Il fischio in meno dopo tanti fischi in più di Fulvio Cinti

Il fischio in meno dopo tanti fischi in più DOV'È L'ERRORE? Il fischio in meno dopo tanti fischi in più Rigore negato forse per condizionamento psicologico (Dal nostro inviato speciale) Roma.. 5 gennaio. Attimo di timore, assenza di reato da parte di Wilson o condizionamento psicologico? L'atterramento di Damiani in area di rigore dopo appena venti minuti di gioco e non punito con la massima punizione è fatto determinante oppure ha valore solo episodico? Se al secondo interrogativo è lecito rispondere affermativamente, poiché è fuori di dubbio che la partita avrebbe avuto ben altro sviluppo (ammesso che Damiani avesse trasformato il rigore in gol), sul primo gravita l'ostinata riservatezza di Michelotti. Siamo andati a salutare l'arbitro di Parma alla Gne dell'incontro. Un gesto da sinceri amici che egli ha chiesto ebe restasse tale. Nessuna domanda sulla partita, non avrebbe dato risposta. Conoscendolo abbiamo rispettato il patio. Però abbiamo ricavato la netta impressione che Michelotti non avesse nulla da rimproverarsi. Sorridendo ha chiesto: «E' andata bene?». Procediamo quindi per eliminazione. Non è certamente per timore, anche passeggero, che Michelotti non ha concesso il calcio di rigore alla Juventus. La sua carriera di arbitro è contraddistinta da atti di coraggio. Ma egli non è soltanto un uomo coraggioso: è coerente con se stesso, onesto nelle decisioni, rigido interprete dei regolamenti calcistici. Forse fin troppo. Glielo rimproverammo dopo una partita del Torino qualche anno fa, ricordando che, essendo egli stato buon musicista e suonatore di oboe, leggeva nelle righe del regolamento con la stessa matematica precisione delle note sul rigo musicale. Esclusa la presenza di timori in Michelotti passiamo all'assenza di reato da parte di Wilson. Rivediamo la meccanica dell'azione: Damiani prima « si beve » in dribbling Martini, che lo ha in consegna, evita con una « veronica » Re Cecconi, quindi in piena area sorpassa di slancio Wilson il quale ricorre a maniere energiche: allunga la gamba destra e sull'improvviso ed illecito ostacolo l'ala juventina inciampa e va a faccia in giù. Probabilmente nella caduta di Damiani c'è un'accentuazione del fallo del laziale, quel pizzico di teatralità comune ai « punteros » italiani che in materia sono degli artisti. Però non si può non rilevare nel gesto di Wilson l'intenzione, quindi vi sono gli estremi affinché il reato sia punibile con il calcio di rigore. Probabilmente Michelotti ha attri¬ buito maggior valore all'accento posto da Damiani nella caduta, anziché all'intenzione di Wilson di abbattere l'avversario. E veniamo al condizionamento psicologico. Il sospetto che anche Michelotti abbia subito in qualche modo la suggestione della partita, anticipata come episodio quasi decisivo del campionato per cui se la luventus avesse vinto avrebbe detto alle rivali « tanti saluti, e grazie! », può anche sussistere. Nonostante tutte le sue virtù di arbitro, Michelotti non è un robot: resta un uomo, aneli'egli vulnerabile da una psicosi pressoché generale, in questo caso un grido disperato, quanto assurdo, di: « Salviamo l'interesse del campionato ». Era un pericolo di cui avevamo avvertito la subdola presenza e i fatti della partita, per quanto non esasperati che dalla animosità di Chinaglia e compagni e quindi sfociati nella rissa degli spogliatoi, hanno confermato il timore. Chiamato a dirigere un incontro elevato a così alto valore, e ciò dopo più di un mese d'assenza dai campi di gioco a causa di un malanno alla schiena (ma era in ottima condizione fisica), Michelotti non può essersi totalmente sottratto alla psicosi generale. In ogni momento della gara sua maggiore preoccupazione è stata di frenare gli slanci eccessivi, punire l'intemperanza, le reazioni rabbiose, la protesta. Ha espulso Garlaschelli per scorrettezze, ha ammonito Ghedin per un fallo balordo, e richiami, per aver blaterato insensatamente, ha inflitto a Chinaglia, Frustalupi e Causio. Ha fischiato molto, qualche volta con dubbia valutazione, ma essendo egli sempre a contatto con l'azione quindi con una visione più reale degli spettatori l'ago della ragione pende dalla sua parte. Ha « visto » in sostanza tutto o quasi tutto ciò che avveniva dinanzi ai suoi occhi c alle sue spalle (Garlaschelli venne allontanato per il tempestivo intervento di un guardalinee). Perché dunque negare quel rigore così lampante? Frossi, accanto a noi, ebbe uno scatto nel vedere Io sfacciato sgambetto di Wilson al piroettante Damiani: «E' rigore!». Chiedendo: « E' andata bene? », l'amico Michelotti non si rimproverava di averlo lasciato impunito. Però se fra ventiquattro ore ci fa un pensierino dovrà convenire che era lecito da parte sua concedere il rigore, senza remore psicologiche. I laziali avrebbero bercialo un po' ma la partita avrebbe preso un altro corso. Forse, quello giusto. Fulvio Cinti

Luoghi citati: Parma, Roma