Cerchiamo di fare il punto dopo le polemiche tra sport, tifo e giornali di Giovanni Arpino

Cerchiamo di fare il punto dopo le polemiche tra sport, tifo e giornali Cerchiamo di fare il punto dopo le polemiche tra sport, tifo e giornali Calcio malato, ma la colpa è nostra? Questa è una confessione senza reticenze Meriteresti un pugno sul Muso come quelli che dà Longobucco. Così ti tornerebbe la memoria », mi scrive su una cartolina postale l'ultimo anonimo, un milanista di Cuneo, lo regalo la cartolina a Tròmlin, celebre « re cucinìero » di Cavoretto e mi rincresce non poter rispondere, non poter ringraziare per quella Involontaria ' emme »: c'è muso e Muso, Infatti. L'antologia degli orrori postali che mi riguarda è sterminata, posso anche rinunciare a questo laconico mesaggio. Se debbo confessarla tutta, mai avrei creduto — sette anni fa, quando venni catapultato nella fragorosissima giungla sportiva — che II carico degli insulti, anonimi o firmati, fosse direttamente proporzionale alla popola¬ rità d'un critico e novellatore di calcio, boxe, ciclismo, atletica, « mondiali » e Olimpiadi. Sette anni fa Alberto Ronchey mi disse: « Se Infili quel corridoio e alla settima porta entri, ti trovi nello sport. C'è gran spazio da riempire. Ma ne sai, di sport? ». E lo risposi: « Ho curato un'Intera enciclopedia di discipline sportive e di giochi, dalla ginnastica del tedesco Guts Muths al pif-paf, gioco di carte d'origine brasiliana che si basa su regole combinate di rummy e di poker. Infilo subito quel corridoio ». Era un'avventura e me ne resi conto subito. Continua ad essere avventura, filtrata da doverismi personali, testardaggine cronica, desiderio di autentici rapporti umani, bisogno di realtà concreta. E non nego che intendo « uscire • dallo sport, semmai ne uscirò, con un romanzo fitto, gremito, esemplare. A ciascuno il suo. Ma « parlare sport » è attività difficile, talora crudele. Fino a non molto tempo fa, la gente comperava II giornale e si diceva: adesso leggo cosa dice Carlin, cosa dice Roghi, cosa dice Berrà, cosa dice Pozzo. Attualmente sono pochissime le « firme • — amate od odiate — che vantino tali patenti o tabernacoli o cripte fiorite. Perché da anni molti leggono le pagine sportive per leggere ' cosa ha detto Herrera » o Glagnoni o Maestrelli o Chinaglia. E io mi tuffavo nella giungla sportiva mentre c'era questo forzato e ambiguo passaggio di inte- ressi, mentre i -capi» delle pagine incitavano I giovani giornalisti a raccogliere le dichiarazioni scandalistiche o comunque • prò domo sua » degli allenatori, dei centravanti, degli stopper. Che ripetevano sempre le identiche storielle, abili negli alibi, ma la gente ' beveva » ugualmente. Nasceva un giornalismo non di racconto-splegazlone-commento, ma di ossesse Inchiestine di due punti e aperte virgolette, dì UH dice e così via. La televisione • mangiava • letteralmente la cronaca, le pagine si consumavano in invenzioni che duravano due ore. Un'Intervista smentiva la precedente, eccetera eccetera. Cominciai a lavorare, tra leoni tigri elefanti e iene in questa famosa giungla. A volte non è bastato il machete per aprir strada ad una verità. Ho ricevuto de' l'affetto, ricambiato ad usura. Ho raccolto odli, che mi onorano. Ho cercato di « parlar italiano » In un torrente che usa forzatamente gerghi e mistilinguismi posticci. So di tessere la tela di Penelope, ma non demordo: I gomitoli sono tanti, finché salute regge. Ma ho anche scoperto che il giornalismo sportivo sa a chi si rivolge, conosce benissimo il suo utente. Di qui la forza, soprattutto in Italia, di un colloquio col lettore, che legge, critica, crede o dissente, ma si trova alla pari con chi * firma » gli articoli. Vittorio Gorresio. durante un incontro a Roma, mi diceva: « Il calcio