Le lingue tagliate

Le lingue tagliate Le lingue tagliate Un saggio-pamphlet di Salvi sulle minoranze linguistiche italiane Sergio Salvi: « Le lingue tagliate », Ed. Rizzoli, pag. 293, lire 5000. Con un titolo e una copertina «à sensation» (raffigurante una villica con la bocca incerottata), questo saggiopamphlet del fiorentino Salvi, studioso e paladino delle «minoranze linguistiche » già rumorosamente affermatosi con « Le nazioni proibite », diffonde un'orrenda novella: sono in Italia due milioni e mezzo d'Italiani alloglotti che non possono più parlare la loro lingua, virtualmente mutoli, facenti tra gli altri la figura dell'asino in mezzo ai suoni. Il perché di tale oppressione è presto detto. E' in corso nel nostro Paese da più di cent'anni, ma oggi in aperto contrasto con la Costituzione (Art. 6: « La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche »), una « dittatura linguistica » esercitata da e mediante la lingua di Stato ai danni delle comunità minoritarie, delle loro lingue e dialetti (l'Autore tiene a distinguere), delle loro culture avviate ad estinzione; una sorta di « colonizzazione » portata avanti « nel silenzio e nell'indifferenza dell'opinione pubblica ». Come si vede l'assunto del Salvi, benché tutto provato, prevarica alquanto nei termini, che instaurano un clima di assoluta drammaticità e di certa colpevolezza. Dittatura, colonizzazione, sono già parole grosse: ma che dire di «genocidio bianco» («delitto sottile, ma non meno efferato») cui sarebbero segno, con fredda determinazione, quei due milioni e mezzo di linguisticamente « diversi »? E circa l'attribuzione delle colpe, fatta onorevole parte all'vanalfabetismo culturale» dei Governi, le cui provvidenze riescono deboli e scarse, quel prendersela soprattutto con l'Opinione Pubblica, già detta prima « silenziosa e indifferente » (il che importa moltissimo), e con quelli che la foggiano via via — intellettuali, giornalisti, esperti, uomini politici, «fans delle grandi battaglie ideali e morali», e scienziati stessi, la cui «neutralità» è messa in dubbio — e quel far carico a tutti quanti di non avere spinto avanti il problema della « democrazia linguistica », quasi meno importante dei pur dibattuti problemi circa l'ecologia e laprotezione del patrimonio artistico e culturale, non può non far pensare a quelle generose battaglie contro «Toutle-monde», perdute in partenza per ragioni intrinseche. In altre parole, forse che la presunta «dittatura linguistica» è più nell'evoluzione del costume cioè nella forza delle cose, quale trascina le stesse vittime che si lasciano «assorbire», che non nella volontà degli uomini. Se non che il pur documentatissimo Salvi è un idealista; un idealista di sinistra. Pertanto la sua polemica, inforcato il cavallo delle « minoranze linguistiche» va più in là, mira con acre piacere allo sgretolamento dell'establishment. E la maschera gli scivola quando, dopo individuato il nemico pubblico n. 1 nell'atteggiamento nazionalistico che caratterizza l'opinione pubblica, la classe politica e persino alcuni linguisti del nostro Paese, atteggiamento conscio o inconscio, in buona o cattiva fede, di matrice risorgimentale oppure fascistica che sia, prorompe a dire: « ... bisogna capire che l'èra dei grandi nazionalismi, più o meno camuffati, è davvero finita. Sembra invece che sia sonata, dappertutto, l'ora dei "piccoli" nazionalismi. (...) Il risveglio delle minoranze linguistiche (giacché non è che esse non lottino, sebbene "con molta disperazione", per il loro affrancamento culturale) fa parte di quel risveglio più vasto di tutte le minoranze del pianeta (razziali, sessuali, economiche, sociali, religiose) che sta attualmente ribaltando la scala dei valori di massa e corrodendo ad uno ad uno i grandi luoghi comuni del centralismo di ogni genere o tipo... ». Per affrettare il processo, egli desidera attuata la proposta di legge che fin dal '70 avanzò l'« Associazione Internazionale per la Difesa delle Lingue e delle Culture Minacciate » (Aidlcm), i cui articoli sono riportati a p. 86. Il principale di essi importa che « nei territori dove essa è tradizionalmente parlata, la lingua diversa dall'italiana sia la lingua d'insegnamento almeno nella scuola materna e nella scuola d'obbligo, e materia d'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado »: un ritorno consapevole, e senza dubbio pittoresco, al frazionamento linguistico-didattico dell'Italia dì prima dell'unificazione. Le riserve che si possono fare alla bruschezza del tono, come di chi, affermata una cosa, pretende che gli s'abbia a rifare il resto, non toccano la sostanza del lavoro, che è di rappresentare, nel decadimento delle parlate locali, una situazione culturalmente angosciosa. Quando il corruccio polemico cede alla serenità della scienza, V. discorso dell'Autore si fa due tanti persuasivo: allora classificazioni, cifre e statistiche, piangono, diventano elegia. Definito il concetto di « minoranze linguistiche » nella propria accezione territoriale (non entrano perciò nel conto le minoranze « nomadi e disperse », quali Zingari ed Ebrei), egli le passa in rassegna, tutte undici che sono in Italia, in un « Manualetto » che non mancherà di sorprendere il lettore comune per ricchezza e novità d'informazione. Sul candeliere sono le minoranze di lingua sarda e ladina (ladino-dolomitica e ladino-frìulana) costituite rispettivamente da un milione e 200.000 parlanti e da 900.000; seguono quelle di lingua francese e occitanica (le nostre Valli), albanese, catalana (Alghero), greca, serbocroata ecc.; e di ciascuna sono ricercate le caratteristiche interne, rispetto alla maggiore o minor consapevolezza delle proprie peculiarità e alla volontà di difenderle; uscendone il ritratto impensato e affascinante di un'Italia plurilingue e pluriculturale, oggi purtroppo minacciata, e in parte già distrutta, da una civiltà livellatrice. Oltre a quelli di salute pubblica invocati dal Salvi, quali possono essere i rimedi spiccioli? Che ogni parlata particolare si assicuri della propria visceralità, e non cedendo all'ubbia che una lingua debba scacciare l'altra, ogni volta che « ditta dentro » serbi fède a se stessa, stabilendo una « concordia discors » con la lingua nazionale. E perché una lingua senza lettere fatalmente si estingue, chi può corra alle mura e ingrossi quei naturali baluardi che sono i cenacoli di letteratura regionale (le varie « Famiglie », come dolcemente s'intitolano), dove rivive, contro una nuova barbarie, il santo spirito d'Arcadia. Leo Pestelli

Persone citate: Leo Pestelli, Salvi, Sergio Salvi

Luoghi citati: Alghero, Italia