Storia della ragazza "rapita,, da un ladroe morta d' inedia prigioniera in un cubicolo

Storia della ragazza "rapita,, da un ladroe morta d' inedia prigioniera in un cubicolo Lunedì, in assise ad Asti, il processo per la fine di Maria Teresa Novara Storia della ragazza "rapita,, da un ladroe morta d' inedia prigioniera in un cubicolo La notte del 16 gennaio 1968, scomparve da casa - Otto mesi dopo fu trovata morta in una cella sotterranea su una collina a Canale d'Alba - L'uomo che la teneva prigioniera una settimana prima annegò nel Po mentre tentava di sfuggire ai carabinieri - Il suo complice è accusato di "concorso in sottrazione della minorenne" - Dice: "Non ho mai visto la ragazza" (Dal nostro inviato speciale) Asti, 27 febbraio. Storia di sei anni fa: una ragazzina di 13 anni scompare da casa ed è trovata morta otto mesi dopo in una cella sotto il pavimento di una cascina. Spirata da poche ore: l'uomo che la teneva prigioniera era annegato. E' il dramma di Maria Teresa Novara, la studentessa di Villafranca d'Asti. Una vicenda sconvolgente. Fra tre giorni, ad Asti, processano un uomo: Luciano Rosso, 39 anni. Per l'accusa è «complice con Bartolomeo Calieri (morto) in sottrazione di minore a scopo di libidine». Ma l'imputato nega. Ha sempre detto: «Non ho mai conosciuto Maria Teresa Novara». La vicenda inizia la notte del 16 dicembre 1968 a Villafranca. I giornali scrivono: «Misterioso episodio: ima ragazza è stata rapita, forse per ricatto. E' Maria Teresa Novara che abita in frazione Bricco Barrano di Cantarano con i genitori e tre fratelli, di 20, 15 e 5 anni. Gente che fatica per vivere: il padre fa il contadino ». La ragazzina è sparita dalla casa, degli zii, Teresa Novara e Pasquale Borgnino, che hanno una tabaccheria. Era loro ospite durante il periodo scolastico. Frequentava la terza media, un'alunna diligente. Di lei dicevano: «Non ha grilli per il capo. Una tranquilla bambina tutta casa chiesa e scuola». Un'immagine un po' troppo retorica che inizialmente ha disorientato le indagini. Nessuno — dicevano in paese — l'aveva mai vista chiacchierare con uno sconosciuto, non aveva amici, se le si rivolgeva la parola arrossiva. L'ipotesi, quindi, che fosse fuggita, non era neppure stata presa in considerazione. Maria Teresa scomparve di lunedì. «Il giorno prima — raccontò la zia — mia nipote era andata a Messa e nel pomeriggio si era intrattenuta all'oratorio delle suore fino alle 17,30. Pareva tranquilla, come al solito. E' tornata a casa e mi ha aiutata nelle faccende domestiche. Dopo cena ha guardato la televisione con noi. Poi, alle 23,30, siamo andati tutti a letto». Scomparsa Ma quella notte Maria Tere-. sa non aveva abbassato del tutto la tapparella della sua finestra, stando a letto poteva guardare fuori, aspettava Bartolomeo Calieri, un ladruncolo di 34 anni che aveva conosciuto chissà quando e dove. Quella notte Maria Teresa non ha neppure chiuso occhio. Bartolomeo Calieri è arrivato forse verso le 3, sapeva già che nel cortile vicino c'era una scala (apparteneva a Mario Agogliate), l'ha appoggiata al parapetto del balcone ed è salito sul terrazzino, al primo piano. Maria Teresa dall'interno ha sollevato per metà la persiana della porta e per impedire che si abbassasse per un improvviso difetto della molla, le aveva appoggiato sotto il bastone che le massaie usano per lavare i pavimenti. Calieri è entrato nella stanza, aveva un sacco con vestiti per Maria Teresa. La ragazzina li ha indossati sopra la camicia da notte e si sono allontanati. La fuga doveva apparire come un rapimento; un riguardo infantile che la giovinetta aveva avuto verso i parenti che la ospitavano. La sua scomparsa venne scoperta all'alba dalla