TRENTANNI FA STALIN BEFFÒ L'OCCIDENTE di Aldo Rizzo

TRENTANNI FA STALIN BEFFÒ L'OCCIDENTE TRENTANNI FA STALIN BEFFÒ L'OCCIDENTE L'oscuro mito di Yalta Il presidente Roosevelt e Churchill s'illusero di poter stabilire con l'Urss un equo sistema internazionale - Ma più degli accordi furono le intenzioni fraintese: a grandi speranze seguirono cocenti delusioni Trent'annì dopo Yalta, anche la Pravda ha rievocato quella famosa conferenza, e la morale che ne ha tratto è dì tipo edificante. Le decisioni comuni prese in quell'occasione dai leaders della coalizione antinazista dimostrerebbero che « se le parti lo vogliono, le questioni internazionali controverse possono essere risolte con successo ». Ma il dramma di Yalta è che quelle decisioni non furono rispettate. Finita la conferenza, Stalin riprese e portò avanti inflessibilmente il disegno dell'incorporazione politica e strategica dei Paesi liberati dall'Armata rossa. Lo aveva già detto, nel '44 a Milovan Gilas: « Questa non è una guerra come quelle passate. Chi occupa un territorio v'impone il suo sistema sociale. Non può essere diversamente ». Invece in Occidente si credette che Yalta fosse la premessa di un sistema internazionale equo e giuridicamente garantito. La delusione fu grande e ancora se ne discute. Ira di De Gaulle All'indomani della chiusura della conferenza, che durò dal 4 all'11 febbraio 1945, Roosevelt si disse convinto che fosse giunta « la fine del sistema delle azioni unilaterali e delle alleanze eselusive, delle aree d'influenza e dell'equilibrio delle potenze ». E Churchill aggiunse: « Non conosco un governo che tenga fede alle proprie promesse, anche quando ciò va a suo svantaggio, come il governo sovietico ». Ma un mese dopo, quando si cominciò a vedere in che conto Stalin tenesse l'accordo di Yalta sulla Polonia, Churchill inviò un drammatico messaggio a Roosevelt: « Siamo di fronte al crollo totale di ciò che si era convenuto ». E il presidente degli Stati Uniti, ormai alla vigilia della morte, scrisse a sua volta a Stalin che, se fosse continuato il tentativo sovietico di dare tutto il potere al governo filocomunista di Lublino, « il popolo americano avrebbe considerato l'accordo di Yalta un fallimento ». E non era che un inizio. Fu questo fraintendimento delle reali intenzioni di Sta- Un, di cui fu vittima non tanto Churchill, nonostante le molte parole d'occasione, quanto Roosevelt, a creare nell'opinione pubblica occidentale uno stato d'animo assai polemico, che curiosamente si rivolse contro i due « leaders » dell'Ovest, non meno o forse più che contro il dittatore sovietico. Per gradi si arrivò all'accusa a Churchill, ma soprattutto a Roosevelt, di essersi cinicamente spartito il mondo con Stalin, lasciando che l'Urss estendesse il suo potere politico su tutta o quasi l'Europa centro-orientale. Il mito di Yalta. In Europa, il campione di questo stato d'animo collettivo, di questa mitologia tenace e diffusa, fu Charles de Gaulle. Nell'estate del 1968, quando l'invasione della Cecoslovacchia sancì definitivamente la realtà di due Europe divise e incomunicabili, una delle quali soggetta senza scampo alla regola del potere sovietico, il generale lanciò un pubblico anatema contro Yalta, indicandola come la fonte storica della tragedia europea. Egli sostenne che « il destino dell'Europa » vi era stato deciso « senza l'Europa stessa », poiché dalla conferenza era stata esclusa la Francia « per decisione calcolata di Washington e Mosca »; e d'altra parte egli mai avrebbe potuto « ammettere che due potenze un tempo rivali si attribuissero da sole, ciascuna da un lato della linea di demarcazione che d'accordo avevano tracciato ai loro eserciti, il diritto supremo di disporre degli altri, fossero essi nemici o alleati, abbandonando