Nella selva dell'Ariosto

Nella selva dell'Ariosto Da stasera V Orlando furioso sul video Nella selva dell'Ariosto Lo spettacolo creato cinque anni fa da Luca Ronconi in una chiesa di Spoleto e l'imprevedibile incontro con un testo che mantiene tutto il suo smalto, dopo quattro secoli - Nelle vicende dei suoi personaggi, il poeta ha disegnato la mappa infinita della natura umana Quando entrammo nella chiesa spolctina di San Nicolò — era l'inizio d'estate del '69 —, capimmo clic quell'Orlando furioso che Luca Ronconi prometteva insieme con i suoi quarantasettc allori sarebbe slato cosa tutta diversa da ogni altro spettacolo teatrale. Nell'aula rettangolare, dapprincipio, parevano sperdersi frantumi e attrezzeria di cento differenti melodrammi, e contemporaneamente, ora qua ora là, spuntavano personaggi e situazioni in un disordine eccitante. Era quello un modo di «ri leggere il poema arioslcsco? Certamente. Più la rappresentazione procedeva, più era innegabile che qualcosa dello spirilo sublime di messer Ludovico era rimasto in quel vociare simultaneo di attori, in quel volare per l'aria, sotto la volta della chiesa sconsacrata, d'un Ippogrifo che pareva un giocattolo o la creazione d'un maniaco, lese come un artigiano cavilloso dietro le proprie «fanfaluche». Poi, l'eco delle ottave svaporava, e restava lo spcllacolo. in tutta la sua autonomia, a vivere. Ma il poema?, ci si chiedeva ancora una volta. In che modo, ancora una volta, avremmo potuto incontrare la pagina felice del poeta di Alcina e del mago Atlante, di Angelica e di Medoro, di Marfisa e di Giocondo? Insomma, al giorno d'oggi, è possibile leggere, ed essere coinvolti fino a perdervisi dentro, uno straricco poema che racconta magic e inverosimiglianze fiabesche che non hanno confronto, e neanche il tossico che qualcuno cerca nella stupidità di un Flash Gordon? E' storia vecchia, l'incontro coi classici della nostra letteratura è per tradizione un incontro difficile, diffidente. Sembra impossibile che un qualche vento riesca a sollevare da essi, e a disperdere, la polvere che la scuola vi ha deposto sopra. Epperò, di quei quattro o cinque libri che la letteratura italiana ha partorito, e che sono classici realmente — cioè contengono una insolita e incommensurabile sapienza di vita — l'Orlando non perde smalto. Affidandolo alle labbra del suo Didimo chierico, un personaggio in cui vedeva riflessa la propria ombra, il Foscolo disse che le ottave dell'Ariosto vengono avanti come il mare alla riva: «Mostrandomi dal molo di Dunquerque le lunghe onde con le quali l'Oceano rompea sulla spiaggia, esclamò: cos'i vie» poetando l'Ariosto!». Il Foscolo voleva dire che nella poesia arioslcsca, nel modo che essa ha di narrare e lasciar confluire una vicenda nell'altra che diresti spaiata alla prima, c'è qualcosa della imperscrutabilità e dell'armonica necessità della natura. Una poesia, come quella italiana, quasi interamente voltata a siglare l'eternità dei sentimenti, liberandoli da ogni scoria del contingente, scopre in Ariosto il suo rovescio. Ogni suo verso vive del proprio andare alla volta del successivo; allo stesso modo,ogni ottava è indirizzata a quella che segue: eppure, in quel mescolarsi e congiungersi del ritmo, mai che vada dispersa la musica, mai che il suo accento rallenti e si vanifichi. Il poema ariostesco sembra scritto a bella posta per negare l'idea di Edgar Allan Poe, per cui la poesia riesce a vivere solo in tenui e sporadici frammenti. Giostre di cavalli, salite alla Luna, sottigliezze di maghi, ombrose umidità di boschi, smaglianti tornei, folla di personaggi a nessuno dei quali è negato il primo piano: Orlando, Ruggiero, Bradamante, Doralice. Angelica, Cloridano, Fiordiligi, Brandimartc, Zerbino, Isabella... Cosa, di lutti costoro, Ariosto ha raccontato? Rispondendo a questa domanda, troveremo il poeta più che mai vicino. Nella grande varietà di casi con cui ha intrecciato le vicende delle proprie creature, l'Ariosto ha disegnato la mappa che diremmo infinita della natura umana. L'Ariosto ha trascinato i suoi personaggi nell'universo del tutto fantastico della favola e dei casuali congiungimenti, li ha spiati con un occhio capace di sguardi che paiono quelli di Dio: per via di tanto li ha lasciati liberi e felici di essere se stessi. Ma in quello che scamberemmo con un epicureo disinteresse, ceco farsi viva una scoperta: non si è mai visto, mai è stato raccontato un ritratto dell'uomo più sfaccettato, più variato, più capace di resistere alla rabbia del tempo. Nelle «fanfaluche» di messer Ludovico c'è lo stupore del nostro essere al mondo. Enzo Siciliano Mariangela Melato, nel ruolo della principessa Olimpia, la donna legata alla roccia

Luoghi citati: San Nicolò