Clandestini a Barcellona di Liliana Madeo

Clandestini a Barcellona L'attività politica degli oppositori del franchismo Clandestini a Barcellona (Nostro servizio particolare) Barcellona, 21 febbraio. Nei cortili interni dell'università statale di Barcellona, che apre le sue porte su una grande piazza nel centro della città, gruppi di studenti si formano e si disperdono quietamente. Tutt'intorno, sono affissi manifesti dei marxisti leninisti, della Quarta Internazionale, di Bandiera Rossa. E campeggiano scritte come «Polizia assassina - Ricordatevi del Portogallo - Né Franco, né la monarchia - Libertà ai detenuti politici - Solidarietà ai lavoratori licenziati». Qualcuno distribuisce volantini che invitano allo sciopero generale, indetto per il 26 febbraio in tutto il Paese. Le aule sono chiuse, ogni attività didattica è sospesa da una settimana e mezzo. Sono in sciopero gli studenti, gli insegnanti, il personale non docente. Oggi in un istituto e domani in un altro, si svolgono assernblee permanenti. Una di queste è affollatissima, a porte chiuse. Prendono la parola lavoratori, intellettuali, studenti. Si parla degli argomenti più disparati: le rivendicazioni dei professori (soprattutto quelle normative, come la richiesta di costituire organismi rappresentativi democratici), la situazione nelle università «esplose», come Valladolid, Salamanca, Madrid, Granada, Pamplona, San Sebastian (si chiede la riapertura degli atenei chiusi, la riammissione degli espulsi, il ritiro delle sanzioni pronunciate contro di loro). Si parla molto di politica: di collegamenti con il movimento operaio, degli scioperi più rilevanti che la Spagna ha visto negli ultimi tempi (quello degli attori, quello di millecinquecento funzionari dello Stato, dei minatori di Navarra die sì sono chiusi nelle miniere per dieci giorni, dei viticoltori dello Xeres, degli operai delle fabbriche), dell'arresto di due ufficiali — il comandante Busquets, professore di sociologia all'università autonoma di Barcellona, e del capitano Julvez, chiusi nella fortezza di Figueroas — per aver preparato un documento politico dì solidarietà con un loro collega allontanato dal servizio perché si era rifiuta to di consegnare le liste dei dirigenti operai del Metrò di Barcellona: «Un fatto — viene detto — che indica una trattura venutasi a creare nell'interno dell'esercito stesso». All'esterno, apparentemen j te ia città conduce la vita di sempre. La vigilanza della po lizia è solerte. Le sortite di studenti nelle strade e nei quartieri sono fulminee. La delegazione di genitori e di bambini che va dalle autorità scolastiche locali per pretendere alcuni miglioramenti nel servizio viene presentata come un'espressione di dialogo democratico con la popolazione. Ma i segni dell'inquietu- dine che scuote il Paese, a guardar bene, sono numerosi e sorprendenti, iti un crescendo precipitoso. Via via si scopre anche una trama fitta, che sembra inestricabile, di iniziative e movimenti attraverso cui passa l'opposizione al regime. E' mattina, quando in un istituto universitario alle porte della città si svolge la proiezione di un documentario sulle condizioni dei campesinos in Andalusia e in Galizia. Le riprese sono state fatte nella clandestinità, è ovvio. Il filmato, stampato all'estero ed appena rientrato fortunosamente, viene presentato per la prima volta. Il pubblico è formato da studenti, un sacerdote, alcuni insegnanti, un operaio sindacalista della Seat licenziato. Alla fine, si apre il dibattito sitile prospettive che i contadini stessi hanno avanzato. Il discorso si allarga. Si parla della funzione dei partiti e del loro rapporto col movimento sindacale. A sera, mentre le grandi avenidas si riempiono di gente che assapora i primi tepori primaverili, incomincia nella città tutta una vita segreta, dominata dalle regole della clandestinità e pervasa da improvvisi sussulti al sibilare lontano di una sirena, anche quando non si opera nell'illegalità dichiarata ma si svolge un'attività che sia appena «tollerata». In un garage della parte Sud-Est della città, è fissata per le 11 un'assemblea di quartiere. La riunione è rapida. Si parla soltanto dei due companeros che la volta precedente sono stati arrestati, durante un'irruzione della polizia. Non si dice a quale formazione politica appartenessero. Non si hanno ora loro notizie, intanto sono stali nominati i difensori. Per la prossima riunione ci sono difficoltà: si sta cercando un posto sicuro, informa uno. Il gruppo, circa venti persone, si disperde rapido nel buio. Fin dal pomeriggio, decine e decine di uomini attendono nei corridoi di un grosso studio legale, dove viene data assistenza giuridico - sindacale ai lavoratori. Sono per lo più di media età, con i visi induriti. C'è silenzio, non si intrecciano confidenze. Negli ultimi anni sono passate di qui alcune migliaia di persone. Gli avvocati sono indaffarati. «No, il nostro non è un lavoro politico, ma tecnico e giuridico», dicono. La scadenza più immediata per loro è il processo del 26 prossimo, quello intentato da 317 operai che sono stati licenziati e chiedono di essere riassunti. Poi, il 4 marzo, saranno due di loro — Alberto Fina e Maria Mo'nserrat Aviles — ad essere processati davanti al Tribunal de orden publico, insieme con otto operai della Seat accusati di associazione illecita e propaganda illegale, per fatti che risalgono all'ottobre 1971, quando un operaio — Antonio Ruiz Villalba — rimase ucciso in uno scontro con la polizia. «Siamo tutti antifascisti», si presentano i giovani di «Solidaridad», associazione che assiste i detenuti politici, tiene i contatti con le famiglie, diffonde un bollettino, lavora per promuovere fra la popolazione la solidarietà con gli oppressi. A Barcellona sono centocinquanta, intellettuali e lavoratori, cattolici e laici, democratici che vanno dalla democrazia cristiana al partito comunista spagnolo e alle formazioni dell'ultrasinistra. La riunione è fra i delegati dei quartieri. Ciascuno espone un problema concreto. La direzione del carcere maschile, per boicottare l'associazione, ha deciso, due settimane fa, che solo i familiari, e solo una volta la settimana, possono consegnare ai detenuti dei pacchi. Si sta preparando uno spettacolo su Puig, il giovane giustiziato nel marzo scorso, accusato di avere ucciso un poliziotto (per due volte la polizia, in precedenza, ha impedito lo spettacolo). Si cercano fondi, e una parrocchia è molto attiva, qui le cose vanno bene. Sono stati avvicinati gli insegnanti e gli studenti delle scuole frequentate dai figli dei detenuti e degli operai licenziati. Procede la campagna contro la pena di morte. Si stanno prendendo accordi con i negozianti di un quartiere, perché diano cibi gratuitamente o a prezzi politici per i detenuti. Emerge il quadro di un lavoro paziente, capillare, che aggredisce l'indifferenza del cittadino qualunque, lo costringe a sapere e a prendere posizione. Nessuno denuncia particolari difficoltà incontrate. Si fa tardi, le ragazze, per prime, incominciano a guardare gli orologi e fanno pressione perché la riunione finisca. Si esce alla spicciolata. Liliana Madeo

Persone citate: Alberto Fina, Antonio Ruiz Villalba, Aviles, Busquets, Navarra, Puig, Xeres