Le donne rosa di Cassinari di Edgarda Ferri

Le donne rosa di Cassinari Incontro con il pittore nel suo studio milanese Le donne rosa di Cassinari Ha sessantadue anni - Lasciò ragazzo la campagna piacentina per fare a Milano il garzone di un orafo - Dice: "Amo restare solo e lavorare. Al massimo mi fa compagnia un po di musica" (Nostro servizio particolare) Milano, 13 febbraio. Il suo ultimo quadro è una donna crocefissa. E' grande, rosa e nera, con una giarrettièra rossa e gli occhi urlanti. Le stanno intorno animali da cortile, un gallo, una capra. Non è la solita, bella ed attonita donna di Bruno Cassinari, con gli occhi sempre neri sul fondo blu. Questa volta si sente il dolore, lo strazio. Anche lui prova spesso dolore, talvolta arriva anche allo strazio. La malinconia, che ha accompagnato quest'uomo che a quindici anni ha lasciato la sua campagna per fare a Milano il garzone di un orafo, si tramuta sempre più sovente in angoscia. «Direi che sono stufo di essere un professionista», dice. Forse perché il successo è arrivato, è arrivato il denaro, è arrivata la fama. «Davvero?» dice lui stringendo le labbra. Ha un sorriso timido, con blocchi improvvisi che Io allontanano e lo rendono mesto. «Forse, dice. Ma se uno è un pittore vero, se uno ama l'or- te per davvero, non può mai | sentirsi arrivato in porto. Bisogna continuamente cercare, tentare, lavorare. Picasso lo lui fatto fino all'ultimo, non si è mai sentito sicuro». Il suo studio è in via San Tommaso, in una soffitta che in parte è rimasta soffitta coi muri anneriti dalle stufe, ed in parte tappezzata di rosso, addobbata di scialli spagnoli, di giubbetti argentei da torero, di lampade sorrette da braccia dorate e barocche, di orologi sotto campane di vetro. Cassinari lavora nella parte povera, sotto il lucernario da dove entra l'aria bigia di Mi-1 lano, così differente dai paesaggi e dai colori che il pittore ama. Eppure, è qui che lavora meglio che in qualsiasi altra parte. «Ci vengo anche di domenica, ad ascoltare il silenzio della strada finalmente deserta. Da un po' di tempo ho messo di guardia la portinaia, la quale mi chiude dentro e non fa passare nessuno che io non dica di attendere. Prima era diverso. Ve- n'ivano amici a trovarmi, chiac- ! chierare, a bere un bicchiere con me. Ora. preferisco restare solo. AI massimo, mi fa compagnia un po' di musica». Nella parte povera della soffitta, con una stufa di mattoni e il cannone di latta proprio a fianco del cavalletto, Cassinari ha messo una sontuosa poltrona del Seicento, appartenuta ai Cavalieri di Malta di cui porta ricamato sullo schienale la croce. E' un monumento di riccioloni a meringa, velluti lisi e preziosi, braccioli ritorti, contorti, involuti, incorporati e tormentati. Gli piace molto. Ci mette in posa chi deve ritrarre. Una fila di tele è stesa lungo il muro, col dipinto contro la parete. Cassinari dipinge otto, dieci tele per volta. «Le giro contro il muro, poi ogni tanto le riprendo in mano, le ritocco, a volte le distruggo, le ignoro per mesi e poi le riguardo. Le mostro soltanto quando mi accorgo che, dopo sette o otto mesi, non posso più aggiungervi niente. Cassinari viene da Gropparello vicino a Piacenza. Era figlio di gente modesta che non voleva che facesse il pittore. Sua madre, quando le chiese i soldi per comprarsi un cavalletto (era già a Milano come garzone dall'orafo) giunse apposta in città, andò lei a comprarlo, si mise a piangere e tornò in campagna con la testa avvolta nello scialle. La madre è stata, per Cassinari, una presenza fondamentale, dolce, paziente ed umana. Quando morì, nel 1960, un blocco orrendo impedì al pittore di tornare a Gropparello, dove aveva vissuto un'infanzia felice e colorata fra i campi e i contadini. «Poi è venuto un tempo, racconta a bassa voce, in cui mi sono accorto che il pensiero mi correva via più spesso, e finiva a Gropparello. Una sera, al mare, rimasi zitto quattro ore mentre dovevo festeggiare il compleanno di mia moglie. Alla fine ho dovuto dirle che mi era venuta voglia di tornare alla mia terra. Ho tentato tre volte, a metà della strada mi sentivo svuotare e tornavo indietro. Mi ha aiutato Ernesto Treccani. Con la sua macchina, | finalmente, piano piano, è riti- scito a portarmi là. Ed è stato là, con stupore, che mi sono accorto che mia madre era ancora viva. La gente della mia campagna ha un senso della morte mollo più equilibrato, parlavano di lei come se fosse con noi Così l'Ito ritrovala per sempre». Adesso, riguardando le sue donne rosa così remote ed attonite, l'azzurro del fondo degli occhi può sembrate anche una luce di lacrime. «Mia madre ha pianto tanto, per tante cose», dice. Adesso si spiega di più la sua malinconia. I galli, le capre, 1 i cavalli ed i frutti che dipinge e scolpisce da tanti anni senza ri pensamenti. Cassinari ha nostalgia del suo paese. A sessantadue anni Cassinari è un uomo che sempre di più si ritira nel suo lavoro, quasi sbalordito di ciò che viene sempre più a circondarlo e come ad assediarlo, così che non si sente, fra l'arte contemporanea, «come quasi tutti quelli della mia generazione, tilt superato». La colpa ! di questa confusione è malamo- ve per l'arte e soprattutto nei galleristi, sostiene. Per poi aggiungere con il suo sarcasmo mascheralo da una timida voce: I «Loro capiscono quello che noi\ non riusciamo a capire. Il guaio] | è che, nella maggior parte dei casi, non sono dei galleristi, ma dei salumieri, dei commercianti, della zavorra inutile e nociva». Così eccolo sempre più asserragliato nella soffitta di via San Tommaso, rinchiuso a doppia mandata dalla portinaia, con rare apparizioni fra gli amici, alle mostre, alle presentazioni di qualche libro, a qualche cena di osteria. «Io lavoro sempre, anche quando non sento l'estro. L'estro, o quella che dicono anche ispirazione, è meglio aspettarlo mentre si sta lavorando, piuttosto che aspettarlo al caffè. Perché, se ti capita mentre sei al caffè, intanto che corri allo studio è già volalo via». Ecco quindi il suo lavoro segreto, il suo arrovellarsi sopra uni. tela finché non gli viene strappata di mano, le sue attese snervanti di un'idea, di una composizione, di una sfumatura. Cassinari teme la noia, la solitudine, la malinconia. Lui vive invece quasi attanagliato, giocando con loro a nascondino, sfuggendo e rifacendosi a chi appare, e cercando di allontanarsene. Ma anche questo gli serve. «Giorni della vita, dice, sono anche quelli in cui si attende di vivere, e intanto si vive». Edgarda Ferri wm Il pittore Cassinari

Luoghi citati: Gropparello, Milano, Piacenza