Bambini nella foresta dei miti di Ferdinando Albertazzi

Bambini nella foresta dei miti Bambini nella foresta dei miti Il dado del bambino somiglia a un caleidoscopio. Dalle infinite facce, emergono configurazioni multiformi e suggestive, personaggi seducenti e irresistibili ai quali l'immaginazione creatrice del fanciullo accorda gesta onnipotenti, in cui s'innesta con partecipe curiosità. Davanti ad occhi insaziabili, si avvicendano figure schive e irripetibili, dagli atteggiamenti sdegnosi e irrevocabili. A quelle, il bambino si affida come ad altrettante guide: al loro fianco, la sua brancolante ingordigia di emozioni soddisfa un appetito incontenibile, mentre i miti, le leggende e le fiabe lo introducono alla vita. Per nulla frastornato dalla molteplicità dell'inedito, il fanciullo sperimenta quella capacità di fingere di sapere che già apprende — secondo la psicopedagogia più avanzata — durante il primo anno di vita. La necessità di sentirsi e di mostrarsi naturalmente parte di qualsivoglia accadimento, è d'altronde l'indicazione precisa del desiderio, ancora inconsapevole, di non ritrovarsi costretto ad ammettere che le facce del dado sono praticabili solo attraverso un'infinità limitata di combinazioni, via via ridotte a poche possibilità operative. li caleidoscopio pare allora incepparsi, indugiare in ripetizioni e mettere a nudo l'evanescenza di personaggi eterni e impalpabili quali i protagonisti delle storie raccolte e scandagliate in Mito e fiaba per i bambini d'oggi, un convincente lavoro di E. Cook (La Nuova Italia). Capriccioso e ingenuo il bimbo si sforza di vedere, nelle figure delle favole, pseudonimi di chi lo attornia: il mitico diventa quotidiano mediante la riduzione dell'infinito al commensurabile. Le emozioni immaginate e realmente vissute vengono al contempo sostituite da sensazioni immaginarie, da rappresentazioni spesso inesaudienti. La volontà di non accettare spontaneamente un intorno che neppure riesce simbolo dell'universo indelebile che lo ha fin lì ospitato, origina il periodo dei se, degli interrogativi a cui il fanciullo esige risposte inconfutabili e concrete: « Se taluni sono più abili di altri nel costruire oggetti, potrebbe esistere qualcuno capace di alterare la materia di cui le cose sorio fatte? ». E' in atto il disperato tentativo di continuare ad aggirarsi in un mondo dettato unicamente dalla invenzione. Mentre richiede alle facce del dado, adesso numerose come i grani del pallottoliere, ben altro che scene sbiadite e figure stereotipate l'imitazione, invece, porta il bambino ad assumere pose « da grande ». Più tardi, se l'ambiente non frantuma la dedizione alla sorpresa e persino al «gratuito» che fanno la vita, può capitargli di rintracciare l'eco di esplorazioni remote e limpide nelle azioni tipiche di quel teatro di stalla alla cui spontaneità s'ispira il «vagabondaggio» teatrale attraverso paesi e quartieri, coordinato da Giuliano Scabia e raccontato nel Gorilla quadrumane (ed. Feltrinelli). Il bimbo non sa più vivere ad occhi aperti, né appartenere soltanto a ciò che lo appassiona: principia la rinuncia coatta a un mondo che, nello spazio interiore, non smette comunque di pulsare. Il passaggio dall'illusione alla delusione è ormai irreversibile il che produce, in individui particolarmente suggestionabili, «lacerazioni» che possono « trasmutare da semplice fantasticheria a tur¬ ba della coscienza », dagli effetti assai vicini a quelli considerati da Cari Gustav Jung in Psicologìa e patologìa dei cosiddetti fenomeni occulti. Boringhieri lo pubblica insieme al Problema della malattia mentale. Di solito, il fanciullo diventa un adolescente che mira ad apparire ragazzo e, il più rapidamente possibile, adulto. Di quando in quando, estrae dalla tasca un cubo minuscolo e scruta gli inappaganti circoletti che punteggiano, in progressione aritmetica da uno a sei, le facce del dado: così ridotto, il caleidoscopio non gli concede avventure irresistibili né conquiste esaltanti. E' invece costretto a fare i conti con la cono¬ scenza, che gli impedisce di inseguire uccelli astuti e ammiccanti nella convinzione di catturarli «mettendogli il sale sulla coda». L'esercizio della conoscenza lo distoglie inesorabilmente dai fascini di Un mondo lontano, a cui ritornano le terse e fresche pagine di W. H. Hudson (Adelphi). Come assicura l'antica letteratura occulta, le corde dell'esistenza rimangono sette. Benché scommetta le sei del dado sul tappeto verde sfiorato con mano bendata, il ragazzo sa di aspettarsi tutto solo dalla settima, di cui spia la mappa al di là dello sguardo restituito, dallo specchio, all'inquietudine che affiora negli occhi. Ferdinando Albertazzi

Persone citate: Cook, Giuliano Scabia, Gustav Jung

Luoghi citati: Italia