Cambogia e Sud Vietnam al limite del crollo di Vittorio Zucconi

Cambogia e Sud Vietnam al limite del crollo Cambogia e Sud Vietnam al limite del crollo È ricomparso in America il fantasma dell'Indocina (Dal nostro corrispondente) Washington, 27 febbraio. «Kissinger è deciso a salvare la Cambogia ed è pronto a combattere fino all'ultimo cambogiano », scrive stamani il "New York Times", e nell'acre ironia di questa frase si condensa in breve il sentimento del Congresso, dei giornali più influenti, di molta parte dell'opinione pubblica americana, di fronte alla reincarnazione del fantasma indocinese. 11 governo di Lon Noi, in Cambogia, ha non più di quattro settimane di vita, cioè di munizioni, se nuovi aluti Usa (222 milioni di dollari) non interverranno. Il governo dì Van Thieu, nel Sud Vietnam, potrà resistere — prevede il Pentagono — forse quattro mesi, senza 300 milioni di dollari in armi e munizioni chiesti da Ford. Un ponte aereo di civili (si tratta di compagnie aeree fantasma che appaltano i soccorsi alimentari e medici dal governo Usa) sta portando a Phnom Penli cibo e rifornimenti non militari, ma secondo il ministro della Difesa Schlesingèr la sorte di Lon Noi è segnata, anche in caso di nuovi aiuti americani. A queste cupe, ina realistiche profezie, il Congresso ha risposto finora gelidamente: se così deve essere, così sia. Di fronte ai muro compatto di opposizione emerso in Parlamento e nel Paese alla prospettiva di nuovi interventi americani in Indocina, sotto forma di aiuti supplementari, l'amministrazione appare pressoché impotente. Gerald Ford, il quarto Presidente in dieci anni costretto a battersi sul terreno del Sud-Est asiatico, agita la minaccia della « caduta » di Phnom Penh e di Saigon senza comprendere che in Congresso la si attende quasi come una liberazione. Kissinger, più sottile, lascia intendere che la « teoria del dominio » è ancora valida, e la perdita di quei due regimi « alleati » non avverrebbe senza suscitare reazioni a catena entro tutto il sistema di influenze americane, dall'Europa al Medio Orien te, all'Asia. Ma agli argomenti di Ford e Kissinger il Parlamento e i giornali contrappongono un'osservazione incontestabilmente ovvia. «La Casa Bianca — ha detto oggi McGovern, che sulla crisi indocinese costruì il trionfo e la caduta delia sua carriera politica — chiede oltre mezzo miliardo in nuovi aiuti per Vietnam e Cambogia. Ci chiede cioè di continuare in una politica che ha portato solo errori e soffereme, per l'America cosi come per le nazioni indocinesi». Prima che Lon Noi rovesciasse Sihanuk in Cambogia, incalza il New York Times, «la Cambogia era un Paese agricolo ricco, con un modesto, ma diììuso benessere. Oggi è una terra bruciata, dove migliaia di nomadi dallo stomaco vuoto vagano cercando cibo fra una bomba e l'altra. Siamo sicuri, sono sicuri Kissinger e Ford, che i cambogiani vogliano essere "salvali"?». Il governo americano invoca la «necessità morale» di sostenere le sorti di un Paese alleato, indipendentemente dai risultati di questo aiuto (l'osservazione è di Kissinger), aggiungendo "he è dal rispetto degli «imp^jni morali» che nasce l'influenza statunitense nel mondo. L'America — dice ancora Kissinger — può essere chiamata nel futuro a dare la sua garanzia per la pace in Medio Oriente: quale credibilità avrebbe tale garanzia, se ora gli Usa ab¬ bScldrsplsd bandonassero Cambogia e Sudvietnam al loro destino? La risposta del Parlamento, cui spetta l'ultima parola sulla concessione degli aiuti e dunque la sentenza sui due regimi indocinési, si articola su due argomenti: 1) è proprio da operazioni come quelle indocinesi che è nata l'erosione del prestigio «morale» dell'America nel mondo; 2) nessun impegno di alleanza fu mai sottoscritto con la Cambogia, il cui regime è di dubbia legittimità e che venne bombardata e invasa senza troppi scrupoli morali da Nixon e Kissinger. Il Vietnam del Sud, aggiungono Kennedy, Humphrey, McGovern e in pratica tutti i maggiorenti del Senato, è in una posizione diversa da quella della Cambogia: a Phnom Penh l'aiuto americano difende la vita di un regime dubbio, a Saigon, difende anche l'integrità di un Paese, quindi la soluzione va cercata sul piano politicodiplomatico. Il dibattito è aperto, la fresca ferita che gli accordi di Parigi (gennaio 1973) avevano appena lenito si riapre. Il «no» che viene dal Paese alla Casa Bianca appare tanto più secco in quanto si nutre di elementi emozionali, prima ancora che politici, ma Ford — occorre dargliene atto — è in una posizione insostenibile. Se insisterà nel battersi per mantenere in vita i governi cambogiano e sudvietnamita rischierà di associare la sua persona al fantasma indocinese, caricandosi di un onere politico di cui non ha colpe. Se accetterà il punto di vista del Parlamento, decretando l'eutanasia per Lon Noi e Van Thieu egli sarà il liquidatore di 30 anni di politica americana in Indocina, un fatto che oggi può apparire un «atout» e domani potrebbe volgersi a suo sfavore. Ma più di tutti è in imbarazzo Kissinger. All'accordo sull'Indocina, con la distensione, è legato gran parte del mito kissingeriano, quella «generazione di pace» che lui, con Nixon, avrebbe garantito all'America. Sinceramente, milioni di americani credettero, nel gennaio '73, che la firma degli accordi di Parigi avrebbe tolto per sempre il vocabolo «Indocina» dal glossario delle crisi americane. «Per due anni — scrive il Washington Post cui fa eco il Wall Street Journal con parole analoghe — il segretario di Stato ha finto di non vedere che cosa stava preparandosi in Indocina, illudendosi che il Paese fosse pronto a pagare all'infinito i conti del mantenimento di quei due regimi, contento solo di non veder più soldati Usa in guerra. Kissinger non ha capito che era una politica che il Paese voleva veder liquidata insieme con l'intervento diretto». Ancor più oltre si spinge il New York Times, oggi, «invitando a rifiutare la mostruosa scota di valori proposta da Kissinger» che «ci offre niente altro che una "dottrina Breznev" in versione occidentale». Polemiche feroci, dunque, che non giovano certo al prestigio del segretario di Stato, proprio mentre prossimo è il ritorno in Medio Oriente per tentare l'ultimo balzo verso la pace arabo-israeliana. A Saigon è al lavoro una commissione di parlamentari americani che dovrebbero «constatare di persona» le disperate condizioni di quel Paese, e Ford, cui appartiene l'idea di questo sopralluogo, conta sul rapporto della missione per muovere il Congresso. E' probabile si illuda: senza colpi di scena ora impensabili, il Parlamento ha deciso di liquidare l'Indocina. E Kissinger rischia molto — ma non ha scelta — nel proporre al Paese l'identificazione della sua persona con il destino della Cambogia e del Sudvietnam. Vittorio Zucconi