Francia: truffe, morti e la follia in un nuovo "affare Dreyfus,, di Alfredo Venturi

Francia: truffe, morti e la follia in un nuovo "affare Dreyfus,, Il dramma del vecchio Leonce de Portai e dei suoi eredi Francia: truffe, morti e la follia in un nuovo "affare Dreyfus,, (Nostro servizio particolare) Parigi, 19 febbraio. Mentre l'affare Dreyfus, finalmente uscito dalle reticenze e dai pudori della sua persistente attualità, approda nelle sale cinematograjiche per iniziativa di un regista francese, una nuova tenebrosa vicenda angustia, appassiona, divide il Paese, e viene accostata per analogia al dramma lacerante della Belle Epoque. Il nuovo affaire è molto diverso da quello che inchiodò il povero ufficiale ebreo ad un destino che scontava oscuri disegni di potere, manovre di spregiudicate cancellerie, risvegliando il demone del razzismo e quello del bellicismo: il «caso Dreyfus» dell'era giscardiana è una storia amara e sanguinosa di carte da bollo e diritti di proprietà, di «incertezza del diritto» e disinvoltura poliziesca, di vittime scomode e retroscena imbarazzanti. La scena è quella di un gran dramma storico-sociale: La Fumade, una vecchia proprietà nel Midi, qualcosa d'intermedio ira il piccolo feudo e il grande podere, centoses¬ santa ettari e un castellacelo un po' malandato. E' qui che, nel marzo del '73, muore il barone Loence de Portai, gentiluomo di campagna da sempre alle prese con i garbugli giuridici che gli insidiano la proprietà. Al momento della j morte, già da parecchi mesi il barone de Portai non è più il legittimo proprietario della Fumade. Nel luglio del '72 terra e palazzo sono stati venduti per 250 mila franchi, nonostante valga quasi dieci volte tanto, ad un agricoltore della zona. Rivière. E' stata una vendita giudiziaria, poiché, dicono i tribunali, c'è un vecchio debito di 70 mila franchi che non è mai stato pagato. Il barone non ha mai riconosciuto quel debito, e del resto il notaio che ha portato avanti la pratica è stato sospeso dalla professione per falso in atto pubblico. Non permetterò mai, finché vivrò, che un usurpatore metta piede qua dentro, dice Leonce de Portai, e con nobile fermezza mette alla porta gli uscieri del tribunale che, periodicamente gli portano la voce del diritto. Nel marzo di due anni fa, \ dunque, attorno al feretro del vecchio barone ci sono sua moglie Anna, di origine polacca, e i due figli Marie-Agnès e Jean-Louis. Giurano, anche loro dì difendere La Fumade ad ogni costo. Sono armati, si barricano nel cadente eàìfi- \ ciò, in un'allucinante atmosfera fanno a turno la guardia al corpo di Leonce. Non accettano il colloquio con gli uomini del tribunale, né con gli agenti di polizia, né con gli emissari di Rivière, che intanto manda i suoi braccianti a lavorare i centosessanta ettari acquistati così a buon mercato. Loro, i Portai, continuano a denunciare il sopruso, chiedono che la vicenda sia riesaminata, si scopra il falso, si annulli 'a vendita. La situazione si trascina quasi due anni, improvvisamente precipita il 10 gennaio scorso. Il giovane Jean-Louis, appoggiato ad una finestra della Fumade, carabina imbracciata, osserva i trattoristi di Rivière e le loro evoluzioni sulla «sua» terra. Inquadra uno dei braccianti, fa partire un colpo. Il parabrezza del trattore va in frantumi, l'uo- mo è leggermente ferito. Poche ore dopo, a notte, i gendarmi mobili circondano la casa. Qualcuno ordina l'assalto, si spara: Jean-Louis cade ucciso, le due donne vengono catturate. Il diritto è ristabilito, l'acquirente legittimo della proprietà potrà prenderne possesso fino in fondo ma prima ci vuole qualche supplemento d'indagine: il giudice fa mettere i sigilli all'edificio, e giorno e notte i gendarmi montano la guardia. Nonostante questo, qualcuno riesce ad entrare, i sigilli giudiziari saltaI no, e dal mistero fitto vìen i fuori il sospetto che si sia voI luto mettere le mani sulle carte dei Portai. Dunque fra le carte c'è la prova del sopruso? Anna e Marie-Agnès, le due i disgraziate superstiti del dramma, sono nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Tolosa, guardate a vista, sottoposte ad un rìgido regime carcerario. Le loro condizioni mentali sono oggetto di visite specialistiche: viene fuori che sono «irresponsabili e pericolose». Sono soltanto sconvolte, e hanno mille ragioni per esserlo, ribattono i loro avvocati, e chiedono una controperizia. Si diffonde il sospetto che le si voglia rinchiudere in manicomio per liberarsi di loro: «Bisognava ucciderli tutti e tre», scrive con amara ironia su France-Soir Jean Dutourd, l'Emile Zola dì questo nuovo caso Dreyfus. Il ministro della Giustizia, Jean Lecanuet, è chiamato in causa, dice a Radio Europa che quello che si sta facendo è la ricerca della verità, nient'altro che questo, e che la verità verrà fuori. Gli rispondono che la sola «follia» delle due Portai è una mania di persecuzione, e che tale mania è più che giustificata dal fatto che la società le sta effettivamente perseguitando. «Ciò che è accaduto alla Fumade — dice Michel Jobert — attiene più ad una società selvaggia che alla civiltà». Si chiede a gran voce una revisione della vicenda giudiziaria che portò alla vendita della proprietà, si vuol sapere chi ha imbrogliato le carte e perché l'imbroglio è stato possibile. L'unica differenza fra il vecchio e il nuovo affare Dreyfus consiste nel fatto che, oggi, gli antidreyfusardi sono un'entità trascurabile. Alfredo Venturi

Persone citate: Dreyfus, Emile Zola, Jean Dutourd, Jean Lecanuet, Michel Jobert

Luoghi citati: Europa, Francia, Parigi