Memorie di Smrkovski, uomo della "primavera,, di Ennio Caretto

Memorie di Smrkovski, uomo della "primavera,, Memorie di Smrkovski, uomo della "primavera,, Agosto 68, le ore di Praga Negli ultimi giorni sono stali pubblicati i passi più significativi delle «Memorie» di Josef Smrkovsky sull'invasione sovietica della Cecoslovacchia il 20 agosto del 1968. Sono l'unica testimonianza diretta di uno dei protagonisti di quelle tragiche settimane finora pervenutaci, e ne illuminano i retroscena, e le verità sconosciute, con dolorosa immediatezza. Per la prima volta, si chiarisce il ruolo avuto da Breznev, Kossighin e Podgorny nella crisi, si espongono i particolari dell'occupazione di Praga, c si spiega come e perché capitolarono gli alfieri della «primavera». Le «Memorie» rappresentano un documento storico di valore inestimabile, non solo per un'esatta conoscenza degli eventi, ma anche per lo studio del comunismo sovietico. Vecchio comunista, membro del Prcsidium nell'immediato dopoguerra, vittima delle «purghe» staliniane, poi riabilitato. Josef Smrkovsky si trovò ad occupare, nel tragico 1968. le cariche-chiave di Presidente dell'Assemblea nazionale e membro della direzione del partito. Egli fu il portavoce più coraggioso e popolare del «nuovo corso» e il vero interlocutore della gelida «leadership» del Cremlino. Pagò la sua onestà, dopo il 1969. con la scomunica c l'esilio in patria, fino alla morte per cancro nel febbraio del 1974. Sentendo approssimarsi la fine, l'anziano tribuno affidò ad un registratore la sua testimonianza, e la inviò a Giorni - Vie nuove, il settimanale diretto dallo scrittore Davide Lajolo (Ulisse). Gli estratti di Le Monde riprendono quanto la rivista italiana sta pubblicando. Secondo Smrkovksy, il dramma della Cecoslovacchia incomincia il 4 maggio 1968, con la convocazione a Mosca di Dubcek, il capo del partito, Cernik, il capo del governo, Bilak, l'attuale «ideologo», e lui medesimo. Da Praga, sono pervenute a Breznev, Kossighin e Podgorny relazioni allarmistiche dell'ambasciatore sovietico Cervonenko e degli «stalinisti». In teoria, l'oggetto dell'incontro è la politica economica cecoslovacca. Breznev vuole parlare a Smrkovsky a quattr'occhi. Quello che ha da dirgli è preoccupante: i sovietici non possono fidarsi di Dubcck, lui, Smrkovsky, deve prenderne il posto e imporre la linea del Cremlino. Smrkosvky rifiuta, e si apre la crisi. Nessuno di noi giornalisti occidentali, corrispondenti a Mosca in quel periodo, apprende di questo colloquio segreto, e intuisce la gravità della svolta. Il dramma matura ai negoziati di Cernia, in Cecoslovacchia, il luglio successivo. La «leadership» russa è quasi al completo, mancano solo Polianski, Mazurov e Kirilenko. Breznev accusa gli ospiti di nazionalismo, l'ucraino Shelest di propaganda sovversiva «nei Carpazi». Dubcek, indignato, abbandona le trattative, che si svolgono su un treno. Nella notte, i dirigenti sovietici chiederanno scusa, e il giorno dopo presenteranno sei richieste: le dimissioni di Kricgcl, un veemente patriota, dal Fronte nazionale; quelle di Cisar dalla segreteria del partito; la messa al bando dei socialdemocratici; quella del gruppo politico dissidente Kan; lo scioglimento dell'associazione K-231, per la riabilitazione dei «purgati»; la censura delia stampa e della radiotelevisione. Riferisce Smrkovsky che, con qualche eccezione, soprattutto sull'ultimo punto, i protagonisti della «primavera» accettano. In apparenza, il confronto è evitato. «Ma una settimana più tardi — è Smrkovsky che parla — Breznev incomincia a telefonare a Dubcek tutti i giorni. Perché non manteniamo le promesse? Invano Dubcek gli spiega che le misure verranno adottate alla line d'agosto, al plenum del Comitato centrale... II 20 di quel mese, alle 25,30, durante una riunione del Presidium, Cernik è chiamato al telefono. Torna dopo 10 minuti, distrutto... Le forze armale del Putto di Varsavia ci hanno invaso, e completeranno l'occupazione prima delle 6 del mattino». Afferma Smrkovsky che tutti sono colti di sorpresa, ma alcuni, Bilak, Kolder, Jakcs (oggi anche questi ultimi due sono al comando del partito) boicottano la comune presa di posizione