizzare la fine dell'Europa Unita come reale prospettiva per gli Anni Settanta e probabilmente per gli Anni Ottanta. Non è prevedibile, infatti, la trasformazione di un semplice Mercato Comune imperfetto in una grande potenza continentale unita in un modo o nell'altro, con flotte armate di missili atomici e inserita nell'equivoco gioco internazionale di determinare, oltre al suo destino, quello di altre nazioni. Questa Europa sarebbe per logica la fase conclusiva del «Vecchio modello Cee», ma è inaccettabile a vasti settori del¬ l'opinione pubblica. 11 «Modello» alternativo, l'Europa forte nel mondo sulla sola base della sua potenza economica (una recente tesi di alcuni commentatori francesi), pecca di ingenuità perché trascura la componente strategico-militare. Ma è poi tanto tragico che non si possa realizzare l'Europa come potenza mondiale? Le nazioni che hanno meno problemi sociali, economici e politici oggi nel mondo sono quelle piccole (Belgio, Olanda, Svizzera, Svezia, ecc.) mentre i grandi agglomerati geo-politici, per ragioni di contraddizioni sociali interne e per il loro massiccio impegno esterno, sono difficilissimi da amministrare. Cercare un nemico esterno per unificare l'Europa (sia esso gli Stati Uniti, come vuole la sinistra europea, sia esso i Paesi produttori di petrolio, come vuole la destra) è un pericolo¬ so gioco illusionistico. Restano i veri problemi europei sui quali la Cee può avere una grande influenza a beneficio dei suoi popoli, senza condizionarne la soluzione alla realizzazione dei grandi schemi di unificazione, come il governo centrale, il Parlamento sovrano eletto per suffragio diretto ecc. In realtà, sarà più facile, oltre che immensamente più utile, realizzare «l'Europa dei fatti», dopo il fallimento dell'«Europa delle parole». Quest'Europa si chiama politica regionale, politica sociale, politica energetica, politica del controllo delle società multinazionali, politica industriale, politica ecologica, politica della partecipazione operaia, politica agricola a favole dei consumatoli, politica dei trasporti. La crisi non può essere una scusa per rinunciare a realizzare questa Europa. Renato Proni

Persone citate: Giscard D'estaing, John Maynard Keyncs, Schmidt