così inevitabilmente alla dominazione sovietica la parte centrale e orientale del nostro continente e, d'improvviso, tagliandolo in due ». Ma le cose erano andate un po' diversamente. Il dato di fatto fondamentale è che, quando i tre gran- di si riunirono in Crimea, l'Armata rossa, nella sua epica controffensiva, aveva già dilagato in buona parte dell'Europa centro - orientale: Bulgaria, Romania, Polonia, Jugoslavia, Ungheria, Slovacchia e la stessa Germania. Che questa situazione fosse in buona misura irreversibile, Roosevelt e Churchill avevano già mostrato implicitamente di crederlo; e Churchill, in particolare, lo aveva confermato nell'ottobre del '44 a Mosca, quando aveva negoziato con Stalin la libertà d'azione in Grecia in cambio del riconoscimento della preponderante influenza sovietica su Romania e Bulgaria. Ma Yalta fu un tentativo, l'ultimo, d'impedire la spartizione, o almeno di contenerla. L'Armata rossa E infatti ci fu un accordo sulla Polonia, per la « riorganizzazione » del governo polacco, tra membri del governo filo-occidentale in esìlio a Londra e membri del governo filocomunista di Lublino; e ci fu la « dichiarazione sull'Europa liberata », che sanciva « il diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo sotto la quale dovranno vivere ». Ancora, a Yalta, fu decisa la conferenza di San Fran¬ cisco per la creazione dell'Orni, nella quale Roosevelt vedeva un'altra grossa garanzia di un mondo ben regolato (le altre decisioni della conferenza furono l'istituzione delle quattro zone di occupazione in Germania, una anche alla Francia, « per pura bontà », e l'accordo sulla futura entrata in guerra dell'Urss contro il Giappone). Solo che sulla Polonia, e su tutta l'Europa liberata dall'Armata rossa, Stalin aveva i sìioì programmi, totalmente diversi da quelli predisposti a Yalta. Altra questione è se gli occidentali non avessero, prima e dopo Yalta, la possibilità di arginare l'avanzata dell'Armata rossa nel centro Europa, andandole incontro « il più i Est possibile »; ma in Crimea non ci fu la cinica spartizione denunciata da De Gaulle, non ci fu, soprattutto, nelle intenzioni di Roosevelt. Certo, tutto sommato. De Gaulle aveva ragione di dire che a Yalta il destino d'Europa si era deciso « senza l'Europa stessa ». Ma non perché dalla conferenza mancasse la Francia. C'era, del resto, l'Inghilterra. L'Europa era assente perché era morta, nonostante l'epopea nazionale della « France libre » e gli ultimi splendori dell'impero britannico. La seconda guerra mondiale l'aveva distrutta, in termini politici oltre che materiali, e invece erano nate, oggettivamente, e non per un calcolo cinico di Roosevelt, due superpotenze planetarie, egemoni, in senso diverso e in misura diversa, sulle due metà del continente. La tragica follia fascista e nazista aveva dato il via a una gigantesca «guerra civile», che poi era diventata un conflitto universale, che aveva scavalcato e dissolto, in termini storici, la « dimensione europea ». Il problema era recuperare quella dimensione, se si voleva «superare» Yalta; ma proprio De Gaulle (e fu la sua più grave contraddizione) lo impedì, col suo nazionalismo. Lo impedì più di ogni altro leader europeo poiché egli era, dopo il tramonto di Churchill, il più grande di tutti. Nella sua scia, e nella sua ombra, si adagiarono altre pigrizie, miopie e mediocrità nazionali. Farliamo dell'Europa dell'Ovest. Quella dell'Est, « l'altra Europa », aveva un compito più limitato, date le circostanze; però l'ha svolto e lo svolge, si direbbe, con maggiore coraggio, a prescindere dai risultati. Aldo Rizzo Roosevelt, Stalin e Churchill, protagonisti di Yalta, visti da Levine (Copyright N. Y. Rcvlcw of Hooks. Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)