dovrebbero spostarlo nella pagina degli spettacoli. Ormai è un rituale, come i film ». Paradossalmente ha ragione, ma lui stesso riconosce che nessun giornalista c ferrato, agguerrito, veloce, pronto, come quello che si occupa di sport. E sul giornalismo sportivo italiano versano torrenti di elogi i brasiliani e I tedeschi, i francesi (a denti stretti) e tutti i critici dell'Est. Per questo non mi sembrano accettabili e neppure verosimili I i tentativi di chi afferma: nell'at- ! tuale stato di cose, la stampa sportiva ha le sue colpe. Quali? i Del giornalista Caio che ha partecipato ad una compravendita del giocatore Tizio? E' accaduto, ma sono casi unici e anche ridicoli. Del tal altro che • copre • certe magagne d'un club, d'una mezzala? Sono cose umane, /solatissime. Mentre è ancora oggi vivo lo spirito informativo di coloro che si dannano l'anima per poter annunciare al sabato la formazione « giusta » che giocherà la domenica. Si pagano prezzi di sforzo fisico, di tensione cerebrale, di consumo nervoso, per esercitaro il mestiere. Ed è un mestiere che, malgrado certe forme di ciarlataneria goliardica, rimane serissimo. Perché II compito non si limita ad un gelido • informare ». ma tende al concetto di « formare ». Noi (e voi) sappiamo che se si esce con un titolo domenicale a sei colonne sul tipo « Non fischiate Chinaglia », quel giorno Giorgione non sarà fischiato. Accadde un anno fa, per la partita di Torino e Lazio al Comunale e « John il Lungo » se lo ricorda benissimo. lo so di dover perdere quasi ogni battaglia in questo campo. Perché per ogni battaglia ricevo lettere feroci, critiche acerbe, sia di lettori nascosti sia di un paio di « colleghi » che si pretendono furbi (ma ai quali rispondo sempre: bisogna essere in due per fare il braccio di ferro, e sono solo). Però so anche che pro¬ prio da questa sequela di battaglie perdute può nascere la vittoria In guerra. Accadeva- a certi ammiragli britannici dèi tempi antichi, accade ancora nello sport. E se devo stilare un bollettino vittorioso, eccolo: ero da un barbiere torinese, sconosciuto tra sconosciuti. Litigano selvaggiamente da poltrona a poltrona, coprendo di rabbie quel certo « Arpin » casualmente presente e taciturno, incuriosito. Finché la verità venne a galla: il più nemico ce l'aveva con me perché avevo usato un dato verbo in una data • pagella ». // figlio lo conosceva e glielo aveva spiegato grazie ad un vocabolario. Per questa raqione venivo condannato dal padre, a metà barba. Eppure anche questo è minimo scopo per chi scrive: offrire a chi legge una parola, rendergliela familiare, inventar per lui termini come » tremendismo » o « Juve-jet ». Non è mio compito difendere la stampa sportiva, che solo in rari casi di estremismo inlantile ha sfoderato pagine compromet¬ tenti, lo credo in ciò che faccio, come ci credono Bobby Bettega o Giacinto Magno o Enzo Bearzot o Gimondi. Se non ci credessi, avrei già imboccato altre mille scorciatoie. Il lavoro giornalistico non mi ha Impedito di scrivere, in sette anni, due romanzi e mettere insieme una raccolta di oltre settanta racconti. Il giornalismo sportivo mi ha logorato, ma anche aiutato a conoscere il prossimo, il che è poi l'unica * missione » che dovrebbe riguardarci finché siamo vivi. « Non sarà la paura della follia che ci spingerà a lasciare a mezz'asta la bandiera dell'immaginazione ». Cosi scriveva André Breton nel 1924 per spiegare, difendere, canonizzare l'arte surrealista. Cosi, con notevole presunzione, beninteso, possiamo ripetere noi. Raccontare di sport è ancora un atto di vita: se si sa raccontare, rinunciando a speculazioni, ammiccamenti, intrighi, o ipocriti atti di dolore. Continuiamo. Giovanni Arpino ^rnnffurtrrJUlgmei IL. GIOÌ

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