antisovietica. Solo per caso si riesce a diramare un comunicalo. E a fare uscire Rude Pravo, assediato dagli « stalinisti ». Sulla notte dell'invasione, negli ultimi anni sono circolati resoconti contrastanti. Smrkovsky smentisce che Dubcek sia stato torturato dal «K.G.B.», la polizia segreta sovietica, asserendo invece che subì una serie di collassi cardiaci, e si ferì al capo in una caduta nel bagno. Ma riferisce di altre crudeltà delle truppe d'occupazione: l'assassinio, alle 5 del mattino, di un giovane che partecipa alla dimostrazione di protesta davanti al palazzo del Comitato centrale, l'arresto dei comunisti più in vista del «nuovo corso» e delle loro mogli, la distruzione degli apparecchi radio e dei telefoni (compresa, ironicamente, la «linea rossa» con Mosca). 1 prigionieri vengono portati nei sotterranei per essere sottoposti a processo da un «tribunale rivoluzionario» presieduto da India, ma fortunatamente giunge un contrordine. Indra e, ufficialmente, l'uomo che ha chiesto «l'aiuto fraterno» di Mosca. Il 21 agosto, l'intera direzione del pc cecoslovacco viene praticamente deportata ncll'Urss. I suoi membri sono separati, si reincontrano, si perdono nuovamente di vista in diverse regioni dell'Est Europa. E' un'operazione di polizia senza precedenti. Io ricordo d'aver assistito all'arrivo a Mosca, il pomeriggio del 23, del presidente della Repubblica cecoslovacca, il generale Svoboda, insieme con Bilak. e con Husak, che oggi guida il partito a Praga. Sventolavano le bandiere dei due Paesi, e la gente inneggiava alla «fratellanza», mentre Breznev, Kossighin c Podgorny abbracciavano gli ospiti. Correvano voci d'ogni genere, che Dubcck fosse prigioniero in una villa della collina Lenin. Ma solo il 25 l'intera «leadership» del Cremlino e gli esponenti della spenta primavera di Praga si sarebbero incontrati per l'atto finale della tragedia. Smrkovsky lascia intendere che la sua sorte, e quella di altri, era forse segnata, e che qualcosa fece cambiare idea ai sovietici. Quella settimana, si disse che fosse stato Svoboda a chiedere la libertà di tutti come con- dizione per le trattative. Più probabilmente, Breznev, Kossighin e Podgorny, già inquieti per la situazione a Praga, preferirono evitare che si ripetessero i massacri dell'Ungheria nel '56. Di Svoboda, Smrkovsky non traccia un ritratto positivo: lo descrive decisamente dalla parte di Mosca, aspro coi compagni in disgrazia, non l'eroe immaginato dai cecoslovacchi, ma un collaborazionista. Indirettamente, egli critica anche Dubcck e Cernik per la loro debolezza di carattere c indecisione, difetti purtroppo decisivi nel confronto con gli «spietati» alleali. L'ultima parte dei passi delle «Memorie» pubblicate da Le Monde, in due puntale, è dedicata agli infelici negoziati che ricondussero Praga nell'abbraccio sovietico. L'accordo conclusivo fu un «diktat», che Smrkovsky riuscì solo ad attenuare con la clausola che le forze del Patto di Varsavia sarebbero rimaste «temporaneamente» in territorio cecoslovacco (ci sono tuttora). La narrazione è affascinante per la psicologia dei personaggi, soprattutto di Breznev e Kossighin. incapaci di accettare la «primavera», di concepire un'ideologia anche marginalmente diversa dalla propria, addolorati dell'apostasia di vecchi comunisti. Smrkovsky conferma che l'ambizioso Shelest fu poi scelto come capro espiatorio del dramma. Forse per la sua eccessiva potenza in Ucraina, ma individua il «duro» della vicenda in Kossighin. La conclusione delle «Memorie» è amara. «La storia giudicherà un giorno se ci siamo comportati bene, o se abbiamo tradito», dice Smrkovsky. «Io non lo so». E' un dubbio che probabilmente tormenta tutti i suoi colleghi, a cominciare da Dubcek e Cernik, per arrivare allo stesso Husak. Un unico personaggio emerge infatti dal racconto a testa alta: Kriegel. che durante tutta la permanenza a Mosca fu affidato al «K.G.B.», e che i sovietici non volevano lasciare tornare in patria. Smrkovsky non salì sull'aereo all'aeroporio di Vnukovo finché non lo vide seduto al suo posto. Fino a quel punto diffidava ormai dell'alleato russo di un tempo, e temeva il suo speciale tipo di comunismo. Ennio Caretto