zia: il letto era sfatto, ma non in disordine, le coperte spostate con cura. Sul materasso c'era ancora l'impronta del corpo. Per terra un sacco vuoto, alcune tracce di scarpe, una chiazza d'acqua che inizialmente era stata scambiata per orina: «Per la paura se l'è fatta addosso». In realtà era la neve che il Calieri aveva sotto le suole e si era sciolta. Gli abiti di Maria Teresa sono tutti appesi nel guardaroba e si arriva quindi alla conclusione che la bimba è stata portata via in camicia da notte. Si fanno le prime ipotesi: «rapita da malviventi che intendono ricattare lo zio ricco», «vittima di un maniaco che potrebbe averla imbavagliata prima che si destasse», «sequestrata da ladri che la ragazza ha sorpreso mentre facevano irruzione nella stanza». Cominciano le febbrili ricerche. Le immediate battute nelle campagne non danno esito, nella notte è nevicato e anche i cani poliziotti non. riescono a orientarsi, a fiutare una traccia. Quella stessa mattina si scopre che il distributore di benzina che è sulla provinciale per Asti, proprio davanti alla casa dei Borgnino, è sta(:o forzato: i ladri si sono accontentati di portare via la cordicella per sollevare le «veneziane». Nient'altro. Forse lo spago era servito al Calieri per legare qualcosa. Trascorrono alcuni giorni. I genitori di Maria Teresa sono disperati, il padre continua a ripetere: «Non vedrò più mia figlia». Poi il colpo di scena: i familiari ricevono una lettera. Sono poche parole scritte in corsivo: «Cara mamma, caro papà, sto bene, state tranquilli. Sono in compagnia di gente che mi farà guadagnare molto denaro. Arrivederci a presto. Maria Teresa». Il papà della giovinetta si ostina a dire che quella non è la calligrafia di sua figlia. «Impossibile — spiega —. Non mi posso sbagliare. Sono sicuro che non l'ha scritta lei». La lettera è stata imbucata a Quarto, paese a pochi chilometri da Asti, due giorni dopo il «rapimento». Il biglietto è consegnato al giudice istruttore Bozzola che dirige l'inchiesta. Il magistrato nomina tre esperti calligrafi che seguiranno una perizia sullo scritto. Si accende una luce di spe¬ ranza. Intanto continuano le ricerche. I carabinieri non si risparmiano, frugano tutta la zona., scandagliano i corsi d'acqua, guardano nei pozzi attorno a Villafranca. Controllano anche il cimitero nel caso che il corpo di Maria Teresa sia stato infilato in un loculo non ancora utilizzato: niente. Gli zii e i genitori della ragazzina sono interrogati a lungo. Si ricostruisce con minuziosa pignoleria l'ultima giornata, trascorsa dalla ragazza a Villafranca. Sono per l'ennesima volta interrogate le sue amiche, ma tutte dicono di non sapere niente. Gli inquirenti hanno il sospetto che il paese non collabori molto. Poi cominciano a uscire le prime «voci» che raccontano fantastiche storie. «Maria Teresa è stata uccisa e data in pasto ai porci» oppure: «E' stata sepolta in un campo ». Il 27 dicembre il professor Aurelio Ghio consegna al giudice Bozzola la perizia calligrafica eseguita sulla lettera. L'esperto non ha dubbi, anche se la certezza assoluta non esiste: la grafia è autentica. Maria Teresa è dunque viva. Il magistrato estende le ricerche in tutto il Paese: ogni posto di polizia, comando di vigili urbani, finanza, carabinieri ha i connotati della ragazza. Qualcuno comincia a vederla in giro. Arrivano altre lettere, una spedita da Milano che sembra autentica, altre scritte da mitomani. La faccenda si ingarbuglia, diventa un vero giallo. Maria Teresa è cercata in Francia, Svizzera, quasi in tutta Europa. Invece è lì, a pochi chilometri da casa, in un cascinale su un colle a Canale d'Alba. E' «prigioniera» di Bartolomeo Calieri che sbarca il lunario