L'enigma capolavoro di Duchamp di Marziano Bernardi

L'enigma capolavoro di Duchamp IL "GRANDE VETRO,, EMBLEMATICO DELL'ARTE MODERNA L'enigma capolavoro di Duchamp Un recente sondaggio d'opinioni condotto dal Bolaffiarte, la rivista degli editori Bolaffi e Mondadori, presso 98 mercanti, collezionisti, critici, direttori di musei, italiani e stranieri, per misurare l'interesse degli specialisti verso gli artisti contemporanei nella stagione 19731974 ha dato a Marcel Duchamp il quarto posto nella scala straniera dopo Malevitch, Ernst, Mondrian: più in alto, per citar qualche nome, di Kandinsky, Klee, Picasso, Braque. Marcel Duchamp, francese, 1887-1968, gode di una fama immensa inversamente proporzionale alla diretta conoscenza delle sue opere, pitture e oggetti, ove si eccettuino gli esempi notissimi del readymade, di cui vanta l'invenzione: la Ruota di bicicletta (1913), lo Scolabottiglie (1914), la Fontana (1917, che è l'orinatoio firmato R. Mutt), il Trabocchetto (1917, un attaccapanni inchiodato per terra), la Gioconda con baffi e barba (1919, intitolata L.H.O.O.Q., rebus che in francese è da tradurre « Elle a chaud au cui », finezza parigina), ecc. Ma la sua celebrità, cominciata con la prima versione del Nudo che scende le scale (1912) esposto nel 1913 all'Armory Show di New York, la leggenda che addirittura lo divinizza nel culto dei fanatici del modernismo artistico s'affida soprattutto al Grande Vetro, danneggiato tornando da una mostra nel 1927, riparato dall'autore dieci anni dopo, rimasto tuttavia volontariamente incompiuto, già appartenuto a Katherine S. Dreier, ora praticamente inamovibile dal Museo di Philadelphia, che conserva la sua produzione di maggior rilievo. Di quanti affermano che quella è l'opera capitale della pittura moderna, non meno delle Demoiselles d'Avignon di Picasso, assai pochi dunque hanno potuto contemplarlo e giudicarlo coi propri occhi. Supplisce una letteratura critica amplissima, che in Italia fa capo ad Arturo Schwarz, scrittore, poeta, cri- tico, mercante d'arte ch'ebbe con Duchamp lungo sodalizio e del quale sono usciti adesso il Marcel Duchamp nella collana « I Maestri del Novecento » del Sansoni (Firenze, L. 2500) e presso Einaudi la traduzione italiana di The Complete Works of Marcel Duchamp (New York, 1970) col titolo La Sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche (Torino, L. 12.000). Non meravigli la strana intitolazione. Infatti l'opera di cui discorriamo, detta il Grande Vetro perché eseguita con fogli di piombo e d'argento e pittura ad olio su un vetro alto quasi tre metri, in verità s'intitola La Mariée mise à nu par ses célibataires, meme, in italiano La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche: dove però « anche » è traduzione imperfetta di «meme », vocabolo con cui Duchamp, arzigogolando come era suo costume con parole alle quali attribuiva significati arcani, sfrutta l'omofoni& francese « m'aime », « mi ama », per velare il suo amore per «La Sposa», che sarebbe stata — secondo lo Schwarz — la sua propria sorella Susanna, se mai amore puramente sentimentale. Suppliscono poi alla mancata conoscenza diretta del Grande Vetro le nove acqueforti incise dall'artista nel 1965-66 delle varie parti dell'opera, stampe che — di proprietà Schwarz, valore complessivo 49 milioni — si possono vedere in questi giorni nella galleria torinese Mann, via Lagrange 1, egregiamente commentate dal grande catalogo compilato dal critico Janus. Sorvoliamo, poiché manca lo spazio, sulle stranezze, del resto ben note, dell'uomo Duchamp, che per lunghi anni interruppe ogni attività artistica dedicandosi, da professionista, al gioco degli scacchi; sulla sua vita divisa tra Europa e America (anche del Sud), sugli innumerevoli contatti ed amicizie con gli esponenti delle avanguardie estetiche di tutto il mondo. Sorvoliamo anche sulla interpretazione « alchimistica », di mago moderno, che della sua natura dà lo Schwarz, per noi genialmente farneticante. E veniamo al Grande Vetro. E' un racconto misterioso, onirico, ma condotto da una mente matematica ohe non teme il ridicolo del connubio sentimento-meccanica. La sua crittografia esige un lettore interprete-esegeta che delucidi i significati di forme bizzarre che dovrebbero rappresentare la Sposa, i suoi vestiti, la via Lattea, il pistone di corrente d'aria, i nove spari, il giocoliere di gravità, i nove stampi maschi, i nove scapoli, il mulino ad acqua, la macinatrice di cioccolato, la regione della pompa a farfalla, i tamburi, i setacci, le forbici, e via dicendo. A questo racconto Duchamp attese dal 1915 al 1923, ma si può dire che sia stato l'impegno, l'opera sintesi di tutto il suo lavoro intellettuale, che tendeva a porre la pittura « al servizio della mente ». Nessun dubbio che si tratti di un capolavoro d'una intelligenza dalle complicazioni spettacolose, diremmo mostruose. Ciò non toglie che un capolavoro nel quale non si capisce assolutamente nulla senza l'interprete — l'autore stesso, o lo Schwarz o Janus o chi altri — sia emblematico, come nessun altro, delle più straordinarie ed ardite conquiste di tutto un settore dell'arte contemporanea. Per stare col linguaggio dei semplici, è « la morale della favola »: della favola delle linee e dei colori. Marziano Bernardi II Grande Vetro (acquaforte che riproduce l'originale)

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