Al processo per Peccidio alla questura di Milano di Francesco Fornari

Al processo per Peccidio alla questura di Milano Al processo per Peccidio alla questura di Milano Conferma: Bertoli in gioventù ha avuto contatti con il Sifar Drammatico confronto con l'amico di gioventù Giorgio Sorteni a proposito di uno strano traffico di armi - Il testimone dichiara che sei giorni dopo la strage dal suo casellario penale è scomparso ogni accenno - Falso allarme per una bomba in aula (Dal ìtostro inviato speciale) Milano, 25 febbraio. Gianfranco Bertoli agente del controspionaggio italiano, l'anarchico individualista al servizio dei carabinieri: il processo contro l'autore della strage di via Fatebenefratelli riserva ogni giorno sconcertanti sorprese. L'imputato oggi è stato messo alle corde dalla testimonianza di un amico di gioventù, Giorgio Sorteni: è stata una udienza drammatica e Bertoli ne è uscito sconfitto. Pur cercando scampo nei vuoti di memoria, nelle improvvise amnesie, ha dovuto ammettere fatti che dimostrano come in tutta la sua vita, culminata nel tragico attentato, egli non sia stato che una pedina manovrata da altre persone. L'istrione che si era presentato con spavalda tracotanza alla prima udienza ha lasciato il posto ad un uomo stanco, avvilito: forse perché si sta rendendo conto di essere stato soltanto uno strumento teleguidato. Non sarà forse da questo processo che verrà fuori tutta la terribile verità. Altre istruttorie in corso, che si intrecciano continuamente con le fasi processuali, potranno forse un giorno svelare retroscena di cui oggi si avverte soltanto la drammatica presenza. Per ora dobbiamo limitarci a registrare i fatti concreti. E oggi ce ne sono stati parecchi. Ha parlato Sorteni: un delinquentello di piccolo calibro, condannato per reati di scarsa importanza, dall'oscuro ed incerto credo politico. Qual è il suo ruolo in questa vicenda? La sua deposizione non ha rivelato nulla di concreto a proposito dell'attentato, ma è servita a gettar luce su una parte della zona d'ombra che circonda le attività giovanili del Bertoli. Amico dell'imputato dal '53, Sorteni è stato coinvolto con lui in una strana storia di armi. Una storia di cui si era già sentito parlare durante il dibattimento nei giorni scorsi e della quale erano state date diverse interpretazioni. I punti salienti della lunga deposizione sono questi: Sorteni afferma di essere stato avvicinato dal Bertoli che gli aveva proposto di aiutarlo in un traffico d'armi diretto in Algeria. In realtà, precisa il teste, quelle armi invece erano destinate al «Fronte anti comunista», un'organizzazione neofascista cui facevano capo l'ex-colonnello Arrigo Astori, del servizio di controspionaggio ai tempi della repubblica di Salò, e l'ex-colon nello Gavagnin, comandante della piazzaforte di Venezia durante la rsi. In quel periodo Sorteni, che godeva «fama immeritata» di essere «il magazsiniere dei depositi d'armi nascosti», lavorava per un certo «dottor Bonetti», il quale gli aveva detto di «essere al servizio di un'organiszazione americana interessata al recupero di armi da guerra della Resistenza». Su richiesta del Bonetti, Sorteni gli presentò il Bertoli, «ma ebbi l'impressione che si conoscessero già». «In/atti il giorno dopo l'imputato mi disse: " Sai chi è quello? E' Salvatore Lodato, un maresciallo dei carabinieri che fa parte del controspionaggio". Bertoli ne conosceva anche l'indirizzo ed il numero di telefono». Alcumi mesi dopo Sorteni, Bertoli ed un terzo complice furono arrestati per il traffico d'armi. «Stranamente — dice il testimone — pur essendo un reato che prevede la detenzione ce la cavammo con una semplice multa». Sorteni aggiunge di aver lavorato «per tre o quattro mesi per il "dottor Bonetti", poi lo stipendiato divenne il Bertoli». Messo a confronto col testimone, Bertoli nega tutto. Afferma di non aver mai parlato di armi col Sorteni ma di essere stato avvicinato dall'amico che gli