Il cognome della moglie

Il cognome della moglie QUESTIONI DELLA LINGUA ITALIANA Il cognome della moglie E' andata bene. Imperocché, lasciando fuori i femministi d'ambo i sessi, a troppe lettrici, appena appena persuase dei diritti della donna, non era mai andata giù l'usanza e quasi legge in forza di che la donna, maritandosi, doveva assumere come primario il cognome del marito, relegando alla seconda battuta, facoltativamente in privato, obbligatoriamente negli atti pubblici, il proprio casato di fanciulla. Alla Maria Rossi che avesse sposato un Bianchi, non si parava altra scelta che o di nominarsi Maria Bianchi oppure, con puntiglio burocratico, Maria Bianchi Rossi, ricordandole con questo mezzo il Codice Civile ch'ella aveva sposato, oltre alla persona e al destino, anche il nome del coniuge. La crescente impopolarità di questa prassi è attestata, per quanto ci riguarda, da una quantità di lettere di sdegno e protesta: sdegno per quel far getto, con tanta indifferenza e per la donna soltanto, del nome di famiglia, sacro e aderente non meno del primo; protesta verso una usanza che sente di mussul¬ mano a un miglio e che ad ogni modo rientra in quel sistema svalutativo della donna (sentita più res che persona) che indusse già gl'Italiani dell'età di mezzo a considerare il casato femminile alla stregua di aggettivo: la Battiterra, la Morona, la Marengo (per Battiferri, Moroni, Marengo). Poco conto si fece sempre della scappatoia '« Maria Rossi in Bianchi », e nessuno della più antica « Maria Rossi nei Bianchi », dove peraltro si pare la potenza della particella In, che ellitticamente denota non pure il passaggio da nubile a maritata, ma anche il caso l'abbattimento il romanzo, in forza dei quali la primitiva Maria Rossi è finita in quel modo. Ma ciò sia detto per pura grammatica. Non ci voleva meno della vedovanza (e ciò è brutto) perché il cognome di ragazza riprendesse il sopravvento nella giacitura Maria Rossi ved. Bianchi, esitando però le mogli buone, almeno nei primi mesi, a compiere tale operazione liberatoria. Ma va detto che nella pratica quell'usanza non era sempre osservata: vi derogavano apertamente le donne illustri (cioè, già illustri prima di sposarsi), vi sgusciavano di sotto, in privato, mogli indocili o schifiltose del cognome del marito in quanto ridicolo, a nulla servendo il monito della legge: che ci dovevano pensare prima di accasarsi. Poi c'erano le distratte che variavano continuamente lezione. Non c'è di peggio, per provocare liti equivoci e confusione, che una norma di legge da troppe parti contravvenuta e sempre più in contrasto con lo spirito dei tempi. Ma finalmente, come si è letto, lo Stato ha provveduto, esaminando fra altre questioni concernenti la riforma del diritto di famiglia, anche quella, così ombrosa, del cognome della sposa. E l'ha risolta in Senato nel senso più liberale: la donna che si sposa aggiungerà semplicemente il cognome del marito al suo proprio; se prima o dopo, non ha importanza. Secondo una interpretazione estensiva dell'emendamento, potrebbe anche lasciarlo nella penna (fi¬ gura Ellissi) senza che seguissero drammi. Riprendiamo dunque la già inchiodata Maria Bianchi Rossi. Ella può o rimanere tale e quale o svincolarsi in Maria Rossi Bianchi e privatamente in Maria Rossi o Maria Bianchi, come le talenta. Tanta licenza porterà confondimento negli atti d'ufficio? Come distinguere il cognome vero dall'ascitizio? Il rischio c'è, ma non tale che peggiori troppo lo « stato confusionale » in cui già versano, a proposito di nomi (spesso storpiati anche nei passaporti), gli uffici della pubblica amministrazione. E poi quello che davvero importa è l'affrancamento della donna maritata dalle antiche pastoie onomastiche, residuo di feudalità. Dopo tanto fermento e tanto rodio, il marito può continuare a essere un tesoro, ma il suo nome di famiglia non ha più la collocazione sovrana che aveva: in testa o in coda, pesa quanto una galla, ha quasi una funzione semplicemente espletiva. Leo Pestelli