Centenaria ma viva di Mario Bonini

Centenaria ma viva Centenaria ma viva Inchiesta in Sicilia Leopoldo Franchetti-Sidney Sonnino: « Inchiesta in Sicilia», introd. di Enea Cavalieri e nota storica di Zefflro Ciuffoletti, Ed. Vallecchi, 2 voli, di pag. 280366, lire 9000. Il diffondersi della tabe mafiosa in regioni, istituzioni e ambienti che ancora qualche anno fa ne sembravano immuni, le reticenze della commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia e, proprio in questi giorni, le amare vicende giudiziarie di Michele Pantalcone inducono a considerazioni sconfortanti. Una società civile che non ha finora espresso gli anticorpi necessari per bloccate il contagio, un potere politico che non sa difendere dall'infiltrazione nemmeno certi organi delicati dello Stato generano sfiducia c allarme, scetticismo e rassegnazione. A dissipare sfiducia e scetticismo non aiuta certo il fatto che l'Antimafia, costituita con la legge del 20 dicembre 1962, si rifiuti tuttora, in pieno 1975, di rendere pubblica la documentazione acquisita: al confronto, la giunta parlamentare d'inchiesta costituita con la legge del 3 luglio 1875 — giusto un secolo fa — operò con eccezionale speditezza. La relazione e i documenti furono presentati al governo il 3 luglio 1876, ultimo giorno utile, e pubblicali ai primi di settembre dello stesso anno. La relazione e i documenti, in se, erano ben poca cosa: si negava che alla radice del fenomeno mafioso fossero i gravi problemi sociali, e soprattutto di distribuzione fondiaria, della Sicilia e si cercava di accreditare la tesi che il fenomeno fosse conseguenza, principalmente, « di una minora preparazione dell'altre Provincie italiane all'austero e difficile regime della libertà ». A un documento ufficiale così sbiadito e inconcludente seguì tuttavia, pochissimi mesi dopo, la pubblicazione di una opera di ben altro impegno e vigore: La Sicilia nel 1876 di Leopoldo Franchetti e Giorgio Sidney Sonnino, che ora Vallecchi ripubblica col titolo Inchiesta in Sicilia a mezzo secolo di distanza dalla seconda edizione, uscita nel 1925. E' un classico della questione meridionale; anzi, se si tiene presente che le Lettere meridionali di Pasquale Villari sono del 1878 e La questione demaniale nelle Provincie meridionali di Giustino Fortunato del 1882, si può sottoscrivere il giudizio di Simone Gatto secondo cui l'inchiesta di Franchetti e Sonnino è « l'opera capostipite, quella da cui il problema del Mezzogiorno comincia ad entrare nella coscienza degli studiosi e dei politici se non nell'opinione pubblica italiana ». Quando percorsero in lungo e in largo la Sicilia per raccogliere il materiale, i due studiosi non avevano ancora trent'anni e non erano ancora impegnati nella politica attiva. Conservatori entrambi, videro entrambi nella realtà siciliana dell'epoca un esempio di primitiva arretratezza e insieme di marecscenza: il sopravvivere di patti colonici feudali e il condominio sulla terra della vecchia aristocrazia terriera e di una nuova e aggressiva borghesia agraria si esercitavano sulla pelle dei contadini ed erano all'origine del malessere sociale nelle campagne siciliane. 11 rimedio, secondo Franchetti e Sonnino, non era una radicale trasformazione delle strutture e dei rapporti fondiari, ma una evoluzione graduale e senza scosse verso un assetto più razionale e più « umano » nell'ambito delle istituzioni dello Stato. Una visione tutt'altro che rivoluzionaria, dunque; e la parte più caduca dell'inchiesta è la seconda, redatta da Sonnino, nella quale si enunciano proposte di provvedimenti governativi volti ad assicurare la suddetta evoluzione. Si tratta di provvedimenti paternalistici e prudenti, basati sul presupposto che la riforma agraria, una volta avviata e incanalata dall'autorità, divenga per così dire fisiologica e semovente e componga i contrasti di classe per forza propria, persuadendo gli stessi proprietari terrieri a favorire il processo. Se questa parte dell'inchiesta era sterile e utopistica, la parte dedicata alla documentazione e alla denuncia — redatta dal Franchetti con la collaborazione dello stesso Sonnino e sulla base di osservazioni fatte anche da Enea Cavalieri, che aveva partecipato al viaggio ma poi non aveva potuto collaborare alla stesura dell'opera — è caratterizzata da una visione acuta e da un vigore polemico non comune. Gli intrichi d'interessi e le catene d'omertà, le diverse forme d'associazione mafiosa, il pqodulcuosrqns prevalere dei poteri privati su quelli pubblici, l'inefficacia di ogni tentativo di prevenzione e di repressione sono oggetto di un'analisi serrata e lucida. Eccone qualche passo: «Qui l'amministrazione governativa è come accampata in mezzo ad una società che ha tutti i suoi ordinamenti fondati sulla presunzione che non esista autorità pubblica. Gl'interessi di qualunque specie atti a dominare trovano all'infuori di questa autorità i mezzi di difendersi, e di fronte a loro l'interesse comune, da essa rappresentato, è vinto prima di combattere ». Oppure: «Con questo concetto dell'interesse generale ili tutte le classi della popolazione, ognuno può immaginare che cosa sieno le amministrazioni locali d'ogni genere. Spesso il patrimonio comune diventa preda del partito al potere: gl'impieghi diventano patrimonio degli aderenti di questo... Chiunque abbia energia, astuzia, denari, relazioni negli uffici pubblici, insomma qualcosa da dare in cambio della protezione di un più potente dì lui è certo di trovar posto nella clientela dell'uno o dell'altro ». Non occorre dilungarsi di più. Sono passati cent'anni e la descrizione di Franchetti e Sonnino non ha perso validità. Mario Bonini

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