Dietro Bertoli si profila l'ombra del Sid per uno strano traffico d'armi a Venezia di Francesco Fornari

Dietro Bertoli si profila l'ombra del Sid per uno strano traffico d'armi a Venezia Il processo per la strage (quattro morti) alla questura di Milano Dietro Bertoli si profila l'ombra del Sid per uno strano traffico d'armi a Venezia Uno degli autori della perizia psichiatrica sull'imputato ha rivelato che il sedicente anarchico gli disse di essere stato coinvolto in "storie di controspionaggio" - La sconcertante figura dell'ex sindacalista Cisnal, amico del Bertoli (Dal nostro inviato speciale) iMilano, 24 febbraio, jEra inevitabile che accades- ! se: anche nel processo contro 1 Gianfranco Bertoli, per la | strage di via Fatebenefrateili, j si parla del Sid, il servizio del : controspionaggio italiano che compare alla ribalta in tutte le inchieste sulle trame nere e sui tentativi di «golpe» ad I opera di organizzazioni ever- ! sive di matrice neo-fascista. Era inevitabile perché si sapeva che il nome dell'imputato figura negli atti dell'istruttoria sulla «Rosa dei venti», nella quale è coinvolto l'ex capo del Sid Miceli, adesso in carcere; era inevitabile perché in un'inchiesta stralcio sull'attentato, con l'anarchico Bertoli è accusato di concor-, so in strage anche il «rosaven-1 tista» Eugenio Rizzato, il fascista di Padova ex repubblichino. A questo proposito esiste la testimonianza del medico spezzino Porta Casucci, il quale una settimana prima j dell'inizio del processo aveva detto al giudice istruttore ] Lombardi (conduce il supplemento d'inchiesta sulla strage del 17 maggio '73) che il Rizzato aveva ricevuto l'incarico di «fiancheggiare» il Bertoli in questa impresa. Stamane, per la prima volta, si è parlato in aula dei collegamenti esistenti fra Bertoli ed il servizio del controspionaggio. Un accenno sfumato per ora: ha però confermato i sospetti che dietro all'imputato (impegnato nel dare una parvenza di credibilità alla figura dell'anarchico individualista, che ha agito da solo spinto da un irrefrenabile de- siderio di rivolta contro la società), si agitano invece una ridda di inquietanti personag& che S1 sono serviti di lui, al limite anche a sua insaputa, E' stato il professor Gianluigi Ponti, uno degli autori della perizia psichica sul Bertori, a rivelare che l'imputato, durante i colloqui nel carcere di San Vittore, gli aveva rivelato di essere stato coinvolto a l , i , e o in «storie di spionaggio». Interrogato dal presidente, l'anarchico ha cercato di non rispondere; poi, messo alle strette, ha spiegato che quell'episodio risaliva a quando, parecchi anni prima, a Venezia, era stato avvicinato da un certo Sorteni, il quale voleva acquistare delle armi per conto di un non meglio specificato «Fronte anticomunista». e , n a . «In quell'occasione intervennero anche i carabinieri, compresi quelli del controspionaggio», ha detto Bertoli. Come mai conoscesse così bene gli agenti del Sid non l'ha precisato, affermando che «di questo fatto si parlerà quando verrà a deporre il Sorteni». La testimonianza di costui, prevista per domani, acquista di colpo grande importanza. Sempre al traffico d'armi sarebbe legato l'inizio dell'amicizia fra Rodolfo Mersi, ex attivista del msi, ex sindacalista Cisnal, e Bertoli. Mersi è un personaggio chiave in questa vicenda anche se, stranamente, non era stato neppure citato fra i testimoni e la sua convocazione venne decisa all'apertura del dibattimento su richiesta del difensore dell'anarchico e degli avvocati di parte civile. A casa del Mersi, infatti, Bertoli ha trascorso alcune ore la sera della vigilia dell'attentato. Perché? Chiederlo al teste è fatica sprecata. Le sue risposte lasciano il tempo che trovano. Buon parlatore, da un lato cerca di convincere i giudici che tra lui e l'imputato esisteva soltanto una conoscenza occasionale, dall'altro ama dipingersi come un buon samaritano che cercava di riportare il Bertoli sulla retta via. Mersi ha detto di aver conosciuto l'anarchico a Venezia «fra il 1951 ed il '53». L'ha definito un «bullo disponibile a qualunque azione di violenza». Ha detto di essersi interessato a lui perché aveva sentito parlare di «un traffico d'armi» e di aver deciso di spiarlo «per conto del msi, visto che le armi in questione appartenevano ad organizzazioni di sinistra». Sostiene di aver parlato della faccenda con la polizia e di aver continuato a frequentare il Bertoli su consiglio del capo della mobile veneziana, Sciutto. «Ma tutto si risolse in una bolla di sapone». Nei prossimi giorni, su richiesta del p.m., il commissario verrà interrogato. Stranamente, Bertoli alla vigilia della strage va a trovare l'uomo che, in qualche modo, in passato l'aveva venduto alla polizia. Perché? Secondo Mersi perché aveva bisogno di aiuto. «Si sentiva braccato, era spaventato, depresso. Cercava un sostegno». A questo «sconosciuto» l'imputato dunque parla di bombe ed attentati, quasi rivela ciò che aveva in animo di fare l'indomani. Un comportamento sconcertante, privo di logica. Mersi racconta come quella sera abbia proposto a più riprese a Bertoli di confidarsi con lui «per salvarlo». E ribatte che «Bertoli non ha la stoffa, l'au¬ dupaccsdnqtvrdzddfcglhBplqmtc dacia per compiere da solo un gesto come quello». Mersi non ha reagito neppure quando il difensore e gli avvocati di parte civile hanno chiesto la citazione di tutti i camerieri del ristorante presso il quale lavorava all'epoca della strage perché chiariscano un importante particolare: quella mattina Mersi era molto nervoso, fu l'unico ad «avvertire» l'esplosione (il ristorante non è molto lontano dalla questura) e, avuta notizia di ciò che era accaduto, disse: «Non sarà stato il figlio del giudice?». Oggi Mersi afferma di aver sempre creduto che Bertoli fosse figlio di un giudice, ma è smentito dall'imputato. Che significato hanno allora quelle parole? Bertoli ha una spiegazione pronta: «Ha temuto che nell'attentato fosse coinvolto qualcuno dei suoi amici e in me ha trovato un capro espiatorio». Una spiegazione che confonde ancor più le idee. Francesco Fornari Milano. Rodolfo Mersi depone al processo Bertoli (Ansa)

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