I russi rimpatriati dopo Yalta di Lia Wainstein

I russi rimpatriati dopo Yalta I russi rimpatriati dopo Yalta Cade in questo febbraio il 30" anniversario della Conferenza di Yalta — i russi preferiscono chiamarla Krymskaja, della Crimea — in cui Stalin, Churchill e Roosevelt, ultrasessantenni e l'ultimo ormai prossimo alla fine, si riunirono per una settimana con i rispettivi ministri degli Esteri e i capi di Stato Maggiore. Tra le decisioni prese allora, non tutte furono rese pubbliche. L'apertura degli archivi degli alleati occidentali, gelosamente chiusi fino al 1972, confermò che ai tanti massacri dell'ultima guerra se ne aggiungeva ancora uno, freddamente stipulato e considerato come l'unica soluzione di un penoso dilemma. Nel giugno 1944, pochi mesi prima della conferenza di Yalta, nella Normandia appena invasa gli alleati avevano fatto prigionieri dei soldati russi che indossavano divise tedesche. Si presentò subito un problema spinoso: costoro si dovevano trattare come soldati tedeschi e quindi concedere loro i soliti diritti dei prigionieri di guerra, oppure come dei tra¬ ditori da consegnare alla giustizia russa? La situazione era ulteriormente complicata dall'atteggiamento del governo sovietico, restio a riconoscere apertamente l'eventuale esistenza di simili traditori, e insieme però ansioso di ottenerne il ritorno in patria. Questi uomini, in parte profughi politici in cerca di asilo o vittime di tragiche circostanze che in molti Paesi avrebbero condotto all'amnistia, nella Russia di Stalin certamente non sarebbero sfuggiti a pene crudeli per il solo fatto di trovarsi in Occidente. Sul destino di questi russi in divise tedesche incombeva poi una più sinistra minaccia, la preoccupazione cioè degli occidentali per i loro propri uomini, detenuti nei campi della Polonia e della Germania orientale, e quindi in potere dei sovietici. In base a tali considerazioni nel Trattato di Yalta venne segretamente stipulata anche l'estradizione dei russi, e nel massacro, in cui perirono circa due milioni di persone, furono coinvolti donne e bambini innocenti, e perfino un gruppo di 50 mila cosacchi, figli di vecchi emigranti, e che quindi non erano mai stati cittadini sovietici. La raccapricciante storia, di cui finora si era assai poco parlato (oltre alle notizie diffuse dagli emigranti russi e a Solzenicyn, che nei Lager si imbatté in qualche rimpatriato, vi accennarono alcuni giornali inglesi e americani nel 1945) è stata ricostruita dallo storico inglese Nicholas Bethell in The Last Secret, Forcible Repatriation to Russia 1944-1947 (L'ultimo segreto, Rimpatrio forzato in Russia 1944-1947, pag. 224, André Deutsch, Londra ). Integrando lo spoglio degli archivi inglesi e americani con dozzine di interviste e altro materiale, Bethell procede ad una rievocazione analitica e critica dei tre anni in cui si svolse la tragedia, denunciando le responsabilità degli uomini politici e mitigando l'orrore della vicenda con il proprio senso di umanità e con l'atteggiamento, spesso compassionevole, di molti militari inglesi. In nome di esigenze politiche e morali non sempre fondate vennero commes¬ se inutili, ingiustificate atro cita in casi, secondo Bethell, addirittura illegali, in quanto non previsti nemmeno dal Trattato di Yalta. Tra gli inglesi, uno dei più compromessi appare Eden, che sin dall'inizio si mostrò assai duro, insistendo sulla necessità di estradare tutti i russi, lo volessero o no, e se necessario con la forza. « Essi furono catturati mentre prestavano servizio in formazioni militari o paramilitari tedesche, il cui comportamento in Francia fu spesso rivoltante. Non possiamo permetterci di essere sentimentali ». Churchill, meno reciso, negò tuttavia in Parlamento l'esistenza di clausole segrete, ma in sostanza, dice Bethell, « i governi britannico e americano applicarono per quasi tre anni una politica in contrasto con le tradizioni e i valori morali dei loro popoli... Oggi pochi negherebbero che il Trattato commetteva una grave ingiustizia contro quelli, tra i cittadini sovietici rimpatriati, che non avevano in alcun modo collaborato con la Germania nazista ». Lia Wainstein