Il continente teme l'estendersi del conflitto di Alfredo Venturi

Il continente teme l'estendersi del conflitto Il continente teme l'estendersi del conflitto L'Africa è per un negoziato tra Addis Abeba e l'Asinara Dopo l'offerta di mediazione del presidente sudanese Nimeiry, è possibile un'iniziativa dell'Olia (Organizzazione per l'unità africana) - L'importanza strategica e commerciale dei porti dell'Eritrea rappresenta uno dei punti-chiave del problema (Dal nostro inviato speciale) Addis Aheha. 10 febbraio. « L'ordine regna ad Asmara », dice il governo militare, ma è tuttora impossibile andare a controllare di che razza di ordine si tratti. Certo, nemmeno la notte scorsa si è sparato nel capoluogo eritreo, e gli italiani arrivati oggi, con uno degli ultimi voli del ponte aereo, parlano di una città fantasma. Asmara, la agia verde città sul ciglio dell'altopiano, è irriconoscibile. Il sole forte di questa stagione illumina strade deserte ed impaurite e la notte il buio fitto dovuto al sabotaggio delle linee elettriche rende sinistro il coprifuoco. Nelle vie, tra le porte e le vetrine « saltate » durante le perquisizioni, vi sono le pattuglie della polizia per controllare l'ordine pubblico, e i reparti di paracadutisti inviati a controllare le pattuglie della polizia, che è eritrea. Attorno, la città è circondata dalle truppe (la II divisione rafforzata da unità della I, ex guardia imperiale), e le truppe sono circondate dai reparti di guerriglieri. Non fosse per il fatto che controllano l'aeroporto, le forze della guarnigione di Asmara sarebbero dunque isolate. Pare però che abbiano gravi problemi di rifornimento: si parla di colonne di rinforzi bloccate a decine di chilometri dalla méta, di un convoglio di rifornimento proveniente da Massaua disperso per la fuga dei camionisti, intimoriti dal fuoco dei guerriglieri. Questo quadro della situazione militare, del resto difficilmente controllabile, presenta caratteri di relativa stabilità: senza i rifornimenti militari, i governativi non possono attaccare i secessionisti, ma questi ultimi non sono probabilmente in grado di sferrare una nuova offensiva contro le forze concentrate e in stato di allarme. Sono le caratteristiche condizioni che oggettivamente favoriscono il negoziato (e sembra infatti che il governo etiopico abbia inviato mediatori di pace agli insorti secessionisti). Ma il negoziato si farà? Qui nella capitale vi sono dissensi su questo punto fra gli uomini del governo provvisorio, in particolare fra il generale Tafari Banti, presidente del consiglio provvisorio militare amministrativo, e il maggiore Mengistu Haile Mariam, primo vicepresidente dello stesso Consiglio e vero uomo-chiave del regime etiopico. Un eventuale sblocco della situazione eritrea passerà attraverso un nuovo terremoto al vertice del governo provvisorio? Per ora il palazzo governativo, immerso fra gli eucalipti, è muto: il dramma di questi militari alle prese con un problema sempre meno risolvibile sul piano militare è ben custodito. Frattanto, si muove la diplomazia africana, ansiosa di trovare una soluzione negozia ta a un conflitto che potrebbe facilmente riprodursi in altri Stati del continente. All'offerta di mediazione del presidente sudanese Nimeiry si aggiunge una possibile iniziativa a livello continentale, nel quadro di quella Organizzazione per l'unità africana che proprio qui ad Addis Abeba ha la sua sede. Ma la breve storia dell'Oua, costituita nel 1963, è una storia che attraversa mediazioni fra gli Stati, regimi, mentalità, interessi profondamente diversi. Fanno parte del quadro panafricano Paesi che appoggiano apertamente i secessionisti eritrei, come la Libia, Paesi che hanno rivendicazioni territoriali nei confronti dell'Etiopia, come la Somalia, Paesi ansiosi, al contrario, di riaffermare il principio della intangibilità territoriale, come lo Zaire e la Nigeria, che conobbero a loro volta i drammi laceranti del Katanga e del Biafra. Quale atteggiamento potrà mai uscire da così disparati punti di vista ,in un momento che vede, con la probabile imminente riapertura del Canale di Suez, ingigantita l'importanza strategica e commerciale dei porti eritrei? Forse, l'unica sintesi possibile fra ciò che chiedono i due fronti di liberazione eritrei e quello che vuole il governo etiopico è rappresentata dal ritorno al vecchio schema dell'Orni, che aveva unito l'Eritrea all'Etiopia con uno statuto di tipo federale e con una larghissima autonomia dell'antica colonia italiana. Ma accetteranno i secessionisti, al punto in cui si trovano, di rinunciare all'indipendenza in nome dell'autonomia? E accetteranno i militari di Addis Abeba di non considerare l'Eritrea una « regione amministrativa », con il rischio conseguente di vedere incoraggiate le forze centrifughe che serpeggiano in altre prò- -vince, come il Tigre e il Goggiam: di vedere, in una parola, esplodere il vecchio impero? Probabilmente, solo a patto che tale rischio sia coperto da un vasto sistema di garanzia internazionali, che chiamerebbe in causa non so- lo i Paesi africani ma anche le grandi potenze. Il problema come si vede, è estremamente complesso e caratterizzato da un elemento, i lcontrollo del Mar Rosso, che rischia di farne un altro luogo di conflitto strategico s ubase planetaria. Gli americani, che fino a poco tempo fa avevano a Kagnew, nei pressi di Asmara, una gigantesca base di telecomunicazioni, soltanto di recente superata dai nuovi sistemi basati sui satelliti, hanno continuato a prestare la loro assistenza militare all'Etiopia, anche dopo il colpo di Stato contro l'imperatore. Ma la proclamazione del « socialismo etiopico » ,un mese e mezzo fa, e più di recente le conseguenti nazionalizzazioni, hanno rimesso in causa i vecchi rapporti di amicizia fra Addis Abeba e Washington. In crisi del tutto, l'Est africano è quindi ansioso di recuperare posizioni sull'Oceano Indiano, considerato la principale area strategica del futuro: la diplomazia americana cercherà di utlizzare a suo favore il conflitto eritreo? E' possibile che stia qui ,più ancora che nell'atteggiamento contingente dei militari etiopici, la chiave di questo ingarbugliato pasticcio africano. Visto da qui, il dramma eritreo sembra tuttavia lontano, e la capitale etiopica inondata di sole, dopo che le prime avvisaglie delle piccole piogge hanno fatto esplodere una policroma fioritura tropicale, vive in un'apparente indifferenza, in buona parte motivata dalla mancanza di notizie. L'università, un tempo luogo di febbrile dibattito politico, è semideserta: la maggior parte degli studenti è stata spedita nelle campagne, a predicare ai contadini la « rivoluzione socialista ». Soli centri di brulicante attività, gli uffici consolari italiani, dove si mette a punto, fra mille difficoltà, il programma di rimpatrio dei connazionali fuggiti da Asmara. Alfredo Venturi quegli italiani che hanno deciso di lasciare il Paese — hanno precisato le stesse fonti — dovrebbe iniziare domani.

Persone citate: Addis, Biafra, Mengistu Haile Mariam, Tafari Banti