Le favole vere

Le favole vere La narrativa di Bonaviri Le favole vere Giuseppe Bonaviri: « Beffaria », Ed. Rizzoli, pag. 146, lire 3000. Un vecchio contadino sapiente, Gelsomino, e suo nipote, Niknik, decidono di uscire dalle « mura » della città natale e di intraprendere un viaggio nel mondo. Inizia così, in Beffarla, un'altra peregrinazione fantastica di Bonaviri, una nuova verifica dell'immensità del conoscibile, partecipata con gioioso senso di avventura: « Tutto nel mondo è animato e straordinario ». Ed ecco ritornare la caratteristica geografia di questo scrittore, che prende risalto sulla pagina nell'alternanza continua tra le prospettive di uno spazio cosmico, la cui profondità è tutta affidata al senso della luce (il rifrangersi dei raggi del sole in particole infinitesimali), e le immagini di angoli protettivi: i brevi scorci assolati di una realtà paesana, le omore di una vegetazione familiare (le agavi, i cacti siciliani). Fin qui è il Bonaviri che abbiamo già conosciuto, attraverso le prove della Divina foresta e delle Notti sull'altura. Però Beffarla arricchisce il discorso di Bonaviri: mediante un confronto diretto con il concreto, attraverso un riferimento preciso ai fatti del nostro vivere. Nella loro peregrinazione Niknik e Gelsomino arrivano infatti in una megalopoli (Beffaria, appunto), dove danno spettacolo le turpitudini della nostra società e dove si agitano le stolte passioni del nostro tempo. Si aprono in queste pagine i quadri grotteschi di corsie d'ospedale affollate di mutuati, su cui speculano medici ingordi; oppure di code strombazzanti di automobili nelle autostrade di fine settimana; oppure ancora di cortei guidati da sindacalisti confusionari, che tramano poi di nascosto con i padroni. Sono immagini rapide, quasi semplici e ilari caricature: ma dimostrano di quanto veleno sia dotata l'ironia, altre volte innocente, di Bonaviri. Dapprima Gelsomino e il nipote vivono insieme ai cittadini di Beffaria. Ma è per poco. Presto s'impadroniscono di un aerostato e mettono tra loro e la città una distanza che permette un rassicurante distacco contemplativo. Dall'alto i « beffariani », intrigati e arruffoni, appaiono anche più buffi e sinistri. « Dentro avranno un congegno particolare »; e magari il loro agire avrà anche una « ragione ». Ma di certo non hanno « il senso del sogno », né sanno guardare la « distanza » del cielo. E in dispetto a questa aridità, e a questa presunzione, Gelsomino, con l'aiuto di un libro di incantesimi, evoca, dal passato, un esercito di saraceni che ingaggia battaglia con i « beffariani ». Sarà una battaglia grottesca, che finisce in una immensa fiamma che tutto copre e distrugge. Il « Re Meraviglia », signore dei saraceni, ne esce vittorioso e si trae dietro prigionieri i nemici superstiti, ancora vocianti e stizzosi. Niknik avrà allora la tentazione di seguire i saraceni, lasciando la « finitezza della nostra vita per rientrare nel loro passato ». Ma il saggio Gelsomino sa che è impossibile « spezzare il tempo»; ed esorta il nipote piuttosto a nuove avventure. Al di là dei rancori con il mondo imbruttito dagli uomini, la salvezza non può stare in uno sterile rifiuto. Giorgio De Rienzo