Dalle catene di montaggio ritornano alle campagne

Dalle catene di montaggio ritornano alle campagne Le conseguenze della crisi sull'occupazione Dalle catene di montaggio ritornano alle campagne Alla Coldiretti dicono: "Da ottobre non sono pochi gli ex operai che sono venuti a riprendere la tessera di agricoltori" - E' però un esodo all'inverso difficile da quantificare statisticamente - Ora che l'industria non "tira" più, molti in cerca d'un posto restano nelle cascine Ora che la spia segna rosso nel settore dell'industria — e il mito del «posto sicuro» in fabbrica comincia a sgretolarsi — c'è chi torna a guardare, timidamente, all'agricoltura. Dopo oltre vent'anni di esodo dalle campagne, da qualche mese si registra un fenomeno inverso. Alcune migliaia di lavoratori in Piemonte hanno lasciato la fabbrica per tornare ai campi. Un ritorno difficile da registrare in termini statistici, ma che è sicuramente in atto, dicono i responsabili della Federazione regionale coltivatori diretti. «A partire dall'ottobre scorso non sono pochi gli ex operai venuti da noi per riprendersi la tessera di agricoltore». E' evidente che il riflusso, finora, è stato marginale rispetto alla massa della forza lavoro. Nel settore agricolo, dal 1951 ad oggi, si sono aperti larghi vuoti. A livello nazionale — secondo i dati dell'Istat — gli addetti sono scesi da 8 milioni 91 mila a 3 milioni 340 mila; in Piemonte si è passati da 548 mila a 212 mila; nella provincia di Torino il «taglio» è stato ancora più sensibile: da 116 mila a poco più di 43 mila (è rimasto un contadino su tre). E' impensabile, per diverse rinncsinl'cpamlttdn ragioni, che si possa tornare indietro di anni. La recessione, d'altra parte, non ha falciato la manodopera industriale: l'istituto della Cassa integrazione ha tamponato l'emorragia dei licenziamenti, che altrimenti sarebbe stata più consistente. Il fatto che alcuni operai, soprattutto piemontesi, abbiano preferito l'aratro alla catena di montaggio può tuttavia essere sintomatico di un diverso modo di pensare. Resta da vedere — affermano i sociologi — fino a che punto è disposto a cominciare tutto da capo chi ha scelto l'officina, attratto dalla paga fissa e da una vita apparentemente più tranquilla. Il ritorno all'agricoltura potrebbe rappresentare un nuovo trauma, dopo il faticoso inserimento nella società industriale. Un discorso che vale forse in maggior misura per l'immigrato. Di fronte alla crisi la prima reazione è, in genere, quella di rientrare al paese d'origine. Ma l'intenzione è di risalire al Nord con il «treno j i della speranza», non appena se ne presenti l'occasione. Molti, negli ultimi tempi, hanno ripreso la strada del Mezzogiorno, dicono alla sezione agricoltura dell'Ires. Ed è probabile che parecchi siano ridiventati contadini. Il momento è troppo confuso per delineare un quadro preciso. Il lungo ponte nelle fabbriche ha permesso alla maggioranza degli immigrati di «tornare a casa» per il periodo natalizio. Chi è occupato nelle grosse aziende si presenterà puntuale alla ripresa dell'attività. Ma quanti — soprattutto chi lavora nelle piccole fabbriche, più indifese di fronte alla recessione, oppure nei cantieri — preferiranno rimanere al Sud? «Bisognerà attendere il mese di febbraio per avere il polso della situazione», dice Piero Crestani, segretario torinese della Federazione edili, uno dei settori più colpiti dalla crisi. «Gli anni sborsi, dopo la parentesi invernale, si verificava il rientro in massa (tranne qualche frangia che "resisteva" fino a primavera). Quest'anno parecchi potrebbero preferire un posto da bracciante a un lavoro incerto da muratore al Nord». Lo stesso problema si presenterà per le migliaia di «stagionali» rientrati dalla Svizzera e dalla Germania con un contratto di lavoro scaduto e che forse non sarà piìi rinnovato. Sarà comunque una scelta forzata che gioverà ben poco all'agricoltura: un settore strategico della nostra economia, rimasto primario solo di nome, al quale spesso si riservano solo le briciole. «L'agricoltura non deve essere un rifugio a cui sì accede quando non ci sono altre occasioni di lavoro», dice il direttore piemontese della Coldiretti, Gianfranco Tamietto. «Altrimenti non si svilupperà mai l'imprenditorialità». «Il fatto veramente nuovo però è un altro », precisa il dottor Tamietto. «Ora che l'industria non "tira" più come negli anni del boom economico, i giovani non sono più attratti in modo fortissimo dal settore secondario. Le richieste di occupazione, specie nelle zone ad alto sviluppo industriale, si sono ridotte. I "complessi" più importanti, come la Fiat, hanno bloccato le assunzioni e molti potenziali operai restano in cascina». Un fenomeno abbastanza generalizzato. I dati statistici che si riferiscono a>ll'immigrazione nell'area torinese sono significativi. Nei primi dieci mesi del '74 il flusso migratorio non ha superato le 30 mila unità, mentre negli anni scorsi ha sempre oltrepassato le 50 mila. Per trovare una flessione di questo tipo bisogna risalire al periodo congiunturale degli anni '64-'65, fanno notare all'Ufficio studi dell'Unione industriale. Si tratta naturalmente di impressioni che mancano di riscontri oggettivi. L'unico «ritorno ai campi» veramente certo, sul quale tutti sono concordi, è quello per «autoconsumo». Chi dispone di terreni — e li aveva abbandonati — ha ripreso a coltivarli. I prezzi che galoppano (quest'anno l'indice generale è salito di quasi il 26 per cento) hanno fatto riscoprire l'utilità di seminare la verdura e raccogliere la frutta, per ridare ossigeno a bilanci familiari sempre più asfittici. Roberto Bellato OCCUPATI NELL'AGRICOLTURA Italia Piemonte Torino 1951 8.091.970 548.055 116.115 1961 5.657.446 387.865 81.445 1971 3.342.621 212.121 43.268 OCCUPATI NELL'INDUSTRIA Italia Piemonte Torino 1951 6.343.036 669.559 326.423 1961 7.886.181 889.903 485.827 1971 8.350.061 971.380 557.051 I dati si riferiscono ai vari censimenti dell'lstat. L'ultima rilevazione risale al 25 ottobre del 1971. Da allora la situazione nel settore agricolo non ha subito sostanziali modifiche

Persone citate: Gianfranco Tamietto, Italia Piemonte, Piero Crestani, Roberto Bellato, Tamietto

Luoghi citati: Germania, Piemonte, Svizzera, Torino