aveva proposto di procurarne per quelli di «Fronte anticomunista». E fa una straordinaria rivelazione. «Una brutta storia di vent'an ni fa di cui avrei preferito non parlare». Afferma che Sorteni lavorava per conto di un'organizzazione americana che voleva informazioni sul partito comunista. «A quel tempo io non ero più iscritto al partito, ma quando lui mi propose di dargli informazioni da passare agli americani pensai fosse mio dovere avvertire la federazione». Così sempre secondo l'imputato, su consiglio della federazione incomincia a tenere d'occhio Sorteni e gli passa informazioni false con l'intento di arrivare a prendere contatto con gli «americani». Riesce ad avvicinare il capo di quest'organizzazione e scopre che si tratta «del maresciallo Lodato», che aveva l'incarico di fare dello spionaggio politico «per conto del servizio segreto ai danni del partito comunista». Bertoli ha negato di aver ricevuto denaro dal maresciallo Lodato (.«una volta so¬ la mi regalò diecimila lire»), affermando di aver agito in quel modo «soltanto perché si sentiva ancora sentimentalmente legato al partito». Non ha potuto negare, però, d'aver avuto contatti col controspionaggio italiano. In questo processo sembra che vi siano soltanto storie parallele. Ieri abbiamo ascoltato Rodolfo Mersi (ex-missino ed ex-sindacalista della Cisnal) dichiarare di aver «tenuto sotto controllo Bertoli, il quale trafficava in armi, nell'interesse del mio partito», cioè il Movimento sociale italiano. In realtà, sembra lo facesse per conto della polizia. Oggi Bertoli afferma di aver frequentato Sorteni «per scoprire che cosa si tramava contro il partito comunista». Ma, in realtà avrebbe agito per conto del servizio di controspionaggio, che allora si chiamava Sifar. La presenza del servizio segreto incombe su questa vicenda: in questi anni, ogni volta che si indaga su atti terroristici si finisce sempre con l'incappare nel controspionaggio. Anche l'attentato di via Fatebenefratelli non fa eccezione a questa «strana» regola. Sorteni ha fatto altre rivelazioni che provano come, dietro questa storia, si muovano organismi complessi e potenti. «Dopo la strage — ha detto — nessuno mi convocò per interrogarmi, come mi aspettavano poiché dovevano sapere, alla polizia ed ai carabinieri, che conoscevo Bertoli». Non solo: quando il giudice istruttore Lombardi, (che conduce l'inchiesta stralcio in cui il «rosaventista» Rizzato è accusato di concorso in strage col Bertoli) lo fece cercare, «gli dissero che ero irreperibile, mentre tutti sanno che vivo a Lugo di Romagna con mia moglie e sei figli». Ma v'è di più. «Dal mio casellario pena-1 le è scomparso ogni accenno I al processo subito col Bertoli ser quella storia delle armi., So per certo che la sentenza 1 maggio 1973». Sei giorni dopo l'attentato davanti alla questura di Milano. Sorteni non spiega come fa a conoscer? con tanta precisione la data i 1 I in cui è stato sottratto questo incartamento, ma resta il fatto che è sparito davvero. Nel pomeriggio il p.m. Riccardelli e gli avvocati di parte civile hanno mosso alcune contestazioni all'imputato in relazione al suo racconto del viaggio da Israele a Milano con la bomba in tasca. Bertoli ha confermato le sue dichiarazioni punto per punto: «Non ho mai mentito. Se sono stato reticente su qualche particolare l'ho fatto per non coinvolgere persone estranee». Rispondendo ad una domanda di uno degli avvocati di parte civile, ha ammesso di aver conosciuto Franco Freda, uno dei maggiori indiziati per la strage di piazza Fontana. «L'ho conosciuto in carcere. Lo gitidico un indivìduo brillante». In mattinata, in seguito ad una telefonata anonima che annunciava un'attentato, l'u¬ , ^enz.a eJa stata. sospesa per 1 45 minuti: carabinieri e artificieri hanno ispezionato l'aula nella vana ricerca della bomba che sarebbe dovuta scop- i piare alle 11. Francesco Fornari

Luoghi citati: Algeria, Israele, Milano, Romagna, Salò, Venezia