forzando i cassetti dei distributori di benzina, commerciando in merce rubata. E' un uomo che all'età di 19 anni era già davanti ai giudici della corte d'assise. Un giovane che non ha mai conosciuto il padre (è morto quando lui aveva otto mesi) cresciuto in balìa di se stesso, senza guida, senza affetti. A diciotto anni aveva acquistato una pistola e rapina¬ va la gente. Era stato arresta- hrpvsCdto processato e condannato a nove anni. Ha tentato di evadere dal carcere di Saluzzo; è stato preso a cavalcioni sul muro di cinta. Scontata la pena era tornato libero. Aveva goduto di amnistie e condoni. Poi per un po' di tempo era sparito dalla circolazione. Era emigrato clandestinamente in Francia e i giùdici di Besanyon lo avevano condannato per due volte in contumacia per rapine e furti. Quando era tornato in Italia il Calieri era finito nuovamente in carcere, nel penitenziario di Capraia: due anni, dal '65 al '67 per furti. Riacquistata la libertà, si era stabilito a Canale d'Alba dove aveva comperato una cascina diroccata che aveva ricostruito, mattone su mattone, con le sue mani. Una specie di castello circondato da un muro di cinta. Un rifugio sicuro, isolato dal mondo. Dalla strada lo si scorge appena immerso com'è tra i vigneti. Nel cortile, sotto il garage, aveva scavato due stanzette arredandole con brandine. Aveva foderato le pareti con legno pressato lucido e fatto l'impianto elettrico. L'entrata a botola era chiusa da un coperchio di ferro. E' in questo cubicolo che è poi stata trovata Maria Teresa. A questo punto della storia l'immagine della giovinetta casa, scuola e chiesa, svanisce. Maria Teresa era una ragazza i cui interessi andavano al di là della tranquilla, piatta vita di paese. Col trascorrere dei mesi le indagini avevano messo in evidenza alcuni importanti particolari della sua vita, del suo comportamento. Una sera dell'inverno 1967, mentre a Villafranca era in atto uno spettacolo del «Microfono d'oro», si era presentata verso le 23 all'ingresso e aveva chiesto di entrare per vedere una persona, forse il Calieri. Poi è stato scoperto che il giorno prima della sua scomparsa, nel pomeriggio, si era fermata a giocare con alcune amiche sulla piazza del paese e si era assentata per un quarto d'ora. Era andata a parlare con qualcuno? Forse. Poi, nella notte, la fuga. Cos'era dunque accaduto nel cervello di questa ragazzina? Forse se n'era andata da casa verso un miraggio attraente. Forse il Calieri l'aveva indotta a fuggire facendole balenare la possibilità di avventure meravigliose, una vita tutta diversa da quella ch'era abituata a fare. Nella cascina dov'era «prigioniera» sono stati trovati indumenti femminili fini: camicie da notte, un paio di scarpe di coccodrillo, tutte cose che non servono a chi deve rima nere segregata. Qualcuno ha detto che la ragazza era stata vista più volte passeggiare tra i vigneti della collina, quindi era libera e se voleva fuggire , poteva farlo. Ma forse aveva ! paura delle conseguenze: la i sua scomparsa aveva sollevai to un pandemonio, molte peri sone si erano trovate nei guai j erano state ingiustamente so- spettate, avevano rischiato la ! galera. Poi tra Calieri e Maria Te ptcdPscnduc1dMrpinatpRSivGscrplqGlu he aveva tanto contato anche resa ci deve essere stato un periodo difficile. Forse la giovinetta, ormai stanca e delusa, voleva tornare a casa. Il Calieri si vedeva cosi sfuggire di mano la ragazza sulla qua¬ per il futuro. (L'uomo era un timido, chi l'ha conosciuto dice che non aveva il coraggio di avvicinare una donna). Perciò quando partiva per le sue. scorribande notturne chiudeva nella cella sotterranea Maria Teresa. Le lasciava dei viveri, vino, giornaletti e una radiolina a transistor. E cosi è stato anche il 5 agosto 1969, la data che segna l'inizio della lenta, penosa agonia di Maria Teresa; agonia che dura otto giorni. Il 6 agosto La Stampa riporta una notizia: «Due ladri inseguiti dai carabinieri si sono gettati nel Po. Uno lo ha attraversato a nuoto ed è stato arrestato sulla sponda opposta. Si chiama Luciano Rosso. 