Prende fuoco un barattolo di cera

Prende fuoco un barattolo di cera Una sentenza sulla libertà di stampa II direttore non risponde degli annunci personali Assolti perché il fatto non costituisce reato, sotto il profilo soggettivo, l'addetto alla pubblicità e il direttore de "La Stampa", per la pubblicazione di alcune inserzioni in cui si celava l'attività di prostitute Una interessante sentenza in materia di reati commessi col mezzo della stampa è stata pronunciata in questi giorni dal giudice Istruttore dott. Mario Vaudano, un magistrato che da un anno persegue i responsabili e le tenutarie di case d appuntamento. Nel corso di una delle tante istruttorie di cui si sta occupando (5 imputati, di cui due coniugi, detenuti, per violazione della legge Merlin) i. giudice Vaudano ha accertato che la coppia procurava «clienti» alle ragazze — alcune minorenni — tramite inserzioni su quotidiani, tra cui «La Stampa» e «Stampa Sera ». Sulla base di questi elementi, il magistrato indiziava di reato il direttore della filiale Publikompass, Gian Carlo Degola, perché nella sua qualità di responsabile dell'accettazione della pubblicità «commetteva atti di lenocinlo a mezzo stampa in danno di un numero imprecisato di persone, anche minori di anni 21, curando la pubblicazione, nella rubrica degli annunci economici di alcunt ' messaggi" quali, ad esempio, "graziosa signora conoscerebbe maturo benestante per compagnia ore libere", ed altri, commissionati dai due coniugi, ora in carcere, al fine di eseguire i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione». Il dottor Vaudano emetteva anche comunicazione giudiziaria nei confronti del direttore de « La Stampa », Arrigo Levi, perché « nella sua qualità di direttore responsabile, ometteva di esercitare sul contenuto dei detti giornali il controllo necessario ad impedire che venissero commessi i reati ascritti ai due coniugi ». Il problema riveste un'importanza che va oltre il caso specifico, affrontando l'annosa, e non ancora risolta, questione della responsabilità del direttore di un quotidiano e della sua funzione di «controllore» di tutte le notizie pubblicate (articolo 57 codice penale, secondo cui il direttore è punito «a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo »). A quali conclusioni è giunto il magistrato? Si legge nella sentenza che a Degola, assistito dall'avvocato Sergio Badellino, «doveva essere nota l'utilizzazione di alcune rubriche come quella "Igiene, terapie e massaggi" e quella 'Personali" a fini assolutamente estranei agli scopi istituzionali, tanto che era ormai diventato di dominio pubblico che tali rubriche (soprattutto "Igiene") contenevano unicamente pubblicità di donne esercenti la prostituzione e in molti casi si trattava di inserzioni fatte da tenutarie o tenutaril di vere e proprie case di prostitu. zione. In esito a tali fatti — scrive il giudice — si decise una prima sospensione della rubrica, con la conseguenza che molti annunci "trasmigrarono" nella rubrica "Personali", più simile e confacentc allo scopo (data la situazione ormai generalizzata). Da alcune deposizioni si deduce che il contenuto di tali annunci è stato per lo più percepito dagli interessati nel senso giusto ». A parere del dottor Vaudano «è indubbio che gli atti di lenocinlo a mezzo stampa siano stati oggettivamente posti in essere; ma si pone il problema della presenza dell'elemento soggettivo nella con¬ dotta del Degola, e cioè del dolo (non essendo, per lui, reato punibile a titolo di colpa); e a tale problema non può essere data che soluzione negativa. Né vi è il minimo motivo per poter ritenere che il Degola avesse qualunque interesse per la pubblicazione delle inserzioni, o comunque cercasse dì far pubblicare per motivi economici il maggior numero di messaggi, senza badare al loro contenuto; anzi, vi è la prova contraria. Si deve inoltre tener conto che, in molti altri quotidiani nazionali, inserzioni del tipo incriminato, e anzi assai più esplicite, hanno potuto essere pubblicate e continuano tuttora e che addirittura parecchie delle "inserzioniste, hanno ottenuto di pubblicare i loro annunci attraverso le rubriche del più noto quotidiano milanese, venduto anche a Torino». A questo proposito il giudice istruttore sta verificando la presenza di situazioni penalmente rilevanti da proporre all'attenzione del magistrato di altre città. Passando alla situazione del direttore del «La Stampa», assistito dall'avvocato Chiusano, il dottor Vaudano scrive: «Dall'esame del testo degli annunci, dalla constatazione oggettiva cheArrlgo Levi non aveva e non ha il diretto contatto con gli inserzionisti (o comunque la possibilità di averlo), dall'indiscutibile fatto che egli in relazione agli "inconvenienti" verificatisi nella rubrica "Massaggi" si attivò, impose una prima sospensione della rubrica, fornendo al giudice istruttore precisa dimostrazione del suo intendimento di evitare ogni anche involontaria attività di agevolazione del lenocinlo, con concrete proposte di soluzione anche tecnica del problema; dall'indubbio vastissimo carattere dei compiti affidati al direttore responsabile di un quoti. diano della portata de "La Stampa", si ricava con sicurezza che Levi non ha commesso una omissione cosciente e volontaria di controllo sul contenuto degli annunci in oggetto». «O comunque ne difetta del tutto la prova, e ve ne è anzi In atti la dimostrazione opposta, anche se il fatto di reato oggettivamente è stato anche da lui materiartnente commesso. In armonia con le richieste del pubblico ministero, Giancarlo Degola e Arrigo Levi devono essere prosciolti per difetto dell'elemento soggettivo, perché il fatto non costituisce reato». Una sentenza che potremmo definire «pilota»: basti pensare a certi annunci (in quantità assai rilevante) che appaiono ogni giorno sui principali quotidiani di Milano e id Roma, tanto per citare due città, come Torino, in cui è diffuso il fenomeno delle case di appuntamento. s> ro.

Luoghi citati: Milano, Roma, Torino