Parlano i congiunti delle vittime Bertoli, pallido, reclina la testa di Francesco Fornari

Parlano i congiunti delle vittime Bertoli, pallido, reclina la testa Al processo di Milano lunga sfilata delle parti civili Parlano i congiunti delle vittime Bertoli, pallido, reclina la testa Il terrorista : "E' facile pensare di realizzare una cosa, è difficile prevederne tutte le conseguenze" - La storia della Bortolon, la più giovane dei morti, e dell'agente Masarin (Dal nostro inviato speciale) Milano, 20 febbraio. Gianfranco Bertoli oggi si è trovato a faccia a faccia con i feriti sopravvissuti al suo folle attentato, con i parenti delle vittime innocenti. Ha visto gli occhi di quelle persone che il 17 maggio di due anni fa erano davanti a lui, anonimo gruppo di gente in attesa, con i loro problemi, i loro interessi, la loro curiosità per quanto stava accadendo, il loro desiderio di vivere. Gente semplice, gente qualunque: impiegati, commesse, agenti, vigili urbani. Anche alti ufficiali: maggiori, colonnelli dei carabinieri. Che differenza fa: erano tutti lì, semplici spettatori trasformati in protagonisti di una tragica pagina di storia. Ognuno di loro oggi ha rivissuto quei drammatici istanti, l'angoscia, la paura, il dolore lancinante delle ferite e, più ancora, il senso di impotenza, di attonito stupore che era seguito all'esplosione. Perché, si erano chiesti allora, perché questo? Perché proprio me? A distanza di due anni questi interrogativi sono ancora senza risposta. Forse anche Bertoli oggi si è posto la stessa domanda. Lo abbiamo visto ascoltare i racconti delle vittime, pallido, teso, raccolto su se stesso come per cercare protezione, difesa di fronte a quelle parole che, senza astio, senza rancore, lo accusavano. Ha visto sfilare davanti a lui quelle persone e, forse per la prima volta, si è reso conto dell'assurdità del suo gesto. Ai giornalisti che spiavano le sue reazioni, che gli hanno chiesto che cosa provasse di fronte alle vittime della sua malvagità, ha risposto con voce spenta: «E' facile pensare di realizzare una cosa, è difficile prevederne tutte le conseguenze». Quella bomba nella quale aveva riposto tutto il suo odio contro la società e che era diventata il simbolo della sua ribellione, oggi gli si è rivelata nella sua cruda, tragica ed inutile realtà. Uno spietato strumento di morte fine a se stesso. Abbia agito spinto dal suo assurdo ideale di anarchico individualista, come egli disperatamente sostiene, o come «killer» prezzolato, come molti particolari proverebbero, oggi Bertoli si è reso conto di essere soltanto un assassino. Peggio: un boia. L'udien- za si è iniziata in un clima ca-1 rico di tensione. j La prima ad entrare nel- l'aula è stata la vedova dell'a-1 gente Federico Masarin. Una ! donna semplice, minuta, emo-1 zionata ed intimidita. Che co- ! sa ha detto? La sua è stata una dichiarazione di amore nei confronti del marito assassinato. Ha mostrato ai giudici un ritaglio di giornale, una fotografia che ritraeva l'agente Masarin accanto al corpo dell'agente Marmo, un giovane di 20 anni morto un : mese prima, dilaniato da un'altra bomba, lanciata da un fascista durante una dimostrazione. Ha detto ai giudici: «Mio marito era un uomo generoso, sempre impegnato in servizi pericolosi. Non si era mai tirato indietro». Non ha aggiunto altro: se n'è andata, le spalle curve, gli occhi lucidi di pianto. Dopo di lei è entrata Eleonora Pellizzari, madre di Ga- j briella Bortolon, la più giova- ' ne delle vittime, che le fotografie scattate pochi istanti dopo l'esplosione mostrano insanguinata sull'asfalto. Dei quattro morti, è forse quella che ha sollevato più pietà. Giovane, spensierata, quel giorno era andata in questura per ritirare il passaporto. Si stava preparando con trepidante entusiasmo al primo viaggio all'estero: doveva andare in Inghilterra, per motivi di lavoro. I suoi sogni, le sue speranze si sono bruciate nella vampata omicida. Quella di Gabriella è forse la morte che più pesa sulla coscienza del Bertoli. Soltanto per lei il terrorista ha avuto parole di rincrescimento, più volte ripetute anche in questi giorni. Mentre la madre della giovane parlava, l'imputato ha chinato la testa, gli occhi socchiusi, e un tremito convulso lo scuoteva. Poi sono seguiti gli altri. In tutto 29 persone. Identici i racconti, quasi le stesse parole, «Ho sentito uno scoppio». I «Ho avvertito un grande dolo- re. non ho capito più niente», Hanno elencato le loro ferite, hanno parlato di schegge «che portiamo ancora nella carne», dei lunghi periodi di convalescenza: trenta, novanta, centodieci, centotrenta giornate passate in ospedale, su un letto, pieni di dolore e di paura. Ma dalle loro testimonianze sono emersi anche altri fatti, altre circostanze che inchiodano il Bertoli alla sua responsabilità. Non c'è dubbio, infatti: quando l'imputato ha lanciato la bomba, le auto delle autorità si erano già allontanate da qualche minuto. La bomba è scoppiata in un punto in cui era ammassata la gente in attesa di entrare in questura: persone che so stavano lì davanti al portone già da tempo e che Bertoli non poteva non aver visto pri ma, quand'era arrivato e, se- condo il suo racconto, aveva cercato per due volte di entrare, respinto dagli agenti. Gente qualunque, dunque, non coloro verso i quali l'anarchico afferma di aver voluto compiere l'attentato. Adesso dice che «è difficile prevedere tutte le conseguen zen quando si vuole fare qualcosa e piange le vittime innocenti. Ma è sempre più difficile credergli. Francesco Fornari ■ ■ •«»«»»«*^s^' , ...... Milano. Depone la madre di Gabriella Bortolon, che fu uccisa dalla bomba di Bertoli

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