33 anni, autista, sepa¬ rato dalla moglie e abitante con i genitori e una figlia di nove anni a Beinasco in via Torino 22. L'altro è scomparso, dopo aver chiamato aiuto. Non si sa se sia stato un trucco per distogliere gli inseguitori o se sia annegato. Non si conosce nemmeno il suo nome: Roberto Castelli, ha detto il complice. Ma forse mente». Infatti, Rosso mentiva. Il cadavere dell'altro è stato recuperato dopo alcuni giorni e in tasca sono stati trovati i documenti: Bartolomeo Calleri. La fotografia dell'uomo è pubblicata e Carlo Dacomo, 35 anni, un impresario che stava tracciando la strada per arrivare alla cascina del Calieri, va in caserma. «Questo tipo lo conosco — dice al brigadiere indicando il giornale —. Abita alla "Barbisa". la vecchia casa sulla collina. Lassù è tutto aperto, potrebbero arrivare i ladri». La botola Il sottufficiale con un militare va nella cascina, girano per le stanze, trovano proiettili, il calcio di una pistola, sembra anche un fucile. Poi si fermano davanti al garage che è- nel cortile. Guardano nell'interno attraverso i vetri e scoprono che è completamente vuoto. Provano ad aprire la porta, ma è chiusa con una catenella. Anche l'altra porta è sbarrata. Trascorrono altri giorni e arriva il 13. Sono le 9,30. Alla cascina giungono il brigadiere Colaci e il carabiniere Sisti del nucleo investigativo di Torino, il comandante e un appuntato della stazione di Canale: vanno a cercare refurtiva. Gli inquirenti cominciano a guardare in giro. Il sopralluogo è minuzioso. Entrano nel garage e Colaci solleva le lamiere. Si accorge che sotto c'è qualcosa e smuove il terriccio con i piedi. Affiora il coperchio della botola. Lo solleva ed è> investito da una zaffata di aria calda, nauseabonda. Appare una piccola scala a pioli e sul fondo che sembra una tomba si vedono due porte: quella di sinistra è chiusa da un chiavistello e da una sbarra che s'appoggia al muro. Scende Sisti, ma quando arriva sul fondo gli manca il respiro. Deve risalire in fretta, si sente mancare. Intanto un altro carabiniere gira per le stanze della cascina e su un davanzale scopre un quaderno. Sulla copertina c'è scritto: «Quaderno di Maria Teresa Novara». Il militare ha un brivido. Chiama il sottufficiale e glielo mostra. «Presto — ordina quest'ultimo — apriamo immediatamente la botola. Non c'è un minuto da perdere». Nel cubicolo si cala ancora Sisti. Questa volta è legato con una corda alla cintola per tirarlo su se si sentisse male. Il carabiniere trattiene il fiato, strappa dal muro la sbarra, fa scorrere il chiavistello e spalanca la porta. Là sotto è buio, ma il debole fascio di luce che arriva dall'apertura gli fa scorgere un corpo steso su ima brandina. «C'è un morto — dice Sisiti ai colleghi — non riesco a veder bene». Via radio informano subito il nucleo investigativo di Torino. Un'ora dopo arrivano il capitano Porcari, il tenente Formato (ora capitano), il maresciallo Gallo. E' quest'ultimo che si cala nel cubicolo. L'aria non è più viziata. Il sottufficiale si accosta alla brandina, guarda il corpo e dice: «E' una ragazza». Le afferra un braccio e sente che è ancora calda. Aldo Popaiz Una camera della cascina di Canale d'Alba dove Maria Teresa era tenuta «prigioniera» (Foto «La Stampa») Cdr , ! i i i j-! li carceriere. Bartolomeo Calieri La vittima, Maria Teresa Novara