S'è ucciso per disgrazia lottando contro i ladri

S'è ucciso per disgrazia lottando contro i ladri La tragedia di mezzanotte a Roma S'è ucciso per disgrazia lottando contro i ladri L'impresario si è scagliato con un fucile sull'auto dei tre giovani che stavano fuggendo - Ha colpito con il calcio dell'arma il tetto della vettura ed è partita la micidiale scarica Roma, 5 gennaio. L'impresario edile Antonio Restaino, 31 anni, padre di una bimba di 2 anni, non è stato ucciso ma si è ucciso in modo accidentale: questa terza «verità» sull'episodio avvenuto a mezzanotte in via Tersicore 7 è emersa da una serie di elementi nuovi presi in considerazione dai funzionari della «squadra mobile» nel corso delle ultime ore. Subito dopo la morte di Restaino gli investigatori avevano pensato che a sparargli fossero stati tre giovani che avevano tentato dì rubargli la «Simca». in sosta davanti a casa sua, nella stessa via Tersicore. Accertato poi che l'impresario era stato ucciso con una fucilata e che l'arma era stata portata in strada da Cosimo Riotto — il cugino della vittima che, visti dalla finestra i ladri vicino alla «Simca», aveva dato l'allarme — le indagini hanno preso un orientamento diverso e si è considerato probabile che Riotto, lottando contro i tre, avesse premuto il grilletto del fucile uccidendo, senza volerlo, il congiunto. Dall'interrogatorio di Riotto e da una più accurata ricostruzione dell'accaduto si è giunti però a una terza versione dei fatti: Restaino, preso il fucile dalle mani del cugino, avrebbe inseguito i ladri — che nel frattempo erano riusciti a salire su una «Fiat 600» — impugnando l'arma per la canna. L'impresario avrebbe colpito il tetto della vettura dei tre, usando il fucile come una mazza, e dall'arma sarebbe partito così il colpo che l'ha ucciso. Le indagini hanno portato a escludere qualsiasi responsabilità di Walter Carli, il giovane che era stato licenziato da Restaino e che poco prima della morte dell'impresario era stato visto vicino alla «Simca», e anche ogni addebito per il cugino dell'ucciso. Nella tarda mattinata gli investigatori hanno fermato tre giovani — Enzo Ceci, Antonino Santoro, Stefano Di Saverio — e li hanno accusati di aver compiuto il tentativo di rubare la «Simca» di Restaino. Sono state le dichiarazioni di Mario Restaino e quelle, confuse, di Cosimo Riotto, a mettere «fuori pista» per alcune ore gli investigatori, che hanno ritenuto trattarsi prima dì un omicidio e, in un secondo tempo, di un incidente. Quando Cosimo Riotto si è ripreso dallo choc ha riferito agli investigatori come si erano svolti i fatti, che sono stati poi confermati quando la polizia ha riaipacciaio e fermato i tre giovani. Riotto — che abita al quarto piano della stessa palazzina dove vivono i fratelli Raffaele, Mario e Antonio Restaino — ha detto che, affacciatosi alla finestra, ha visto dei giovani armeggiare vicino alla sua «127» e alla «Simca» del congiunto, parcheggiate all'angolo tra via Celio Caldo e via Tersicore. Armatosi del suo fucile — un calibro 16 nel quale aveva messo due cartucce — l'uomo è sceso al piano inferiore e ha chiamato il congiunto. Antonio Restaino, vestitosi in fretta, è sceso in strada ma i ladri, accortisi di essere stati scoperti, si erano già allontanati. Poco dopo, a una cinquantina di metri di distanza dai due, è passata la «600» con a bordo Ceci, Santoro e Di Saverio. Restaino, fuori di sé dall'ira, ha strappato il fucile dalle mani del cugino e, impugnandolo per la ca^na, si è avventato contro l'auto vibrando contro di essa alcuni colpi. Dal fucile è partito un colpo che lia preso in pieno Restaino. La detonazione ha fatto fuggire i ladri, mentre Riotto, in preda a choc, ha raccolto il fucile ed è rientrato in casa pronunciando frasi sconnesse. Subito dopo aver gettato l'arma nella vasca da bagno Riotto è stato colto da malore. (Ansa) Roma. Antonio Restaino

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